Roberto Longhi nell’articolo in cui ripercorre la fortuna delle mostre d’arte
notava che il concetto di «esposizione» si affacciò tra il Sei e Settecento, con
quell’altro fatto d’ordine economico delle «fiere». Delle prime mostre in Italia
ci sono rimasti pochissimi catalogni, testimonianza importante di quelle
allestite a Bologna, sotto il portico dei Servi, od organizzate a Roma dai
Virtuosi al Pantheon, dove Velásquez espose il Ritratto Juan de Pareja (New
York, mma) nel 1650. A Venezia si esponevano i quadri a San Marco o a San Rocco:
ne rimane una testimonianza pittorica, nella Festa a San Rocco (Londra,ng)
dipinta dal Canaletto intorno al 1730. La consuetudine delle esposizioni
fiorentine, che risaliva al
Gran Principe Ferdinando de’ Medici, vede nel 1767 la mostra organizzata nel
secondo chiostro della Santissima Annunziata, in occasione delle nozze di Pietro
Leopoldo; sono soprattutto pitture contemporanee, vedute marine e paesaggi (Vernet,
Zuccarelli, Zocchi).
In Francia gli artisti erano soliti esporre i loro quadri durante la processione
a Piace Dauphine chiamando la mostra Salon de la jeunesse (di artisti non ancora
ammessi all’Accademia); così si fanno conoscere Chardin o Lancret, ma la prima
esposizione regolamentata di belle arti, a carattere biennale e finanziata dallo
stato, si ebbe già dal 1673: il salon, che permetteva ai membri dell’Accademia
Reale di esporre le proprie opere. Nel corso del XVIII sec. le prime m nascono
tutte in rapporto alle accademie, come dimostrazione pratica della loro attività.
Ricorda Pevsner: «Caratteristica che si riscontra dappertutto di chiara
derivazione francese, è quella delle esposizioni accademiche,
organizzata ad intervalli regolari.
Nella maggior parte delle capitali si trattava delle prime esposizioni che mai
fossero state tenute. È questo il caso di Berlino (1786), Dresda (1764),
Copenhagen (1769), Stoccolma
(1784)». Queste m dovevano apparire (in un mondo senza cinema) quasi grandi
spettacoli popolari, come suggerisce il numero dei visitatori che affluirono
alla prima esposizione di Londra, nel 1760, dove furono venduti oltre seimila
cataloghi. In Inghilterra il gruppo di artisti che faceva capo all’Accademia
privata di St. Martins organizzò, appunto nel 1760, la prima mostra pubblica
d’arte presso la società che sarà nota come Society of Arts. Nel 1761, cominciò
a organizzare esposizioni con il nome di Society of Artists of Great Britain;
tra i suoi membri c’erano tutti i principali artisti inglesi. Questi stabilirono
(1768) quali due principali scopi della futura accademia «l’istituzione di una
Scuola o Accademia di Disegno ben organizzata a uso degli studenti d’arte, e
un’esposizione annuale aperta a tutti gli artisti di peculiari meriti».
Indubbiamente anche a Parigi e in altre capitali europee le esposizioni avevano
avuto la loro importanza, ma mai era stato loro riservato un posto così
rilevante nella struttura di un’Accademia, non soggetta all’autorità dello stato;
l’introito delle mostre fu di quattrocento sterline all’anno fra il 1785 e il
1795.
In Francia l’ufficialità dei salons esalta la pittura di storia che recita la
parte di protagonista come grande pittura, anche oltre i confini. La Morte di
Virginia di Gabriel François Doyen, ad esempio, viene acquistata nel 1758 al
salon di Parigi da Don Filippo di Borbone per la Galleria di Parma. Nella
seconda metà del Settecento i prestigiosi salons vedono Diderot che inaugura la
tradizione degli scrittori che in veste di critici recensiscono le opere esposte;
ma i suoi scritti (Salon 1759 e successivi), circolano, analogamente ad alcuni
suoi romanzi ritenuti libertini, in forma manoscritta e vedono la luce a stampa
solamente nel 1798. La momentanea abolizione dell’Accademia e l’apertura nel
1791 del salon a tutti gli artisti, previa la selezione di una giuria, non muta
la tendenza delle scelte per i dipinti di storia, ma solamente la sua funzione
di esempio civile e morale: dopo gli eroismi repubblicani, e le conquiste
napoleoniche, sarà la volta delle restaurate virtù dei Borbone; ancora nel 1819
un’opera di intenso messaggio civile come la Zattera della Medusa sarà esposta
al salon.
Invece nel 1826 è una galleria privata, la Galleria Lebrun che inaugura una
mostra di pittori francesi da David a Delacroix destinata a raccogliere fondi
per la causa greca esponendo La Grecia sulle rovine di Missolungi di Delacroix
(Bordeaux, mba), il cui significato simbolico rimanda alla dolorosa condizione
del popolo oppresso.
In Inghilterra le esposizioni a carattere ufficiale si tenevano sempre
all’interno dell’Accademia; dopo il grande periodo romantico che vede
protagonista la pittura di paesaggio di Turner e Constable, nel 1849 espongono,
per la prima volta, i preraffaelliti. Il dipinto La fuga di Madeline e Porfirio
di William Holman Hunt (Londra, Guildhall Art Gallery; in catalogo figurava
accanto ad una poesia di Keats, The Eve of St. Agnes) esposto alla ra nel 1848,
suscitò l’ammirazione di Dante Gabriel Rossetti, e nel medesimo anno si fondò il
Pre-Raphaelite Brotherhood e con la sigla della confraternita PRB vennero
esposti i dipinti di Hunt e Millais all’Accademia e di Rossetti alla Free
Institution.
La situazione italiana preunitaria rispecchia la frammentarietà degli stati.
Continuano le esposizioni legate alle accademie (Milano, Torino, Roma, ecc.); a
Roma inizia l’attività la Società degli amatori e cultori di belle arti che
promuove mostre a partire dal 1830 dove protagonista dell’esposizione è il
direttore dell’Accademia di Francia, Horace Vernet. Delle m accademiche di Brera
si ricorda quella particolarmente ricca del 1837. La seconda società promotrice,
dopo Roma, sarà quella di Trieste, che intensificherà i rapporti con le
principali città dell’Impero Asburgico (1840), e poi, due anni dopo, la società
promotrice di Belle Arti di Torino. A Firenze dal 1845, una società promotrice
organizzerà le m nel cui
ambito esporranno i primi macchiaioli. La diffusione di queste m suscita
l’interesse collezionistico dei privati, che, sia pure in misura minore rispetto
al collezionismo pubblico, acquista un certo peso; tuttavia l’offerta degli
artisti è esuberante rispetto alla richiesta.
