5/14/2020

Ernst H. Gombrich

(Vienna 1909 – Londra 2001

Storico dell'arte austriaco. Studiò all'Università di Vienna, dove completò la propria formazione nel 1933 con una tesi su Giulio Romano. Collaborò con Ernst Kris alle ricerche sulla psicologia dell’arte, prima di trasferirsi in Gran Bretagna nel 1936, in seguito all'ascesa del nazismo.

Nella capitale britannica conobbe Fritz Saxl e altri allievi di Aby Warburg, fondatore dell’Istituto di ricerca comparata per la storiografia e le metodologia dell’arte. Gombrich partecipò assiduamente all’attività dell’istituto, divenendone direttore tra il 1959 e il 1974. Insegnò inoltre storia dell’arte a Oxford e storia della tradizione classica a Londra (dal 1959 al 1974). )

L'opera di Gombrich testimonia la straordinaria ampiezza delle sue conoscenze, che spaziano dalla psicologia all’epistemologia, dalla psicoanalisi alle scienze sociali, alla storia e alla critica dell'arte; molto importante fu ad esempio il suo interesse per le teorie della percezione, da cui trasse spunti per lo studio della fruizione dell’arte. I suoi libri diedero un nuovo orientamento all’iconologia, proponendo un approccio all’opera d’arte che concilia considerazioni di ordine storico e filosofico con un’attenta analisi delle caratteristiche proprie del linguaggio artistico, fatto di simboli, convenzioni e scarti creativi. )

Fondamentale è quindi per Gombrich il dialogo tra storici dell'arte e studiosi di altre discipline: questa visione interdisciplinare è illustrata in libri come Arte e illusione. Studio sulla psicologia della rappresentazione pittorica (1960, edizione italiana 1965), A cavallo di un manico di scopa (1963, edizione italiana 1971), Norma e forma (1966, edizione italiana 1973), Ideali e idoli (1979, edizione italiana 1986), Il senso dell'ordine (1979, edizione italiana 1984), e L'immagine e l'occhio (1982, edizione italiana 1985). )

Studioso tenace di ogni epoca della storia dell’arte, compreso il magmatico panorama contemporaneo, Gombrich predilesse tuttavia l’arte italiana del Rinascimento, alla quale dedicò saggi specialistici come L'eredità di Apelle (1986). Opera di alta divulgazione fu invece La storia dell'arte raccontata da Ernst H. Gombrich (1950, edizione italiana 1966), che conobbe ampio e duraturo successo. )

A cavallo di un manico di scopa )

"A cavallo di un manico di scopa" raccoglie alcuni dei saggi più noti e apprezzati di Ernst H. Gombrich. Attraverso un percorso teorico che parte dall'analisi delle radici della forma artistica e dallo studio dei meccanismi della percezione visiva per poi toccare argomenti come la natura morta, le immagine satiriche e la storia sociale dell'arte, Gombrich accompagna il lettore nella comprensione di problemi chiave della storia dell'arte del suo tempo, in particolare il tema dell'espressione e quello dell'astrazione. )

I testi chiave di Ernst.H.Gombrich )

Sentieri verso l'arte )

Leonardo Arte edizioni "L'immagine visiva come forma di comunicazione" Pubblicato originariamente in "Scientific American", Special Issue on comunication, vol.272 (1972), pp.82-96. Ristampato in L'immagine e l'occhio, ed. it. 1985 )

