5/12/2020

Rembrandt (Rembrandt Harmensz van Rijn, detto) (Leida 1606 - Amsterdam 1669).

Figlio di un mugnaio di Leida che aggiunse al nome Harmen le parole van Rijn alludendo al proprio mulino presso il Reno, il pittore firmò per un certo periodo con le iniziali RH: Rembrandt Harmenszoon. Penultimo di nove figli R, come scrive Jan Janszoon Orlers nella Beschryvinge der Stadt Leyden (1641), venne mandato nel 1615 alla Scuola latina di Leida, ma dopo aver passato le prove per l’ammissione all’Università (come risulta da un documento), dovette mettere assai presto da parte gli studi per entrare come apprendista intorno al 1619 nella bottega del modesto pittore Jacob van Swanenburgh, assai stimato in città. Da Leida R si recò ad Amsterdam nel 1624 dove entrò in rapporto con il «pictor doctus» Lastman, ben piú importante per la sua formazione, che aveva una bottega non lontano dalla gilda di San Luca. L’alunnato presso Lastman diede occasione a R di entrare in contatto con la pittura di storia e di soggetto mitologico oltre che con il vivace ambiente di Amsterdam, aperto agli stimoli della pittura europea e italiana. Tornato a Leida, dovette con molta probabilità aprire una sua bottega come fa pensare la documentata commissione di dipinti di soggetto storico (perduti) nel 1625 da parte di Gaspar Barlaeus; a questo primo periodo di attività risalgono dipinti di genere, alcuni ritratti familiari, e dipinti di soggetto storico e religioso: La lapidazione di santo Stefano (1625: Lione, mba), commissionato dall’umanista Petrus Scriverius con il probabile pendant Palamede davanti ad Agamennone (1626: Leida, sm), l’invenzione narrativa dell’Asina di Balaam del 1626 (Parigi, Musée Cognacq- Jay; soggetto già trattato da Lastman), la Cacciata dei mercanti dal Tempio (Mosca, Museo Pu∫kin) e la concettosa composizione del Concerto (Amsterdam, Rijksmuseum) che ricorda i disegni di Adriaen van de Venne per le incisioni dello Specchio del tempo vecchio e nuovo di Jacob Cats (1632). Chiude questa serie il capolavoro Tobia, Anna e il capretto (1626: ivi, soggetto ispirato a una stampa tratta da Maerten van Heemskerck), nel quale la precisione maniacale dei dettagli d’ambiente e la monumentalità delle figure sono immerse entro un complesso gioco luministico dando prova di una raggiunta indipendenza pittorica ed espressiva.


L’abbandono della policromia aggressiva delle prime opere e l’eco caravaggesca che proviene a R attraverso i motivi dei «notturni» di Honthorst e il rapporto con il «circolo dei caravaggisti di Utrecht», si trovano in Il ricco della parabola detto anche Cambiavalute (1627: Berlino, sm) immerso in tonalità pacate bruno-dorate nel chiarore della luce di una candela: una interpretazione assai personale in cui il gioco luministico favorisce il risalto di particolari descritti accuratamente sull’atmosfera indefinita del fondo. Mai sino ad allora il chiaroscuro era stato maneggiato con tanta sottigliezza e padronanza nello studio delle gradazioni luministiche, superando la problematica del rapporto tra lume naturale e artificiale tipica dei caravaggeschi in dipinti in cui la luce sbozza le forme, suggerendo espressive atmosfere che sottolineano l’atteggiamento psicologico dei personaggi protagonisti del dramma (cfr. ad esempio San Paolo in meditazione, 1629-30 ca.: Norimberga, Germanisches Nationalmuseum; Geremia lamenta la distruzione di Gerusalemme, 1630: Amsterdam, Rijksmuseum).