In Francia, con Luigi Filippo, la giuria dei salons ritornò ad essere composta
dai membri dell’Accademia che riportarono la situazione sotto il loro completo
controllo, impedendone
l’accesso a tutti gli artisti di tendenze differenti. I pittori allora fondarono
l’Association des artistes, composta da circa tremila membri tra i quali Daumier
e Delacroix. In seguito alla rivoluzione del 1848 la Repubblica apri il primo
salon libero al Louvre; Courbet espose sette opere ottenendo i primi
riconoscimenti. Nel 1855 il salon fu annesso all’Esposizione Universale; in
aperta polemica e con cinquanta opere esposte si apre il Pavulon du réalisme,
promosso da Courbet in seguito al rifiuto da parte della giuria del salon di
L’atelier du peintre, allégorie réelle, determinant une phase de sept années de
ma vie artistique e di Il Funerale ad Ornan (Parigi, mo; la giuria fu forse
spaventata anche dalle dimensioni delle tele). Viene allestita, con grande onore,
un’ampia rassegna delle opere di Ingres che riceve generali consensi da parte
dei critici.
Ingres in contrasto con il salon dichiara in quegli anni: «Gli artisti sono
indotti a esporre dall’avidità di guadagno, dal desiderio di farsi notare a
tutti i costi, da quella che credono la fortuna di un soggetto eccentrico capace
di fare effetto e di essere venduto con profitto. Cosi il salon è letteralmente
nient’altro che un mercato di quadri, un bazar dove si è storditi dall’enorme
quantità di oggetti e dove regna il commercio invece che l’arte». Ingres in
segno di protesta non entrerà più a far parte della giuria, e gli artisti più
importanti, che vantano una clientela sicura, disertano il salon. In questo
clima artistico agli inizi del 1860 si apre sul boulevard des Italiens una
grande esposizione di dipinti moderni prestati da collezionisti
privati, organizzata senza l’interferenza dell’Accademia. In violenta
contrapposizione con l’ultimo salon dove regnava l’accademismo più tetro, in
questa mostra regna il colore con la sua forza e la sua potenza: paesaggi dei
pittori di Barbizon, diciotto Delàcroix, Courbet, Corot, Millet con La morte del
taglialegna rifiutato al salon.
Frequenti e vari erano gli imbrogli e gli intrighi per essere ammessi fuori
concorso, tanto più che sia i membri dell’Accademia sia gli artisti venivano
premiati con medaglie; una volta ammessi gli artisti cercavano di esporre le
loro opere in una collocazione favorevole, perché il pubblico potesse fruirne al
meglio e la critica esprimere un lusinghiero consenso. Per gli artisti
l’ammissione o il rifiuto era una questione vitale. «Il grosso pubblico però
considerava inappellabili le decisioni della giuria – ricorda John Rewald – e
non solo rifiutava di comprare le tele respinte (si arrivò alla crudeltà di
stampare loro una R sul telaio), ma restituiva anche quelle comprate», così
accadde a Jongkind che dovette riprendere un dipinto
già venduto (e restituirne il prezzo) perché rifiutato dalla giuria.
Dal 1863 al salon ogni artista doveva esporre tre opere per norma. Fu un anno di
grande severità: tremila gli artisti partecipanti; su cinquemila dipinti ne
vennero ammessi solo circa duemila. Gli artisti si opposero alla decisione
drastica e coinvolsero Louis Martinet, giornalista del «Courrier Artistique» che
già aveva esposto tra l’altro, quattordici tele di Manet, tra cui la Lola di
Valencia (Parigi, mo), e il Concerto ai Giardini delle Tuileries (Londra, ng) e
aveva organizzato m alternative degli impressionisti dal 1861 al 1865; ma la sua
galleria
non poteva certo esporre tremila opere respinte e mille sculture! Accadde che
Napoleone III, coinvolgendo il conte Nieuwkerke, sovrintendente alle Belle Arti
e presidente della giuria, in base ai reclami e per non contrastare le decisioni
della giuria, decise che le opere sarebbero state esposte, dal 15 maggio, in un
altro settore del Palais, al Salon des refuses; tra i quadri respinti c’era il
Déjeuner sur l’herbe (Parigi, mo) di Manet.
Emile Zola, dopo la visita al salon con l’amico Cézanne, entrò in contatto con
gli impressionisti, conoscendo Pissarro e altri e, per la sua funzione di
critico d’arte, assunse nei loro confronti, un ruolo fondamentale. Egli
ritenendo, in linea con le nuove tendenze, che l’artista è tale in quanto dotato
di «temperamento forte e potente» pubblicò una serie di interventi su «L’Evénement»,
tra cui la recensione del Salon del 1866 che creò aspre polemiche: il salon
doveva ancora aprirsi, e le critiche erano mosse nei confronti della giuria, dei
suoi criteri di valutazione (la richiesta di un secondo Salon des réfuses,
avanzata dagli artisti, non fu accolta) sebbene il critico non volesse
parteggiare per nessuna tendenza o gruppo;
in un altro articolo trattò del termine «realista», che a suo parere
identificava l’artista che sa «subordinare il reale al temperamento individuale»,
esaltò Monet senza concedere alcuna gloria agli artisti ufficiali. Nel 1874
nello studio del fotografo Nadar, al boulevard des Capucines, la Société Anonyme
des Artistes espose le opere di pittori avversi ai canoni accademici. Tra essi:
Paul Cézanne, Edgard Degas, Berthe Morisot, Giuseppe De Nittis, Camille Pissarro,
Pierre-August Renoir, Alfred Sisley e Claude Monet; dal suo Impression, soleil
levant (Parigi, Museo Marmottan) nacque il termine «impressionismo», coniato con
intento satirico dal critico Louis Leroy che pubblicò una recensione della
mostra sulla rivista «Chiarivari», Exposition des Impressionists: il termine
rimase e dopo quella prima m ne seguirono otto, sino al 1886.
Le m, divenendo sempre più frequenti, furono un fattore di trasformazione del
gusto degli allestimenti, del mercato e perfino dello stile. Le enormi tele
esposte ai salons male si collocavano nelle dimore moderne borghesi, mentre i
dipinti disposti in file serrate impedivano la visuale delle tele più piccole.
Già nella prima m impressionista i quadri furono collocati su di una tappezzeria
in stoffa di lana dal colore rosso-bruno, in cornici dorate, mentre nel 1877,
nella terza m impressionista, le tele verrano presentate in cornici bianche o
colorate, ma pur sempre in accordata armonia con la pittura (Renoir invece
consiglierà sempre antiche cornici dorate per i suoi dipinti). L’allestimento
mutò ancora, Pissarro ad esempio, nella quinta esposizione impressionista del
1880, scelse di collocare le proprie opere in una sala tappezzata in giallo e
lillà. La crisi dei salons, iniziata in questo periodo nasce sia dal mutamento
delle scelte del pubblico, che dal differente concetto di esposizione. I
mercanti d’arte ora concepiscono la galleria privata come uno spazio espositivo
a diretto contatto con la strada, in una via centrale ed elegante, con ampie
vetrine illuminate, dalle quali i dipinti possono apparire sempre in m. Già nel
1858, Théophile Gautier descrive rue Lafitte, sulla quale si affacciarono sino a
cinque o sei gallerie, come «una sorta di salon permanente».
