Figlio di un mugnaio di Leida che aggiunse al nome Harmen le parole van Rijn
alludendo al proprio mulino presso il Reno, il pittore firmò per un certo
periodo con le iniziali RH: Rembrandt Harmenszoon. Penultimo di nove figli R,
come scrive Jan Janszoon Orlers nella Beschryvinge der Stadt Leyden (1641),
venne mandato nel 1615 alla Scuola latina di Leida, ma dopo aver passato le
prove per l’ammissione all’Università (come risulta da un documento), dovette
mettere assai presto da parte gli studi per entrare come apprendista intorno al
1619 nella bottega del modesto pittore Jacob van Swanenburgh, assai stimato in
città. Da Leida R si recò ad Amsterdam nel 1624 dove entrò in rapporto con il «pictor
doctus» Lastman, ben piú importante per la sua formazione, che aveva una bottega
non lontano dalla gilda di San Luca. L’alunnato presso Lastman diede occasione a
R di entrare in contatto con la pittura di storia e di soggetto mitologico oltre
che con il vivace ambiente di Amsterdam, aperto agli stimoli della pittura
europea e italiana. Tornato a Leida, dovette con molta probabilità aprire una
sua bottega come fa pensare la documentata commissione di dipinti di soggetto
storico (perduti) nel 1625 da parte di Gaspar Barlaeus; a questo primo periodo
di attività risalgono dipinti di genere, alcuni ritratti familiari, e dipinti di
soggetto storico e religioso: La lapidazione di santo Stefano (1625: Lione, mba),
commissionato dall’umanista Petrus Scriverius con il probabile pendant Palamede
davanti ad Agamennone (1626: Leida, sm), l’invenzione narrativa dell’Asina di
Balaam del 1626 (Parigi, Musée Cognacq- Jay; soggetto già trattato da Lastman),
la Cacciata dei mercanti dal Tempio (Mosca, Museo Pu∫kin) e la concettosa
composizione del Concerto (Amsterdam, Rijksmuseum) che ricorda i disegni di
Adriaen van de Venne per le incisioni dello Specchio del tempo vecchio e nuovo
di Jacob Cats (1632). Chiude questa serie il capolavoro Tobia, Anna e il
capretto (1626: ivi, soggetto ispirato a una
stampa tratta da Maerten van Heemskerck), nel quale la precisione maniacale dei
dettagli d’ambiente e la monumentalità delle figure sono immerse entro un
complesso gioco luministico dando prova di una raggiunta indipendenza pittorica
ed espressiva.
L’abbandono della policromia aggressiva delle prime opere e l’eco caravaggesca che proviene a R attraverso i motivi dei «notturni» di Honthorst e
il rapporto con il «circolo dei caravaggisti di Utrecht», si trovano in Il ricco
della parabola detto anche Cambiavalute (1627: Berlino, sm) immerso in tonalità
pacate bruno-dorate nel chiarore della luce di una candela: una interpretazione
assai personale in cui il gioco luministico favorisce il risalto di particolari
descritti accuratamente sull’atmosfera indefinita del fondo. Mai sino ad allora
il chiaroscuro era stato maneggiato con tanta sottigliezza e padronanza nello
studio delle gradazioni luministiche, superando la problematica del rapporto tra
lume naturale e artificiale tipica dei caravaggeschi in dipinti in cui la luce
sbozza le forme, suggerendo espressive atmosfere che sottolineano
l’atteggiamento psicologico dei personaggi protagonisti del dramma (cfr. ad
esempio San Paolo in meditazione, 1629-30 ca.: Norimberga,
Germanisches Nationalmuseum; Geremia lamenta la distruzione di Gerusalemme,
1630: Amsterdam, Rijksmuseum).