Il repertorio di R è quello tipico di un pittore di storia del sec. XVII, comprendendo anche ritratti e figure di ogni sorta; il gusto innato per l’espressione psicologica e l’eccezionale maestria tecnica di R, giungono a risultati singolarmente emozionanti – come dice H. Gerson, per il maestro «la storia possedeva tutta l’attualità della vita e la vita tutta la dignità della storia» – rispetto ai suoi contemporanei, spostando l’interesse dalla descrizione alla teatralizzazione della figura e del tema (cfr. Giuda rende i trenta denari, 1629 ca.: coll. priv.), in pagine di pittura che suscitarono presto l’apprezzamento dei contemporanei. Va aggiunto poi che R predilesse la pittura di ritratto accanto alle tematiche storiche, come motivo di studio libero dell’espressione, ma insieme anche come forma di autobiografia, documentata da circa 80 autoritratti che seguono le fasi della sua vita d’artista (Autoritratto con gorgiera, 1629 ca.: L’Aja, Mauritshuis; Il pittore nello studio, 1629 ca.: Boston, mfa, recentemente attribuito con certezza al pittore) o ancora tornò con insistenza sugli studi di teste di vecchi (Ritratto di anziano con berretto di pelliccia, 1630: Innsbruck, Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum; Donna anziana in preghiera, 1629-30 ca.: Salisburgo, Landessammlungen Residenzgalerie).

A Leida R ebbe già alcuni giovani allievi tra cui Gerrit Dou (1628) e collaborò con Jan Lievens suo coetaneo (si confrontino Jan Lievens, La resurrezione di Lazzaro, 1631: Brighton, ag and Museum; R, La Resurrezione di Lazzaro, dopo il 1630: Los Angeles, County Museum of Art), che a quell’epoca dovette partecipare dei problemi di tecnica pittorica sviscerati da R e tipici in seguito del suo modo di mescolare dettagli espressivi e libertà pittorica in una grande unità compositiva e spaziale (cfr. ad esempio l’attenzione posta nei gesti nell’incisione del 1632ca.: La resurrezione di Lazzaro: Haarlem, Teylers Museum o Simeone nel Tempio, 1631: L’Aja, Maurithuis). Quel «drame naturel et vivant» (Baudelaire, 1846), sottolineato nella sua pittura dai contemporanei e dalla critica successiva, è tradotto in una studiata resa pittorica fatta di pennellate corpose e spesse che lavorano quasi a rilievo la superficie (si veda ad esempio il Ritratto di Jan Six del 1654: Amsterdam, coll. Six), di sgraffiature (cfr. le lumeggiature della capigliatura dell’Autoritratto del Rijksmuseum di Amsterdam); R adotterà una maniera «abbozzata», d’effetto, costruita sull’abilità di trattare il colore utilizzando anche materiali costosi, come nella
Ronda di notte o nella citata Resurrezione di Lazzaro di Los Angeles dove il pittore usa l’oro (si è ipotizzata da parte della critica la riscoperta delle tradizioni di bottega medievali), suggerendo tramite la materia pittorica quella particolare resa illusionistica di preziosi dettagli che sostituisce la precisione descrittiva di cui fanno mostra i dipinti olandesi contemporanei (si veda ad esempio la catena dell’Aristotele che contempla il busto di Omero del 1653).

A R e Lievens, Huygens dedicherà note di merito ma anche il rimprovero di essere «alquanto sicuri di sé» non avendo seguito il consiglio di «fare un viaggio di studi di un paio di mesi in Italia», una mancanza che li pone fuori dal normale tirocinio artistico agli occhi dei contemporanei: «Se qualcuno potesse far entrar ciò in quelle giovani teste, introdurrebbe davvero l’unico elemento che manca affinchè il loro talento artistico sia completo» (Autobiografia, 1629-31 ca., edita solo nel 1891). Constantijn Huygens ci illumina d’altra parte sulle qualità della pittura di R, da lui apprezzata per la «precisione» e per la «vivacità della resa delle emozioni», ma soprattutto per la capacità con cui questo «ragazzo olandese, un mugnaio» è riuscito a imprimere carattere a una figura umana «rendendola nella sua totalità», superando gli esempi antichi di Protogene, Apelle e Parrasio.