Le esposizioni degli impressionisti vedono anche la nascita di disaccordi
profondi, che porteranno a separazioni o rotture del gruppo, l’allontanamento di
Cézanne e la fatica degli artisti a imporsi sul mercato; nella quarta m,
tenutasi all’avenue dell’Opera (1879), espongono anche Paul Gauguin, invitato da
Pissarro, e Mary Cassatt invitata da Degas; nel 1881 lo stato cede il controllo
del salon alla Société des Artistes Français e ogni artista può votare per
eleggere la giuria di ammissione. Manet espone al salon Un Bar aux Folies-
Bergère (Londra, Courtauld Institute Gallerie); al boulevard des Capucines apre
la sesta collettiva degli impressionisti e l’anno seguente nella Galleria
Durand-Ruel si apre la successiva m impressionista, l’ultima in rue Lafitte, nel
1886; Pisarro espone la prima opera pointilliste e insiste per l’ammissione di
Seurat e Signac che causa un’aspra lite con Eugene Manet. Seurat presenta Un
dimanche après-midi à l’île de la Grande-Jatte (Chicago, The Art Institute).
Risale al 1886 anche la prima m di successo di Monet a New York organizzata dal
gallerista Durand-Ruel e, due anni prima, la grande retrospettiva di Manet
all’Ecole des beaux-arts. Con l’apertura dell’Esposizione Universale del 1888 un
gruppo di pittori, scelti da Gauguin espose in un luogo del tutto insolito, il
Café Volpini. Su di un fondo rosso granata Gauguin appese i suoi quadri
incorniciati di bianco; con lui esponevano Emile Bernard, Emile Schuffenecker ed
altri, mentre van Gogh non accettò l’invito. La m destò grande scalpore:
l’insolito, primitivo e bizzarro allestimento rispondeva pienamente al gruppo «impressionista
e sintetista», definizione voluta da Gauguin. La critica fu positiva, il
pubblico entusiasta.
Nel 1866 l’artista americano James McNeil Whistler espone a Londra At the piano
(Cincinnati), quadro rifiutato al salon di Parigi, preparando l’arrivo degli
impressionisti.
Gli anni dal 1860 al 1890 sono quelli in cui artisti come Alma Tadema o
Frederick Leighton impongono la pittura di storia attraverso grandi composizioni
ricche di personaggi in costume, e inseriti in architetture classiche. Nel 1869
due dipinti di Corot entrano nella mostra londinese, altri successi della scuola
di Barbizon si devono a Daubigny che su invito di Leighton si reca a Londra ed
espone, nel 1866, Chiaro di luna. Alla m del 1887, presidente della Royal
Society of British Art era Whistler, furono esposti due dipinti di Monet, ma la
prima timida mostra di arte francese a Londra si inaugurò nella Galleria di New
Bond Street, aperta da Durand-Ruel, con il titolo Annual Exhibition of the
Society of French Artists; erano presenti quadri di Ingres, Gericault,
Delacroix, Courbet, Corot, Daubigny, Jondkind, Theodore Rousseau, de Nittis,
Fantin Latour; le m, con scelte molto moderate, furono dieci sino al 1875, e a
parte la seconda, dove non furono esposti impressionisti, proseguirono poi con
questi artisti.
Il panorama italiano delle m di pittura è relegato alle ben più che provinciali
esposizioni che si svolgono annualmente nelle varie città italiane, da quella
del 1861 a Firenze, a quella del 1883, con cui a Roma si inaugura il Palazzo
delle Esposizioni progettato dall’architetto Pio Piacentini. Nel 1891 si
inaugura la prima Triennale di Milano che da m annuale dell’Accademia si
trasforma in una manifestazione più importante (rimane a dimostrarlo il ricco
catalogo illustrato). Sono esposte per la prima volta tele di grande formato,
tra cui opere divisioniste: Le due madri di Segantini (Milano, am), paesaggi di
Grubicy, la Maternità di Gaetano Previati (Novara, Banca Popolare) che farà
addirittura gridare allo scandalo per la natura «filamentosa» della sua tecnica.
Nel 1895 si inaugura una grande m dell’impressionismo francese a Mosca e nello
stesso anno si apre la prima Biennale di Venezia, manifestazione internazionale
progettata per uscire dalla crisi economica e culturale in cui si era affossato
il mito dell’antica città lagunare. La giuria composta da cinque critici tra cui
figura, per l’Italia, Adolfo Venturi, assegna
il primo premio internazionale di diecimila lire all’opera di Paolo MichettiLa
Figlia di Jorio (Pescara, Palazzo della Provincia); a Giovanni Boldini, invece,
andrà un premio di milleseicento lire che, da Parigi, rifiuterà sdegnatamente
per l’esiguità della cifra. I primi anni della manifestazione veneziana sono
caratterizzati più che da una auspicabile volontà di mostrare al pubblico
un’arte internazionale, da problemi di accademie e scuole che sfoceranno in una
divisione dello spazio espositivo in rapporto alle regioni italiane: ed è
proprio in questo clima che si inaugura, nel 1896, la m del Tiepolo alle Nuove
Procuratie. «Nelle vaste sale entrava a fiotti dalle grandi finestre l’allegra
luce della primavera veneziana e intorno
alle tele del Tiepolo disposte in ordine ammirevole ricadevano pittoresche
drappeggiature dei meravigliosi arazzi del sec. XVI «(ricorda Pompeo Molmenti
nel catalogo) mentre gli artisti che partecipavano alla Biennale, gli ultimi
ottocentisti, piangevano davanti alle opere.
L’arte francese si impone al panorama internazionale e Parigi diviene meta
costante degli artisti d’avanguardia; già nel 1884 nasce il Salon des
Indépendants che, senza premiazioni, permetteva a tutti gli artisti di esporre e
nel 1903 s’inaugura il Salon d’Automne al Grand Palais, dove esporranno dai
fauves (1905) ai cubisti (1911); nel 1906 sarà inoltre la sede della prima
retrospettiva di Gauguin e l’anno seguente di quella di Cézanne. La prima m
importante di van Gogh, con cento quadri, era stata invece allestita alla
Galleria parigina Bernheim-Jeune nel 1901, mentre nel 1905; lo Stedelijk Museum
di Amsterdam espone quattrocentosettantaquattro opere, in parte destinate a
formare il Museo van Gogh. Negli stessi anni (1908-1909), alla galleria
Bernheim-Jeune, il critico Félix Fénéon organizza la prima grande m di Seurat.