Il repertorio di R è quello tipico di un pittore di storia del sec. XVII,
comprendendo anche ritratti e figure di ogni sorta; il gusto innato per
l’espressione psicologica e l’eccezionale maestria tecnica di R, giungono a
risultati singolarmente emozionanti – come dice H. Gerson, per il maestro «la
storia possedeva tutta l’attualità della vita e la vita tutta la dignità della
storia» – rispetto ai suoi contemporanei, spostando l’interesse dalla
descrizione alla teatralizzazione della figura e del tema (cfr. Giuda rende i
trenta denari, 1629 ca.: coll. priv.), in pagine di pittura che suscitarono
presto l’apprezzamento dei contemporanei. Va aggiunto poi che R predilesse la
pittura di ritratto accanto alle tematiche storiche, come motivo di studio
libero dell’espressione, ma insieme anche come forma di autobiografia,
documentata da circa 80 autoritratti che seguono le fasi della sua vita
d’artista (Autoritratto con gorgiera, 1629 ca.: L’Aja, Mauritshuis; Il pittore
nello studio, 1629 ca.: Boston, mfa, recentemente attribuito con certezza al
pittore) o ancora tornò con insistenza sugli studi di teste di vecchi (Ritratto
di anziano con berretto di pelliccia, 1630: Innsbruck, Tiroler Landesmuseum
Ferdinandeum; Donna anziana in preghiera, 1629-30 ca.: Salisburgo,
Landessammlungen Residenzgalerie).
A Leida R ebbe già alcuni giovani allievi tra cui Gerrit Dou (1628) e collaborò
con Jan Lievens suo coetaneo (si confrontino Jan Lievens, La resurrezione di
Lazzaro, 1631: Brighton, ag and Museum; R, La Resurrezione di Lazzaro, dopo il
1630: Los Angeles, County Museum of Art), che a quell’epoca dovette partecipare
dei problemi di tecnica pittorica sviscerati da R e tipici in seguito del suo
modo di mescolare dettagli espressivi e libertà pittorica in una grande unità
compositiva e spaziale (cfr. ad esempio l’attenzione posta nei gesti
nell’incisione del 1632ca.: La resurrezione di Lazzaro: Haarlem, Teylers Museum
o Simeone nel Tempio, 1631: L’Aja, Maurithuis). Quel «drame naturel et vivant»
(Baudelaire, 1846), sottolineato nella sua pittura dai contemporanei e dalla
critica successiva, è tradotto in una studiata resa pittorica fatta di
pennellate corpose e spesse che lavorano quasi a rilievo la superficie (si veda
ad esempio il Ritratto di Jan Six del 1654: Amsterdam, coll. Six), di
sgraffiature (cfr. le lumeggiature della capigliatura dell’Autoritratto del
Rijksmuseum di Amsterdam); R adotterà una maniera «abbozzata», d’effetto,
costruita sull’abilità di trattare il colore utilizzando anche materiali
costosi, come nella
Ronda di notte o nella citata Resurrezione di Lazzaro di Los Angeles dove il
pittore usa l’oro (si è ipotizzata da parte della critica la riscoperta delle
tradizioni di bottega medievali), suggerendo tramite la materia pittorica quella
particolare resa illusionistica di preziosi dettagli che sostituisce
la precisione descrittiva di cui fanno mostra i dipinti olandesi contemporanei
(si veda ad esempio la catena dell’Aristotele che contempla il busto di Omero
del 1653).
A R e Lievens, Huygens dedicherà note di merito ma anche il rimprovero di essere
«alquanto sicuri di sé» non avendo seguito il consiglio di «fare un viaggio di
studi di un paio di mesi in Italia», una mancanza che li pone fuori dal normale
tirocinio artistico agli occhi dei contemporanei: «Se qualcuno potesse far
entrar ciò in quelle giovani teste, introdurrebbe davvero l’unico elemento che
manca affinchè il loro talento artistico sia completo» (Autobiografia, 1629-31
ca., edita solo nel 1891). Constantijn Huygens ci illumina d’altra parte sulle
qualità della pittura di R, da lui apprezzata per la «precisione» e per la
«vivacità della resa delle emozioni», ma soprattutto per la capacità con cui
questo «ragazzo olandese, un mugnaio» è riuscito a imprimere carattere a una
figura umana «rendendola nella sua totalità», superando gli esempi antichi di
Protogene, Apelle e Parrasio.
Dopo il giugno del 1631 R, spinto dal successo, si stabilì ad Amsterdam presso
il mercante d’arte Hendrick Uylenburgh nella Sint Anthonisbreestraat, lavorando
presso quella che Baldinucci definì «la famosa Accademia di Eeulenborg»; tramite
quest’ultimo dovettero giungere diverse commissioni tra cui quelle per ritratti;
i suoi contatti saranno con ricchi commercianti come il birraio di Rotterdam
Dirck Pesser e la moglie, personalità della Compagnia delle Indie, il
costruttore di navi Jan Rijcksen (Ritratto del costruttore navale con la moglie,
1633: Londra, Buckingham Palace), la giovane coppia di sposi benestanti di
Amsterdam (Marten Soolmans e Oopjen Coppit,1634: Parigi, coll. priv.), o i
dignitari dell’Aja come Maurits Hygens (1632: Amburgo, kh), Amalia van Solms
(1632: Parigi, Museo Jacquemart-André) moglie dello statolder Federico Enrico,
il pastore rimostrante Johannes Wtenbogaert dell’Aja che si fece ritrarre da R
ad Amsterdam (1633) o il pittore Jacques de Gheyn (1632: Londra, Dulwich Picture
Gallery).