Dopo il giugno del 1631 R, spinto dal successo, si stabilì ad Amsterdam presso il mercante d’arte Hendrick Uylenburgh nella Sint Anthonisbreestraat, lavorando presso quella che Baldinucci definì «la famosa Accademia di Eeulenborg»; tramite quest’ultimo dovettero giungere diverse commissioni tra cui quelle per ritratti; i suoi contatti saranno con ricchi commercianti come il birraio di Rotterdam Dirck Pesser e la moglie, personalità della Compagnia delle Indie, il costruttore di navi Jan Rijcksen (Ritratto del costruttore navale con la moglie, 1633: Londra, Buckingham Palace), la giovane coppia di sposi benestanti di Amsterdam (Marten Soolmans e Oopjen Coppit,1634: Parigi, coll. priv.), o i dignitari dell’Aja come Maurits Hygens (1632: Amburgo, kh), Amalia van Solms (1632: Parigi, Museo Jacquemart-André) moglie dello statolder Federico Enrico, il pastore rimostrante Johannes Wtenbogaert dell’Aja che si fece ritrarre da R ad Amsterdam (1633) o il pittore Jacques de Gheyn (1632: Londra, Dulwich Picture Gallery).

Uno dei piú celebri dipinti del periodo resta la Lezione di anatomia del dottor Tulp (1632: L’Aja, Mauritshuis), praelector della gilda dei chirurghi, che affronta una delle «specialità» piú richieste della pittura olandese, il ritratto di gruppo di membri delle corporazioni cittadine, qui rielaborato da R in una composizione espressiva che illustra uno degli aspetti tipici dei dipinti del maestro: la vivacità dei gesti delle figure colte nell’atto di parlare. Tutti i ritratti di questo primo periodo di Amsterdam presentano qualità di osservazione psicologica e intelligenza compositiva nella scelta dell’atteggiamento e nell’equilibrio sottilmente dinamico della figura, ritratta su sfondi grigio chiari con un’illuminazione che crea ombre marcate e risalti spaziali. Riconosciuto ritrattista, scelse spesso formati ambiziosi (Il ritratto del pastore Ellison e di sua moglie, 1634: Boston, mfa), suggerendo nella positura del volto e nello studio delle mani una presenza istantanea e vibrante dei personaggi aristocratici ritratti (Maarten Looten, 1632: Los Angeles, County Museum of Art).

Il 1633 è l’anno in cui R si fidanza con Saskia Uylenburgh, nipote del mercante, acquisendo con il matrimonio la cittadinanza di Amsterdam ed entrando nella gilda di San Luca; sempre in questo periodo il pittore comincia a firmarsi «Rembrandt» ispirandosi all’uso degli artisti del rinascimento italiano. Le ricche ed esotiche atmosfere del gusto seicentesco in Olanda caratterizzano gli autoritratti e i ritratti di questa nuova fase della sua produzione in cui Saskia è la modella di sontuose composizioni (cfr. il profilo araldico del Ritratto di Saskia con cappello, 1634: Kassel, gg), e appare ritratta in numerose altre
occasioni, dal doppio ritratto Rembrandt e Saskia (1635-36: Dresda, gg), ambigua celebrazione del nuovo status sociale raggiunto dall’artista, e probabilmente nei dipinti mitologici in veste di Flora (1634: San Pietroburgo, Ermitage; Ritratto di Saskia (?) in veste di Flora: Londra,ng).

Ad Amsterdam R proseguí la sua attività di pittore di storia rielaborando composizioni del suo antico maestro Lastman, ma anche di Rubens, confrontando questi ultimi con nuovi modelli pittorici italiani (cfr. ad esempio Il sacrificio di Isacco, 1635: San Pietroburgo, Ermitage). Come nel ritratto i suoi mezzi pittorici si raffinano e gli effetti luministici, cosí spettacolari a Leida, sono piú studiati e meno brutali; la ricchezza degli accessori impiegati, i pittoreschi modelli – spesso ebrei, R frequentava tra l’altro il rabbino teologo Menasseh ben Israel –, rivelano con evidenza la familiarità con il ricco ambiente del mercante Uylenburgh. Agli anni Trenta risale poi uno dei rari incarichi ufficiali ricevuti da R: la serie dei cinque quadri della Vita di Cristo (Monaco, ap) da parte dello statolder Federico Enrico dipinti tra il 1632 e il 1646 (L’erezione della croce, in cui R si autorappresenta in veste di carnefice; la Deposizione dalla croce; l’Ascensione e la Resurrezione che sono le opere piú movimentate del maestro in cui la sostanza chiaroscurale dà luogo a effetti irreali e fantastici).