Solamente nel 1905 riprendono le m di pittura francese a Londra; infatti, il
gusto fa registrare un’involuzione proprio tra la fine del 1880 e il 1890
stroncando l’arte francese, ma con la m allestita alla Grafton Gallery sono
esposti trecentoquindici quadri, tra cui opere di Cézanne, Degas, Manet (Un Bar
aux Folies-Bergère), Monet, Morisot, Pissarro, Sisley, Boudin, Renoir.
L’interesse ormai consolidato per l’arte francese porterà ad esporre sino al
1912 anche le avanguardie, dai cubisti ai fauves ai futuristi: una vera e
propria affabulazione di novità, presupposto delle esperienze che porteranno al
vorticismo, termine coniato nel 1914 da Ezra Pound. La prima m del gruppo si
inaugurerà nel 1912 alla Sackville Gallery. Nel
1913, a New York, Alfred Stieglitz, che attraverso le m promosse alla
Photo-Secession Gallery contribuì alla diffusione della nuova arte europea,
realizzò la m all’Armory Show. Accanto agli americani figuravano i più
interessanti artisti europei (parteciparono mille e trecento artisti) e segnò
l’ingresso delle avanguardie: dai cubisti ai simbolisti, dai fauves agli
espressionisti, che offrirono alla pittura realista americana nuovi elementi di
confronto; l’esposizione proseguì anche a Chicago e Boston.
L’inizio delle avanguardie vede anche quali protagonisti di m a carattere
internazionale, i pittori futuristi, che inaugurarono a Parigi, alla Galleria
Bernheim-Jeune, il 5 febbraio 1912, la prima esposizione itinerante di arte
futurista. Seguirà, poi, la Sackville Gallery di Londra, dove si effettueranno
le prime vendite, e la Galleria della Köning Augstrasse di Berlino, finanziata
dalla rivista «Der Sturm» e dove, in seguito a un totale fallimento nelle
vendite, Marinetti e Boccioni si vedono costretti a cedere le opere sottocosto
(duemila marchi) al terribile dottor Borchardt, che le venderà subito dopo,
rovinandone il mercato. A maggio la m è a Bruxelles, in seguito ad Amburgo,
Monaco, Budapest, Vienna. In Italia la prima m
futurista è del 1913, ha luogo a Roma, al ridotto del Teatro Costanzi, e l’anno
successivo con ottantanove opere dei Sei pittori futuristi si inaugura alla
Galleria Sprovieri di Napoli l’Esposizione libera futurista internazionale di
pittori e scultori (espongono anche Morandi, Sironi, Rossi, Prampolini, Rosai);
la m passa in aprile alle Dorè Galleries di Londra.
Nel 1910, nella sede dell’associazione femminile fiorentina Lyceum, si inaugura
la prima m italiana dell’impressionismo e nello stesso anno alla Biennale le
prime m monografiche di Courbet e Renoir. Nel 1908 si era inaugurato il primo
ciclo di m a Ca’ Pesaro (in seguito a una fondazione promossa dalla duchessa
Felicita Bevilacqua La Masa); il segretario della fondazione e direttore della
Galleria d’Arte Moderna, Nino Barbantini, organizza, in polemica con la
Biennale, m di giovani artisti; espongono per la prima volta, nel 1910, Umberto
Boccioni, Gino Rossi e altri, come Felice Casorati, che risentono del clima
secessionista viennese. Nel 1914 si arriverà addirittura alla chiusura della m
collettiva, dove spiccavano Gino Rossi e Arturo Martini, le cui «arditezze»,
derivate dalla diretta conoscenza della pittura francese, divengono motivo di
censura. La chiusura nei confronti dei giovani da parte delle sedi ufficiali
apre spazi autogestiti: così anche Roma è sede nel 1913, della Prima Secessione
Romana dove l’anno successivo esporranno anche i secessionisti di Ca’ Pesaro, in
una Sala dei Veneti (Martini, Rossi, Oppi), e terminerà con l’ultima esposizione
del 1914.
La ricerca di una identità artistica indipendente dai dettati accademici
esterofili e le contestazioni sulle scelte della giuria dell’Esposizione annuale
di Vienna provocano una frattura, che porterà il gruppo di artisti della
Secessione (presidente Gustave Klimt) a esporre in un’altra sede; la prima m,
organizzata tra la fine di marzo e la fine di giugno del 1898, è allestita in
locali affittati dalla Società di giardinaggio e conferma da subito la volontà
di mutare ogni aspetto dell’arte. La m viene concepita come una opera d’arte
complessiva, gli
architetti Joseph Olbrich e Josef Hoffmann curano l’allestimento: «I quadri
venivano appesi a gruppi in maniera relativamente sciolta davanti a pareti dai
colori sfumati e
decorate con molta parsimonia». Tra gli artisti in m si ricordano Giovanni
Segantini, Franz Stuck, Max Klinger, Puvis de Chavannes, Rodin, Ferdinand
Khnopff. Il grande successo di pubblico, quasi cinquantasettemila visitatori e
oltre duecento opere vendute, portò a successive edizioni annuali e alla
costruzione di una sede espositiva progettata da Joseph Olbrich: il Palazzo
della Secessione. Qui si organizzarono visite guidate la domenica mattina per i
lavoratori, con biglietto dal costo dimezzato e con l’omaggio del catalogo; una
parte degli introiti era destinata all’acquisto di opere per una collezione
pubblica, una nuova Galleria d’Arte Contemporanea. Tra le prime opere acquistate
vi furono tele di van Gogh, Monet, e Segantini, mentre i dipinti di Gustav Klimt
si prestavano a continue contestazioni per la loro forte sensualità. Nel 1903 in
occasione della XVI Esposizione, viene dedicata
una m all’evoluzione dell’impressionismo che avrà una vasta eco sulla pittura
secessionista. Infine la ricerca di commercializzazione portò all’apertura di
uno spazio riservato
alle vendite: la Galleria Mietke. Questa scelta provocò, oltre la spaccatura del
gruppo, la formazione del Klimt-Gruppe che si occupò di organizzare nuove
manifestazioni nel 1908 e 1909, sotto il nome di Kunstschauen: «Rassegna delle
forze e delle aspirazioni artistiche dell’Austria, un fedele resoconto sullo
stato attuale della cultura del nostro paese» (Klimt). La rassegna fece
conoscere tra gli altri Egon Schiele e Oscar Kokoshcka. Nella prima edizione gli
artisti presenti erano centosettantanove e non solo austriaci, basti ricordare
Munch,
Lovis Corinth, Gauguin e van Gogh, collocati in cinquantaquattro sale allestite
da Hoffmann.