Uno dei piú celebri dipinti del periodo resta la Lezione di anatomia
del dottor Tulp (1632: L’Aja, Mauritshuis), praelector della gilda dei
chirurghi, che affronta una delle «specialità» piú richieste della pittura
olandese, il ritratto di gruppo di membri delle corporazioni cittadine, qui
rielaborato da R in una composizione espressiva che illustra uno degli aspetti
tipici dei dipinti del maestro: la vivacità dei gesti delle figure colte
nell’atto di parlare. Tutti i ritratti di questo primo periodo di Amsterdam
presentano qualità di osservazione psicologica e intelligenza compositiva nella
scelta dell’atteggiamento e nell’equilibrio sottilmente dinamico della figura,
ritratta su sfondi grigio chiari con un’illuminazione che crea ombre marcate e
risalti spaziali. Riconosciuto ritrattista, scelse spesso formati ambiziosi (Il
ritratto del pastore Ellison e di sua moglie, 1634: Boston, mfa), suggerendo
nella positura del volto e nello studio delle mani una presenza istantanea e
vibrante dei personaggi aristocratici ritratti (Maarten Looten, 1632: Los
Angeles, County Museum of Art).
Il 1633 è l’anno in cui R si fidanza con Saskia Uylenburgh, nipote del mercante,
acquisendo con il matrimonio la cittadinanza di Amsterdam ed entrando nella
gilda di San Luca; sempre in questo periodo il pittore comincia a firmarsi
«Rembrandt» ispirandosi all’uso degli artisti del rinascimento italiano. Le
ricche ed esotiche atmosfere del gusto seicentesco in Olanda caratterizzano gli
autoritratti e i ritratti di questa nuova fase della sua produzione in cui
Saskia è la modella di sontuose composizioni (cfr. il profilo araldico del
Ritratto di Saskia con cappello, 1634: Kassel, gg), e appare ritratta in
numerose altre
occasioni, dal doppio ritratto Rembrandt e Saskia (1635-36: Dresda, gg), ambigua
celebrazione del nuovo status sociale raggiunto dall’artista, e probabilmente
nei dipinti mitologici in veste di Flora (1634: San Pietroburgo, Ermitage;
Ritratto di Saskia (?) in veste di Flora: Londra,ng).
Ad Amsterdam R proseguí la
sua attività di pittore di storia rielaborando composizioni del suo antico
maestro Lastman, ma anche di Rubens, confrontando questi ultimi con nuovi
modelli pittorici italiani (cfr. ad esempio Il sacrificio di Isacco, 1635: San
Pietroburgo, Ermitage). Come nel ritratto i suoi mezzi pittorici si raffinano e
gli effetti luministici, cosí spettacolari a Leida, sono piú studiati e meno
brutali; la ricchezza degli accessori impiegati, i pittoreschi modelli – spesso
ebrei, R frequentava tra l’altro il rabbino teologo Menasseh ben Israel –,
rivelano con evidenza la familiarità con il ricco ambiente del mercante
Uylenburgh. Agli anni Trenta risale poi uno dei rari incarichi ufficiali
ricevuti da R: la serie dei cinque quadri della Vita di Cristo (Monaco, ap) da
parte dello statolder Federico Enrico dipinti tra il 1632 e il 1646 (L’erezione
della croce, in cui R si autorappresenta in veste di carnefice; la Deposizione
dalla croce; l’Ascensione e la Resurrezione che sono le opere piú movimentate
del maestro in cui la sostanza chiaroscurale dà luogo a effetti irreali e
fantastici).