Dal contrasto tra la prosa e la poesia dell'immagine sono spesso sorti conflitti tra gli artisti e i loro protettori. E, naturalmente, tali conflitti s'inasprirono quando si prese a parlare esplicitamente di autonomia dell'arte. Fu il concetto romantico di "genio" a porre in rilievo la funzione dell'arte come "espressione della personalità" (anche se lo slogan risale a un periodo più tardo). È questo l'ultimo punto che ci rimane da trattare, giacché, come ricorderete, nella teoria della comunicazione si distingue tra il sintomo che esprime una emozione e i compiti di appello e di descrizione che l'immagine può avere. Certi critici alla buona che parlano dell'arte come forma di comunicazione sembrano spesso credere che le emozioni generatrici dell'opera d'arte vengano trasmesse dall'artista all'osservatore. Questa concezione è stata criticata a più riprese da filosofi e artisti, ma, credo che la sua confutazione più succinta si trovi in un disegno apparso qualche anno fa sul "New Yorker". Il bersaglio della vignetta è proprio l'ambiente in cui la teoria della "espressione della personalità" fu più in voga. La ballerina in erba crede ingenuamente di comunicare l'impressione di un fiore, ma si osservi, invece, che cosa viene in mente ai vari spettatori. Una serie di esperimenti compiuti alcuni decenni fa in Germania da Reinhard Krauss conferma lo scetticismo suggerito dalla vignetta. Si è chiesto ai soggetti di disegnare delle immagini astratte che rappresentassero certe idee ed emozioni che altri avrebbero poi dovuto interpretare. Si è scoperto che i tentativi d'interpretazione sono dapprima casuali; quando si da ai soggetti un elenco di possibili significati, le ipotesi si fanno gradualmente più precise riducendo il numero delle soluzioni: è facile indovinare se un tratto di matita vuoli significare gioia o dolore, pietra o acqua. Molti lettori conoscono la stanza da letto dipinta da Van Gogh ad Arles nel 1888. Si tratta di una delle pochissime opere d'arte di cui sia noto il significato attribuitele dall'autore: "Ho fatto... la mia stanza da letto, con i mobili in legno bianco che lei sa, ebbene mi ha enormemente divertito dipingere quell'interno senza niente, di una semplicità alla Seurat; a tinte piatte ma con pennellate grosse, a pasta piena, i muri lillà pallido... Avrei voluto esprimere con tutti questi toni molto diversi un senso ai riposo assoluto, di bianco non c'è che la piccola nota data dallo specchio con cornice nera..." (Lettera a Gaugin, ottobre 1988).)

Ho ancora gli occhi stanchi, ma intanto avevo una nuova idea nel cervello... Questa volta è la mia stanza da letto, solo che il colore deve fare tutto qui, dando attraverso la sua semplificazione uno stile più grande alle cose, e deve suggerire il riposo o in genere il sonno. Insomma la vista del quadro deve riposare la testa, o meglio l'immaginazione... Le ombre e le ombre rinforzate sono soppresse, il colore è a tinte piatte e schiette come nelle stampe giapponesi. Sarà in contrasto con il Caffè di notte (Lettera a Theo).)

Quest' affermazione ci offre uno spunto importante. Del Caffè di notte Van Gogh aveva scritto di aver voluto mostrare che era un luogo in cui si poteva impazzire. La sua stanza, invece, era per lui un rifugio dopo la tensione del lavoro, ed è appunto il contrasto tra loro a far sì che nella lettera egli insista sulla tranquillità della camera da letto. Il metodo di semplificazione, ispirategli da Seurat e dalle stampe giapponesi, si trova in opposizione con le pennellate espressive, grafologiche, che erano divenute una caratteristica distintiva del suo stile. Van Gogh mette in rilievo questo fatto in un'altra lettera al fratello. "Niente punteggiato, niente tratteggiato, niente, solo tinte piatte ma che armonizzano". La modifica del codice diventa, nell'esperienza di Van Gogh, espressione di tranquillità e riposo. Ma il quadro della stanza da letto comunica veramente questa sensazione? Nessuno dei soggetti ingenui da me interrogati sembra essere arrivato a questa conclusione: essi conoscevano la didascalia ("Camera da letto di Van Gogh"), ma non disponevano del contesto e del codice. La mancata trasmissione del messaggio non depone tuttavia a sfavore dell'artista, o della sua opera. Depone invece a sfavore dell'identificazione tra arte e comunicazione. )