Gli artisti della Secessione continuarono ad organizzare m importanti: si
ricordano nel 1907 la m sulla Secessione di Monaco; nel 1908-909 una panoramica
sulla produzione dell’arte moderna russa e per la prima volta nella storia delle
esposizioni una m sull’arte femminile nel 1910-11; riprendendo l’attività dopo
la prima guerra mondiale, nel 1918, ottenne un grande successo la m di Egon
Schiele; nel 1925 I principali maestri dell’arte francese del XIX secolo. La
situazione espositiva tedesca di maggior interesse, dei primi anni del secolo,
vede i pittori espressionisti in qualità di protagonisti. Il gruppo Die Brücke
espone dal 1906 sino al 1913 in numerose m intineranti nelle principali città
della Germania; partecipano alla prima esposizione, in qualità di componenti
della Brücke: Ernst Ludwig Kirchner, Erich Hechkel, Otto Mueller, Karl Schmid
Rottluff; Emile Nolde, conosciuto attraverso una sua personale alla galleria
Arnold di Dresda (1906), fu invitato a partecipare alle attività della Brücke.
Nelle m figurano allo stesso livello d’importanza
sia la pittura a olio che la grafica, considerata il mezzo più attuale e consono
al pensiero del gruppo: il «ponte» gettato tra gli artisti e il pubblico. Ancora
a Dresda si ricordano la prima m sull’arte neoimpressionista francese e la
retrospettiva dedicata a van Gogh, rispettivamente del 1905 (anno del Salon
d’Automne in cui espone Matisse, ammirato dagli espressionisti) e del 1906.
Nel 1910 la Neue Berliner Secession, direttore Max Pechstein, raccoglie i
pittori rifiutati dalla Secessione e la m del gruppo si tiene alla galleria
Mach: tra di loro figurano Nolde, Müller, Pechstein, Feininger. A Monaco Wassily
Kandinsky fonda con Franz Marc il gruppo del Blau Reiter. Kandinsky scriverà, in
seguito, sulla pura astrazione della pittura «tutti e due amavamo l’azzurro,
Marc i cavalli io i cavalieri. Così il nome venne fuori da solo». Aderiscono
inoltre, Paul Klee, la pittrice Gabriele Münter, Alfred Kubin; il gruppo espone
nel 1911 a Monaco presso Heinrich Thannhäuser, una seconda m, l’anno successivo,
si aprì nella Galleria Goltz e in seguito a Berlino, nella Galleria Der Sturm;
con l’inizio della guerra il gruppo si scioglie dopo l’ultima m collettiva del
1914 alla Galleria Sturm, la sede dove nel 1916 avrà luogo la m di
espressionisti, futuristi e cubisti.
Negli anni del conflitto (1917) a Zurigo inizia ad esporre il gruppo Dada. Nel
1918 il Novembergruppe si presenta alla Grosse Kunstausstellung di Berlino; tra
i pittori figurano ChaGall. Heckel, Pechstein, Klee. A distanza di un anno la
seconda m vede alcuni degli artisti più impegnati (George Grosz, Otto Dix,
Rudolf Schlichter) prendere posizione nei confronti di un’arte più impegnata,
che attraverso un linguaggio formale nuovo, una «nuova oggettività», non lontano
da istanze dadaiste, riveli la completa adesione alle spinte rivoluzionarie,
antiaccademiche e di denuncia sociale. Alla Kunsthalle di Mannheim, curata da
Gustav Hartlaub, si apre, cinque anni dopo, la m Nuova Oggettività. Pittura
tedesca dopo l’espressionismo.
Il panorama tedesco è ben caratterizzato attraverso le avanguardie che
continuano ad esporre negli anni successivi, programmando un’attività culturale
che porterà afla creazione
della scuola del Bauhaus, sino al momento del più tetro ostracismo all’arte
moderna, rappresentato dalla m di Monaco Entartete Kunst (Arte degenerata, 1937)
voluta dai nazisti, che misero al bando l’arte delle avanguardie arrivando sino
alla sua distruzione materiale. Per il gruppo dadaista che approda a Parigi,
Tristan Tzara, Francis Picabia, Max Ernst, Marcel Duchamp, a cui si aggiunsero
Joan Mirò, André Masson, e più tardi René Magritte e Arp (da non dimenticare le
comparse di Picasso), il distacco dalle tematiche di gioco dada portò gli
artisti in crisi alla ricerca di un sentimento comune e particolare
nell’intendere il luogo e l’atmosfera del quadro che si ispirava a derivazioni e
tangenze metafisiche e al realismo magico sorretto dalla poetica di André
Breton. Dell’ottobre del 1924 è il primo Manifesto del surrealismo e nel giugno
dell’anno seguente si inaugura a Parigi la prima m surrealista alla Galleria
Pierre; nel 1926 si inaugura la Galerie Surréaliste.
Nella primavera del 1918 a Roma, Mario Recchi espone, raccolte con il titolo di
Arte Indipendente, le prime opere metafisiche con dipinti di Soffici e Carrà,
tra cui: il Cavaliere occidentale e L’idolo ermafrodito (Milano, coll.
Mattioli), De Chirico con Il Grande metafisico (New York, moma). In Italia si
ricordano anche le m allestite da Mario Broglio all’insegna della rivista
«Valori Plastici», che organizzerà tra gli anni 1921-25 alcune m a Berlino e le
m romane di arte contemporanea della Casa d’Arte Bragaglia (più di settanta m
tra l’ottobre 1918 e il 1921). La prima esposizione del gruppo di artisti di
Novecento (Oppi, Marussig, Dudreville, Bucci, Sironi, Funi) viene organizzata da
Margherita Sarfatti al Palazzo della Permanente nel 1926, sede che ospiterà
ancora, a tre anni di distanza, la seconda m di Novecento, dove è da
sottolineare la scomparsa dei futuristi. Si arrivò a una tale
saturazione di esposizioni che furono tentate norme precise per la
regolamentazione e nacquero apposite organizzazioni di gestione: i «sindacati di
belle arti» che si occuparono a livello locale, provinciale e regionale
dell’organizzazione. Nella nuova struttura piramidale, Antonio Maraini, scultore
novecentista, presiedette le Biennali; mentre Carlo Efisio Oppo fu il curatore
della Quadriennale che, inaugurata nel 1931 (cinquecento espositori), ebbe
quattro edizioni sino al 1941.
In opposizione all’arte di Novecento espone a Parigi nel 1933, con il catalogo
curato da Waldemar George, un gruppo di artisti che il critico francese
definisce «école de Rome», sottolineando la rottura con i modi classicheggiami
dei pittori di Novecento, a favore di una interpretazione poetica della pittura
che si avvale di un uso sfumato del colore. Dagli studi del decennio 1910-20
(Longhi, Marangoni) sul Seicento e Settecento, si arrivò a cura dell’Ojetti alla
m del 1922 di Firenze, confusa e disarticolata per la mole e la varietà delle
opere esposte e di cui manca un catalogo critico. Essa fu ugualmente occasione
importantissima per la conoscenza delle opere del Caravaggio e di altri artisti
ancora da riscoprire tra cui: Bazzani, Magnasco, Cavallino, e «l’aspra
giovinezza del Tiepolo» (Longhi).