L’ambizione di R di rivaleggiare con la grande pittura barocca è
del resto dimostrata dalla scelta di formati monumentali, ad esempio nella Sacra
Famiglia del 1634 ca. (Monaco, ap), nel citato Sacrificio di Isacco e nel
tumultuoso Accecamento di Sansone (1636: Francoforte, ski), che consente di
misurare l’affinamento tecnico nello studio degli effetti luministici quale
animato mezzo di scavo psicologico. A dipinti nella tradizione della pittura
religiosa eroica, come il soggetto neotestamentario di Daniele e Ciro davanti
all’idolo di Bel (1633: coll. priv.) o Il festino di Baltassar del 1635 ca.
(Londra, ng), R alterna quadri di minor formato come Susanna sorpresa dai
vecchioni (1636: L’Aja, Mauritshuis), complesse metafore mitologiche (Il ratto
di Ganimede, 1635: Dresda, gg), brillanti e plastici ritratti di potente resa
luministica e ricchezza coloristica (Ritratto di portastendardo, 1636: Parigi,
coll. priv.), in cui il pittore fa risaltare le sue capacità di mimesi nel
riprodurre le sensazioni visive e tattili dei ricchi materiali (cfr. il Ritratto
d’uomo in costume orientale, 1639 ca.: Chatsworth, coll. del Duca di
Devonshire).
Va precisato, per inciso, che il periodo di attività che copre gli
anni dal 1625 al 1642 è stato recentemente sottoposto a verifica da parte degli
studiosi del «Rembrandt Research Project», i quali dal 1969 a oggi hanno cercato
di definire l’opera autografa del pittore, restringendo il suo corpus a circa
300 pezzi e allargando nel contempo l’importanza dell’intervento nella
produzione rembrandtiana della sua affollata bottega (Jacob Backer, Willem de
Poorter, Jacob de Wet e poi Govaert Flinck, Bol, Eeckhout, Paudiss, Doomer,
Carel Fabritius, van der Pluym, Hoogstraten, Keil – il Monsú Bernardo che
informò cosí bene Baldinucci sul maestro – Nicolaes Maes, Renesse, Drost, Aert
de Gelder); il problema attributivo sollevato dagli studi ha aperto anche
revisioni critiche sul concetto di autografia nel Seicento spostando
l’attenzione sul modo di produzione di bottega, sull’«officina», in cui R,
imprenditore di se stesso, si arricchiva vendendo dipinti e stampe da lui
firmati fatti «da un numero quasi infinito di ragazzi illustri che andavano da
lui per istruirsi e apprendere» (J. Sandrart, Teutsche Academie, 1645)
ricalcando il suo stile.
La produzione di R che rappresentava «una novità per quel tempo» (Houbraken)
sembra diminuire nella seconda metà degli anni Trenta; d’altra parte il pittore
cominciò in questo periodo a dedicarsi anche al commercio di oggetti d’arte,
collezionando egli stesso quadri, disegni – specialmente italiani –, armi,
sculture, incisioni, curiosità esotiche che riemergono dal suo repertorio
orientaleggiante (copiò anche miniature indo-persiane; l’interesse per questo
tipo di curiosità è dimostrato ad esempio dall’incisione La conchiglia, 1650:
Londra, bm). Nel 1639 R, al culmine della sua energia, acquistò per 13000
fiorini una vasta dimora nella Sint Anthonisbreestraat (attuale Rembrandthuis),
centro del commercio artistico, ma la difficoltà di pagarne le rate procurerà da
allora al maestro crescenti preoccupazioni finanziarie, aggravate dalla nascita
di Titus (1641) e dalla precoce morte di Saskia (1642) e dai successivi
problematici rapporti con la nutrice di Titus, Geertge Dircx, la quale intenterà
contro il pittore un processo per rottura della promessa di matrimonio, a causa
della relazione con la domestica Hendrickje Stoffels con la quale R istaura una
convivenza che solleverà non poche critiche.