L’ambizione di R di rivaleggiare con la grande pittura barocca è del resto dimostrata dalla scelta di formati monumentali, ad esempio nella Sacra Famiglia del 1634 ca. (Monaco, ap), nel citato Sacrificio di Isacco e nel tumultuoso Accecamento di Sansone (1636: Francoforte, ski), che consente di misurare l’affinamento tecnico nello studio degli effetti luministici quale animato mezzo di scavo psicologico. A dipinti nella tradizione della pittura religiosa eroica, come il soggetto neotestamentario di Daniele e Ciro davanti all’idolo di Bel (1633: coll. priv.) o Il festino di Baltassar del 1635 ca. (Londra, ng), R alterna quadri di minor formato come Susanna sorpresa dai vecchioni (1636: L’Aja, Mauritshuis), complesse metafore mitologiche (Il ratto di Ganimede, 1635: Dresda, gg), brillanti e plastici ritratti di potente resa luministica e ricchezza coloristica (Ritratto di portastendardo, 1636: Parigi, coll. priv.), in cui il pittore fa risaltare le sue capacità di mimesi nel riprodurre le sensazioni visive e tattili dei ricchi materiali (cfr. il Ritratto d’uomo in costume orientale, 1639 ca.: Chatsworth, coll. del Duca di Devonshire).

Va precisato, per inciso, che il periodo di attività che copre gli anni dal 1625 al 1642 è stato recentemente sottoposto a verifica da parte degli studiosi del «Rembrandt Research Project», i quali dal 1969 a oggi hanno cercato di definire l’opera autografa del pittore, restringendo il suo corpus a circa 300 pezzi e allargando nel contempo l’importanza dell’intervento nella produzione rembrandtiana della sua affollata bottega (Jacob Backer, Willem de Poorter, Jacob de Wet e poi Govaert Flinck, Bol, Eeckhout, Paudiss, Doomer, Carel Fabritius, van der Pluym, Hoogstraten, Keil – il Monsú Bernardo che informò cosí bene Baldinucci sul maestro – Nicolaes Maes, Renesse, Drost, Aert de Gelder); il problema attributivo sollevato dagli studi ha aperto anche revisioni critiche sul concetto di autografia nel Seicento spostando l’attenzione sul modo di produzione di bottega, sull’«officina», in cui R, imprenditore di se stesso, si arricchiva vendendo dipinti e stampe da lui firmati fatti «da un numero quasi infinito di ragazzi illustri che andavano da lui per istruirsi e apprendere» (J. Sandrart, Teutsche Academie, 1645) ricalcando il suo stile.

La produzione di R che rappresentava «una novità per quel tempo» (Houbraken) sembra diminuire nella seconda metà degli anni Trenta; d’altra parte il pittore cominciò in questo periodo a dedicarsi anche al commercio di oggetti d’arte, collezionando egli stesso quadri, disegni – specialmente italiani –, armi, sculture, incisioni, curiosità esotiche che riemergono dal suo repertorio orientaleggiante (copiò anche miniature indo-persiane; l’interesse per questo tipo di curiosità è dimostrato ad esempio dall’incisione La conchiglia, 1650: Londra, bm). Nel 1639 R, al culmine della sua energia, acquistò per 13000 fiorini una vasta dimora nella Sint Anthonisbreestraat (attuale Rembrandthuis), centro del commercio artistico, ma la difficoltà di pagarne le rate procurerà da allora al maestro crescenti preoccupazioni finanziarie, aggravate dalla nascita di Titus (1641) e dalla precoce morte di Saskia (1642) e dai successivi problematici rapporti con la nutrice di Titus, Geertge Dircx, la quale intenterà contro il pittore un processo per rottura della promessa di matrimonio, a causa della relazione con la domestica Hendrickje Stoffels con la quale R istaura una convivenza che solleverà non poche critiche.