Alle due grandi ed esaustive m alla ra di Londra sull’arte fiamminga e olandese,
sembrò rispondere, con senso nazionalista, nel 1930, una magnifica m di arte
italiana: la Exhibition of Italian Art 1200-1900; con opere importantissime, ma
con il gravissimo rischio – ricorda Longhi – della traversata della Manica con
il mare in burrasca. L’esperienza fu ripresa nel 1935 con la «tonante m parigina
«al Petit Palais, intitolata De Cimabue à Tiepolo. L’incanto della m, in cui si
potevano ammirare anche dipinti provenienti dalla Russia, la Giuditta di
Giorgione e le due Madonne leonardesche, portò alla definizione di mostra féerie
o conte de fées.
Nel decennio che corre dal 1930 al 1940 iniziano, sulla scorta degli studi
monografici, le prime grandi m monografiche: oltre alla «discutibile» m
leonardesca, a cura rispettivamente
di Barbantini, Pallucchini, Buscaroli, Molaioli, si aprono quelle su Tiziano,
Tintoretto e Veronese a Venezia, su Melozzo a Forlì (un artista estremamente
sfuggente ma evocativo della terra d’origine del Duce, Mussolini) e la m del
Pordenone a Udine. Ancora del 1933 è la m della Pittura ferrarese del
Rinascimento, curata dal Barbantini, che dette lo spunto all’Officina Ferrarese
di Roberto Longhi. Nel 1935 la m sul Trecento riminese fu curata dal giovane
Cesare Brandi che collaboré) ancora, nello stesso anno, alla m parmense sul
Correggio. Tra il 1935 e il 1939, si collocano, ordinate da Vittorio Viale, la m
della Pittura Bresciana del Rinascimento e la bellissima m di Gotico e
Rinascimento in Piemonte; Sergio Ortolani curò la m sul patrimonio artistico del
Sei-Settecento a Napoli. Per le m di arte antica, la più importante di questi
anni fu certamente la Mostra giottesca del 1937, grande ricognizione sulla
pittura del Duecento e del primo Trecento tenuta a Firenze, il cui catalogo
scientifico (1943), curato da Giulia Sinibaldi e Giulia Brunetti, stimolò nuovi
studi e le originali valutazioni del Giudizio sul Duecento di Roberto Longhi. La
guerra impedì il proseguimento di una bella m del Cinquecento toscano allestita
a Palazzo Strozzi.
Negli anni Trenta (1932-39) attorno alla Galleria del Milione si muovevano
pittori, musicisti, letterati, architetti, e il clima colto e internazionale
suggeriva a Gino Ghiringhelli la produzione di m di arte astratta italiana. Vi
partecipavano Fausto Melotti e Lucio Fontana, Luigi Veronesi, Atanasio Soldati,
Osvaldo Licini, Mauro Reggiani, Bruno Munari, il gruppo di Como: Mario Radice,
Carla Prina, Manlio Rho, Aldo Galli, accanto ad artisti europei (Klee,
Kandinsky, Gris, Arp).
Parigi offre importanti occasioni nel panorama culturale figurativo di quegli
anni, basti pensare alla m dei pittori francesi della realtà, all’Orangerie,
corredata dai buoni studi di Charles Sterling del 1934, mentre la m di Rotterdam
del 1935 dedicata a Vermeer fu motivata dagli studi che avevano riscoperto il
grande maestro. I primi dieci anni del moma vedono una serie di m organizzate
con lo scopo di acquisire una collezione permanente. Infatti la prima m del
museo si inaugurò l’8 novembre 1929 (dieci giorni dopo il crollo di Wall
Street), in un clima del tutto sconfortante, ma il presidente della fondazione,
dal nome del tutto augurale Mr. Goodyear (tesoriere di Rockefeller), venne in
Europa per contattare collezionisti, gallerie, ecc. La m Cézanne, Gauguin,
Seurat, van Gogh ottenne un grande successo: gran parte del pubblico attendeva,
a sedici anni dall’Armory Show, di rivedere questi artisti. La seconda m fu
sempre di pittura, Paintings by Nineteen Living Americans: gli artisti,
selezionati dai soci fondatori, comprendevano Geòrgia O’ Keffe, Marin, Weber e
le m continuarono alternando arte europea e americana come gli Old Masters:
Homer, Ryder e Eakins. Seguirono ancora varie m di pittori francesi come Daumier
e Corot; Toulouse-Lautrec and Redon; Painting in Paris sino alla m d’arte
tedesca Modern German Painting and Sculpture, e m monografiche di Klee, Matisse,
Rivera, sino alla m del 1936: Cubism and Abstract Art che dedica ampio spazio ai
futuristi, seguita poi dall’esposizione Fantastic Art, Dada, Surrealism. In
seguito, sempre a New York, su progetto di Frank L. Wright e finanziamento di
Salomon Guggenheim, apre il Museo d’arte contemporanea, il cui principale scopo
sarà, oltre ad esporre la collezione, di promuovere m di richiamo
internazionale. La fine del conflitto portò, nel 1945, alla m Arte in libertà
organizzata ad Amsterdam nel Rijksmuseum, che presentò novecento opere di
artisti perseguitati dal nazismo
o che comunque avevano opposto un netto rifiuto alla politica culturale della
Kulturkammer. Dalla m trasse vitali spunti di ricerca un nucleo di artisti dei
Paesi Bassi, il Gruppo Cobra, a cui aderirono Karel Appel, Eugene Brand,
Constant, Corneille, il danese Asger Jorn e altri. La loro nuova pittura verrà
esposta per la prima volta nel 1949 allo Stedelijk Museum di Amsterdam.
Nel 1945 nasce a Roma l’Arte Club, associazione culturale che promuove m d’arte
contemporanea, inserendosi nel dibattito di quegli anni (realismo, astrattismo,
neocubismo, pittura astrattoconcreta) anche atraverso un bollettino, mentre
Palma Bucarelli diventerà direttore (per trent’anni) dell’unico museo d’arte
contemporanea in Italia. Milano e Roma divengono sedi importanti di dibattito;
si inaugura a Palazzo Reale la Mostra internazionale di arte astratta e
concreta, che vede Kandinsky, Klee con opere degli anni Trenta, Arp,
Vantongerloo con opere recenti e ancora gli italiani Rho, Radice, Licini,
Veronesi; si giunge alla m del Fronte nuovo delle Arti nella Galleria della
Spiga (Guttuso, Corpora, Turcato, Fazzini) che
si esprime attraverso un realismo non aneddotico, ma che ripropone la realtà con
un nuovo linguaggio. I precedenti sono forse da riscontrare nella m romana di
pittura ufficiale
francese, Pittura francese d’oggi dell’anno precedente e nella m del 1946 Salon
Réalités Nouvelles di Parigi, dove espongono anche Alberto Burri e Mimmo
Rotella.