Nel corso di questo decennio si moltiplicano i soggetti religiosi caratterizzati
da un’animazione interiore crescente e dall’intensificarsi degli effetti
luministici: la luce «irradiante» inonda il quadro e anima d’intenso
pittoricismo volti e oggetti su un indistinto fondo scuro (Autoritratto con
tornabuso, 1639: Dresda, gg; Saskia con un fiore, 1641: ivi); la sua pittura,
giocando su potenti impasti materici tende a quell’aspetto grumoso e ruvido che
affascinò pittori come Fabritius (Cristo e l’adultera, 1644: Londra, ng). In
questo periodo si afferma in modo sempre piú netto l’impegno nell’organizzazione
dello spazio costruito con impaginazioni fortemente architettoniche, e la
ricerca d’equilibrio tra resa dei particolari, contrasti luministici e pregnanza
plastica espressa nell’Autoritratto con camicia ricamata del 1640 (ivi) ispirato
al Ritratto di ignoto di Tiziano, non raro esempio di suggestioni dalla pittura
italiana (si veda il Ritratto di donna alla finestra del 1656-57: Berlino,sm, gg,
vicino al Ritratto di giovane donna di Londra attribuito a Palma il Vecchio; la
meditazione ad acquaforte sull’iconografia del Calvario, in particolare da
Mantegna, nell’incisione le Tre croci del 1653). Di grande interesse è poi il
doppio ritratto «parlante» del predicatore mennonita Cornelis Claesz Anslo con
la moglie Aeltje Gerritsdr. Schoute (1641: ivi), che pone al centro dell’opera
il primato della parola sull’immagine derivante dalla concezione religiosa
mennonita – sul ritratto Vondel compose la significativa quartina: «Oh
Rembrandt, dipingi la voce di Cornelis, il suo aspetto esteriore è il meno di
lui... chi vuole vedere Ansio deve ascoltarlo».
All’incirca a questo
periodo risale anche la suggestiva apertura atmosferica del Paesaggio con ponte
in muratura (1638 ca.: Amsterdam, Rijksmuseum), che supera il semplice motivo
naturalistico nell’inquietudine celata dal minaccioso cielo nuvoloso,
contrastata interpretazione degli elementi naturali scelta in varie occasioni
dal pittore (Paesaggio con un castello, 1640 ca.: Parigi, Louvre; Paesaggio
fluviale, 1654 ca.: Kassel, gg), e che ricorda la natura mutevole del «notturno»
del Riposo nella fuga in Egitto (1647: Dublino,ng of Ireland). Piú e oltre che
nella Ronda di notte (Amsterdam, Rijksmuseum), superba e movimentata
composizione
pittorica del 1642 che guarda alle precedenti opere degli anni Trenta, il R di
questi anni risalta in dipinti commossi, raccolti, dal luminismo intenso e dal
colore caldo e profondo (la Sacra famiglia, 1646: Kassel, gg; l’Adorazione dei
pastori, 1646: Monaco, ap; Ragazza affacciata alla finestra, 1645: Londra,
Dulwich College Gallery).
Tra gli anni Quaranta e Cinquanta R dipinse anche quei sensuali ritratti di
donne a grandezza naturale in interni fortemente chiaroscurali che rielaborano
schemi compositivi precedenti come il Ritratto di giovane donna a letto (1645
ca.: Edimburgo, ng of Scotland), Susanna al bagno (1647: Berlino, sm, gg), cui
seguirà la Betsabea con la lettera di David (1654: Parigi, Louvre), o la sciolta
composizione pittorica della Giovane che si bagna in un ruscello (1654: Londra,
ng).
Al calo del mercato d’arte seguito alla prima guerra anglo-olandese s’aggiungono
le crescenti difficoltà finanziarie che costrinsero il pittore (la cui
produzione era legata al libero mercato diversamente che per pittori come Flinck,
organizzati in «accademie» che assolvevano al compito di proteggere il loro
status e di favorire il rapporto con committenti e mecenati altolocati), a
dichiarare bancarotta nel 1656, a vendere la sua collezione (1657) e la sua casa
(1658), situazione gestita attraverso la creazione di una «società» amministrata
da Hendrickje Stoffels, concubina del pittore, esclusa per questo dalla comunità
dei riformati, e dal figlio Titus, tramite la quale la produzione pittorica di
questi anni diventerà moneta di scambio con i creditori del pittore. A questo
periodo appartengono la rara natura morta del Bue macellato (1655: Parigi,
Louvre), e soprattutto quei ritratti «morali», figure di risonanza simbolica o
letteraria, tratti dal repertorio eroico e leggendario della cultura barocca:
l’Aristotele con il busto di Omero (New York, mma), commissionato
insieme all’Omero cieco (dipinto non individuato) da don Vincenzo Ruffo dalla
lontana Messina nel 1653, il dipinto di Flora di New York (1654-55: mma), e i
numerosi ritratti del figlio Titus (Ritratto di Titus che studia, 1655:
Rotterdam, bvb).