Il 1948 fu un anno molto importante che vide aprire la V Quadriennale romana con
novecentododici artisti: Boccioni, il gruppo Novecento, Morandi, gli
aereopittori, Magnelli, i neoespressionisti, i realisti; mentre l’Arte Club
organizza Arte Astratta in Italia. A Venezia (oltre alla collezione di
Peggy
Guggenheim appena arrivata nella città lagunare) si inaugura una Biennale ricca
di presenze: L’impressionismo a Venezia, curato da Lionello Venturi e Rodolfo
Pallucchini e retrospettive di Kokoschka, Chagall, Picasso, una piccola m di
Klee, Braque, Schiele, i belgi Magritte, Ensor, Delvaux, Permeke, espressionisti
e realisti tedeschi; inoltre m di artisti italiani dal 1910 al 1947: Balla e
Severini futuristi. Gli artisti italiani erano quattrocentosette e quattro le
sale riservate a personali di De Pisis, Campigli, Mafai, Maccari; partecipano
inoltre gli astrattisti del Gruppo Forma, e una sezione sarà dedicata ad opere
metafisiche, presentate da Francesco Arcangeli: Carrà, De Chirico, Morandi
1910-20.
Alla m bolognese, organizzata da Arcangeli, Gnudi e Raimondi, e intitolata, con
intenti forse provocatori, Prima mostra nazionale d’arte contemporanea Guttuso
espone l’Occupazione delle terre in Sicilia, un soggetto dal chiaro impegno
politico e morale, ma sarà l’astrattismo ad aver un maggior successo all’estero.
A Parigi, curata da Michel Tapié, si apre la m Les signifiants de l’informel;
opere dell’espressionismo astratto e dell’Action painting vengono esposte sia a
Roma che a Milano in differenti sedi e in occasioni diverse: Sam Francis,
Jackson Pollock, Arshile Gorky, Willem De Kooning, Franz Kline, Mark Rothko,
Robert Motherwell, mentre Burri e Capogrossi saranno le presenze italiane alla m
Younger European Painters, svoltasi nel 1953 al Museo Guggenheim di New York.
Milano vive in questi anni una stagione di splendide m grazie a Franco Russoli
con la m monografica di Pablo Picasso nel 1953, Pierre Bonnard nel 1955, Amedeo
Modigliani nel 1958; lo stesso anno, a Venezia, in occasione della Biennale,
Russoli realizza una m eclettica dove compaiono il neoastrattismo e gli inizi
della nuova figurazione.
Tra il 1956 e il 1957 una serie di m monografiche del moma, su Pollock, Balthus,
Matta e David Smith, inaugura una sequenza di retrospettive che fecalizzano
l’attenzione su artisti di mid career e nel 1958-59 l’International Council
organizza la più importante m sull’arte americana del XX sec.: l’espressionismo
astratto. Curata da Dorothy Miller, The New American
Painting toccò otto paesi prima dell’ultima esposizione a New York, che fu un
trionfo.
Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio del decennio successivo varie m
portano alla ribalta artisti, gruppi o tendenze che muteranno radicalmente il
panorama delle arti figurative. Si assiste alla prima m di Piero Manzoni alla
Galleria Pater di Milano (1958): sono esposti i suoi primi Achromes e nel 1960
si inaugura la Galleria Azimut con la m La nuova concezione artistica con opere
di Yves Klein e Manzoni, mentre alla Galleria romana La Tartaruga si ha la prima
m di Jannis Kounellis. Alla Biennale l’Informale vede le premiazioni di Härtung
e Fautrier e, in ambito italiano, di Vedova e Consagra.
Sul versante dell’arte antica la situazione successiva al conflitto portò a
molte m di ricognizione, in occasione della riapertura dei musei, con la
partecipazione attiva dei soprintendenti; tra le altre, nel 1948, il Morassi a
Genova ordina due m, mentre l’esposizione di Cinque secoli di pittura veneziana,
è l’occasione per uno smagliante saggio longhiano. La bellissima m di Giovanni
Bellini, curata da Rodolfo Pallucchini (Venezia, Palazzo Ducale, 1949), raccolse
centotrenta dipinti e fu un’occasione unica per gli studi. La serie delle m di
arte antica veneziane prosegue a cura di Pietro Zampetti con Lorenzo Lotto
(1953), con Giorgione e i giorgioneschi (1955), fino al Crivelli (1961), al
Carpaccio (1963), a Guardi (1965), ai vedutisti (1967). A Firenze Mario Salmi
organizza alcune grandi m di arte antica a Palazzo Strozzi: nel 1954 la m
Quattro pittori del Rinascimento (gli artisti in m tuttavia aumentarono: a Piero
della Francesca, Paolo Uccello, Domenico Veneziano, Andrea del Castagno, fu
aggiunto Masaccio); l’anno seguente fu realizzata la m sul Beato Angelico e nel
1956 la Mostra del Pontormo e del primo manierismo fiorentino. In questa
tradizione salmiana si inseriscono le m di Ugo Procacci di affreschi staccati e
la presentazione su larga scala, delle sinopie (1957, 1958), a cui fu dato un
seguito internazionale con The Great Age af Fresco (New York e altre sedi,
1968), intesa come un atto di riconoscenza alla comunità internazionale per gli
aiuti ricevuti in occasione dell’inondazione di Firenze del 1966.
Ma gli anni Cinquanta vedono come vere protagoniste le m milanesi curate da
Roberto Longhi e allestite in Palazzo Reale: nel 1951 la m monografica di
Caravaggio, che espone quasi tutte le opere del maestro; nel ’53 i Pittori della
realtà in Lombardia (Moroni, Fra’ Galgario, Ceruti) e nel 1958 la splendida Arte
lombarda dai Visconti agli Sforza. Bologna, dopo una m su Giuseppe Maria Crespi
(1948), vede la prestigiosa Mostra della pittura bolognese del ’300 curata da
Roberto Longhi, una grande rassegna che riscopriva un capitolo cruciale della
nostra pittura; ma la tradizione bolognese trova la sua sede naturale nelle
Biennali di arte antica, curate e animate da Cesare Gnudi, che iniziano con un
Guido Reni (1954), in quegli anni di difficilissima ricezione, per proseguire
con i Carracci (1956), con la pittura del Seicento emiliano (1959), con il tema
dell’ideale classico nella pittura di paesaggio (1962) e la m monografica di
Giorgio Morandi (1966).