L’incidente sopravvenuto con il nobiluomo siciliano Vincenzo Ruffo che rimanda indietro l’Omero cieco «per perfettionarlo per l’intero» e con
il portoghese Adrada (nel 1654 R rifiuta di ritoccare un ritratto giudicato poco
rassomigliante), fa luce sulle incomprensioni del pubblico e sul mutamento di
gusto della committenza, esemplificato nella produzione di questi anni dalla
scelta di una piú tradizionale composizione per La lezione d’anatomia del dottor
Deyman (1656: Amsterdam, Rijksmuseum) rispetto alla precedente rivoluzionaria
Lezione d’anatomia del dottor Tulp che interpreta il soggetto al pari di un
dipinto di storia; qualche anno piú tardi, la rimozione immediata della lunetta
con Il giuramento dei Batavi (Stoccolma, nm) commissionata dai borgomastri per
il nuovo municipio di Amsterdam (1662), testimonia delle preferenze ufficiali
per la pittura rifinita – fijn –, ma anche dell’isolamento di R dagli ambienti
ufficiali rispetto al suo allievo Govert Flinck, il quale ricevette la
commissione per sette opere nel municipio.
Sul piano della tecnica pittorica le
opere degli anni Cinquanta e Sessanta – le figure letterarie (Uomo con armatura
detto anche Alessandro il Grande, 1655 : Glasgow, ag) , gli apostoli tra cui
l’Evangelista Matteo ispirato dall’angelo (1661: Parigi, Louvre), i ritratti
(Jacob Trip, 1661 ca.: Londra, ng; Marguerite de Geer, 1661: ivi; il Ritratto
dei sindaci dei drappieri, 1662: Amsterdam, Rijksmuseum) – presentano
ineguagliato splendore nel colorire «abbozzato» che mette in evidenza la trama
delle pennellate costruendo grumosi impasti materici e coloristici negli ultimi
capolavori come La sposa ebrea (1655 ca.: ivi), o Il ritorno del figliol prodigo
(1662 ca.: San Pietroburgo, Ermitage), liberi dai canoni classici della pittura
di storia (cfr. La negazione di san Pietro, 1660: Amsterdam, Rijksmuseum).
L’eco della straordinaria e personalissima abilità del maestro ci giunge nel
giudizio della critica amatoriale del periodo, oscillante tra apprezzamento e
preferenze classicistiche, tramite le parole di Filippo Baldinucci: «Questo
pittore, siccome fu molto diverso di cervello dagli altri uomini nel governo di
se stesso, cosí fu anche stravagantissimo nel modo di dipingere e si fece una
maniera che si può dire che fosse intieramente sua, senza dintorno bensì o
circoscrizione di linee interiori né esteriori, tutta fatta di colpi strapazzati
e replicati, con gran forza di scuri a suo modo, ma senza scuro profondo»
(Notizie de’ Professori del disegno da Cimabue in qua, 1681).
La libertà
espressiva delle opere degli ultimi critici anni (Ritratto di famiglia, 1665
ca.: Braunschweig, Herzog-Anton-Ulrich-Museum; Ritratto di Jeremías de Decker,
1666: San Pietroburgo, Ermitage) si chiude intorno a quella specie di testamento
cézanniano, di sorprendente saggio di composizione degli autoritratti
(Autoritratto con tavolozza e pennelli, 1665 ca.: Londra, Iveagh Bequest Kenwood
Hause; Ultimo autoritratto, 1669: L’Aja, Mauritshuis), ma anche di resoconto
umano visivo, che accompagna il pittore dall’epica dell’Autoritratto come
Ariosto del 1640 fino alla satira di se stesso poco prima di morire
(Autoritratto come Zeusi, 1669 ca.: Colonia, Wallraf- Richartz-Museum).
Nel
complesso il corpus rembrandtiano, considerevolmente sfrondato dalla critica
recente, conta circa trecento dipinti (tra le espunzioni proposte si ricorda
l’Uomo con l’elmo d’oro di Berlino, passato alla cerchia del maestro; i dubbi
sollevati sul famoso dipinto del Cavaliere polacco: New York, coll. Frick, e su
David che suona davanti a Saul dell’Aja) e 287 incisioni tra cui il drammatico
paesaggio che indugia sugli effetti dei fenomeni atmosferici dei Tre alberi o il
Paesaggio con la tenuta del Goldwager (1651), oltre ai disegni come la Veduta
sull’IJ nei pressi di Amsterdam di Chatsworth, il Ritratto di Saskia di Berlino.