Dopo la m saggio di Arcangeli Natura ed espressione nella pittura bolognese ed
emiliana (1970) e la m di Federico Barocci, curata con particolare attenzione da
Andrea Emiliani (1975) e le m del Settecento (1979), queste esposizioni hanno
assunto un carattere diverso, molto attento alle esigenze di un’utenza
internazionale. All’estero si ricordano, in tema di arte antica, soprattutto la
bella m di ricognizione del patrimonio artistico francese, De Giotto à Bellini
(1956), che mise in luce le doti di conoscitore di Michel Laclotte, poi il
Cinquecento europeo (1965), Le siècle de Rembrandt (1971); nell’inverno 1974-75
la grande m De David à Delacroix ripercorreva le vicende della pittura francese
negli anni a cavallo della rivoluzione (per la quale non si nascondeva una viva
antipatia) e nel di Palazzo Grassi, offre una lettura storicocritica dell’intero
percorso della pittura nata dall’immagine letteraria: dalle origini in Böcklin e
Max Klinger alla interpretazione di Giorgio De Chirico, alle prospettive aperte
da Carlo Carrà, Giorgio Morandi, Filippo De Pisis, Alberto Savinio
e altri italiani, sino alle influenze dechirichiane su Grosz, Schlichter,
Magritte, Delvaux, Tanguy, Dalí e altri.
Il 1980 è un anno di importanti manifestazioni a Milano organizzate da Lea
Vergine, come L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940, dove la curatrice svela
il panorama internazionale di artiste, cercando di entrare in un «lazzaretto di
regine» volutamente dimenticato; si deve ricordare che Barbara Hepworth si
rifiutò di partecipare a questa m di taglio femminista. A Torino, curata da
Enrico Crispolti, La ricostruzione futurista dell’Universo è allestita
all’interno della Mole Antonelliana recuperata come spazio espositivo. Le m di
pittura si intensificano e così anche gli spazi ad esse consacrati. A Milano, e
già dagli anni Cinquanta, il Pac (padiglione arte contemporanea) organizza
esposizioni di arte italiana o straniera dal Novecento alle ultime tendenze; a
New York il Solomon Guggenheim Museum promuove m volte a sensibilizzare il
pubblico all’arte contemporanea; sulle sponde londinesi del Tamigi la Hayward
Gallery; Parigi inaugura il Centre George Pompidou, sede prestigiosa che solo
nel 1981 ospiterà la m dell’arte italiana Identité italienne. L’art en Italie
depuis 1959, curata da Germano Celant (lo stesso anno di una grande m
monografica di Jackson Pollock).
La geografia internazionale sempre più articolata e ricca moltiplica le
occasioni di nuovi spazi: si pensi alle numerose Kunstvereine tedesche, al PS i
di New York o ai nuovissimi esempi in Spagna; in Italia grazie al restauro del
Castello di Rivoli, trasformato in sede espositiva per l’arte contemporanea, il
curatore Rudi Fuchs propose Overture, una m intesa quale modello museale e non
come intera collezione acquisita. Stimoli provengono anche da centri periferici
come Ravenna, Modena, Ferrara (che ospitò nella seconda metà degli anni Settanta
a Palazzo dei Diamanti le m monografiche di Andy Warhol, Robert Rauschenberg,
Jim Dine), la Fondazione Lucio Amelio di Napoli, nata dalle m Terrae Motus,
allestite nella villa vesuviana di Campolieto e il Museo Pecci di Prato. Per
l’arte antica una serie di m a Bologna, Faenza, Parma, Napoli, nel 1979-80
creano un clima di revival settecentesco. L’enciclopedismo tentato con 1976-77
l’abbinamento di una m sul romanticismo tedesco con una piccola esposizione di
pittura russa dello stesso periodo risultò particolarmente felice, mentre tra le
m monografiche dedicate a singoli artisti vanno ricordate quella di Georges de
la Tour (1972), Gustave Courbet (1977), J.-B.-S. Chardin (1979). Le m
periodicamente organizzate dal Consiglio d’Europa non davano sempre risultati
soddisfacenti; Francesco Arcangeli poteva però giustamente richiamare
l’attenzione su quella londinese del romanticismo (1959). Si ricorderanno poi le
periodiche m su Rembrandt ad Amsterdam e Rotterdam, 1956 e ancora Amsterdam
1969.
Nel 1954 la Biennale vede l’incompresa m di Courbet, oltre a quelle di Klee e
Munch. Nel 1956 la VII Quadriennale di Roma espone Piet Mondrian, con
l’allestimento di Carlo Scarpa. Con la m Arte italiana del XX secolo da
collezioni americane realizzata a Palazzo Reale (1960), promossa e preparata dal
The International Council at the Museum of Modern Art, si ebbe una conferma
dell’interesse che esisteva in America per l’arte italiana del Novecento. Nel
1964 la Pop Art approda alla XXXII Biennale; mentre Franco Russoli cura la
personale di Graham Sutherland alla Galleria Civica di Torino e la m itinerante
della collezione di Gianni Mattioli (1967-72), ordina la X Quadriennale di Roma
(1972-73) e, l’anno successivo, la m Boccioni e il suo tempo (Milano, Palazzo
Reale), che sarà presentata nel 1974 anche a Düsseldorf e a Parigi. Nel 1962, a
Spoleto, Sculture nella città, organizzata da Giovanni Carandente, scopre in un
antico centro storico il contesto ideale per le opere dei protagonisti della
scultura internazionale.
Nel 1974 cade l’anniversario dell’impressionismo e a Parigi si inaugura la m
Centenaire de l’Impressionisms al Grand Palais e ancora nel 1986 alla ng of Art
di Washington, in collaborazione con il Fine Art Museum di San Francisco, si
apre la m The New Painting. Impressionism 1874-1886, che ripercorre le otto
fondamentali m storiche della pittura impressionista.
Un evento culturale di grande importanza vede nel 1977 il Ministero della
cultura francese, il Centre Pompidou e i mn francesi, sulla base di un accordo
formale, collaborare con il moma per l’organizzazione di m prestigiose: inaugura
la cooperazione la m Cézanne: le ultime opere e l’ambiziosa retrospettiva di
Pablo Picasso (1980). Nel 1979 a Venezia La pittura metafisica, curata da
Giuliano Briganti e promossa dall’Istituto di Cultura queste manifestazioni,
trova una realizzazione ancor più ricca (le arti figurative, il collezionismo,
l’astrologia) con m come quelle dedicate in Belgio a Rubens e il suo tempo nel
1977 o con le m Medicee di Firenze del 1980. Purtroppo ne nacque un
fraintendimento della politica
espositiva italiana: seguì infatti un disordinato incremento delle
manifestazioni artistiche alla ricerca di consensi politici che inevitabilmente
sfociarono in una produzione talvolta scadente o scadentissima. Dal pur parziale
panorama appare evidente come le m, oltre a costituire il fondamentale, storico
incontro tra arte (o artista) e pubblico, incontro talvolta difficile nell’arte
contemporanea, si offrono sempre più come momenti di approfondimento delle
scelte del curatore che avvia così una collezione permanente o arricchisce la
raccolta già esistente mettendo in campo valori ignoti ad un pubblico che non
acquista più come nei salons ottocenteschi, ma che ormai anche raramente si
scandalizza.