Nel corso di questo decennio si moltiplicano i soggetti religiosi caratterizzati da un’animazione interiore crescente e dall’intensificarsi degli effetti luministici: la luce «irradiante» inonda il quadro e anima d’intenso pittoricismo volti e oggetti su un indistinto fondo scuro (Autoritratto con tornabuso, 1639: Dresda, gg; Saskia con un fiore, 1641: ivi); la sua pittura, giocando su potenti impasti materici tende a quell’aspetto grumoso e ruvido che affascinò pittori come Fabritius (Cristo e l’adultera, 1644: Londra, ng). In questo periodo si afferma in modo sempre piú netto l’impegno nell’organizzazione dello spazio costruito con impaginazioni fortemente architettoniche, e la ricerca d’equilibrio tra resa dei particolari, contrasti luministici e pregnanza plastica espressa nell’Autoritratto con camicia ricamata del 1640 (ivi) ispirato al Ritratto di ignoto di Tiziano, non raro esempio di suggestioni dalla pittura italiana (si veda il Ritratto di donna alla finestra del 1656-57: Berlino,sm, gg, vicino al Ritratto di giovane donna di Londra attribuito a Palma il Vecchio; la meditazione ad acquaforte sull’iconografia del Calvario, in particolare da Mantegna, nell’incisione le Tre croci del 1653). Di grande interesse è poi il doppio ritratto «parlante» del predicatore mennonita Cornelis Claesz Anslo con la moglie Aeltje Gerritsdr. Schoute (1641: ivi), che pone al centro dell’opera il primato della parola sull’immagine derivante dalla concezione religiosa mennonita – sul ritratto Vondel compose la significativa quartina: «Oh Rembrandt, dipingi la voce di Cornelis, il suo aspetto esteriore è il meno di lui... chi vuole vedere Ansio deve ascoltarlo».

All’incirca a questo periodo risale anche la suggestiva apertura atmosferica del Paesaggio con ponte in muratura (1638 ca.: Amsterdam, Rijksmuseum), che supera il semplice motivo naturalistico nell’inquietudine celata dal minaccioso cielo nuvoloso, contrastata interpretazione degli elementi naturali scelta in varie occasioni dal pittore (Paesaggio con un castello, 1640 ca.: Parigi, Louvre; Paesaggio fluviale, 1654 ca.: Kassel, gg), e che ricorda la natura mutevole del «notturno» del Riposo nella fuga in Egitto (1647: Dublino,ng of Ireland). Piú e oltre che nella Ronda di notte (Amsterdam, Rijksmuseum), superba e movimentata composizione pittorica del 1642 che guarda alle precedenti opere degli anni Trenta, il R di questi anni risalta in dipinti commossi, raccolti, dal luminismo intenso e dal colore caldo e profondo (la Sacra famiglia, 1646: Kassel, gg; l’Adorazione dei pastori, 1646: Monaco, ap; Ragazza affacciata alla finestra, 1645: Londra, Dulwich College Gallery).

Tra gli anni Quaranta e Cinquanta R dipinse anche quei sensuali ritratti di donne a grandezza naturale in interni fortemente chiaroscurali che rielaborano schemi compositivi precedenti come il Ritratto di giovane donna a letto (1645 ca.: Edimburgo, ng of Scotland), Susanna al bagno (1647: Berlino, sm, gg), cui seguirà la Betsabea con la lettera di David (1654: Parigi, Louvre), o la sciolta composizione pittorica della Giovane che si bagna in un ruscello (1654: Londra, ng).

Al calo del mercato d’arte seguito alla prima guerra anglo-olandese s’aggiungono le crescenti difficoltà finanziarie che costrinsero il pittore (la cui produzione era legata al libero mercato diversamente che per pittori come Flinck, organizzati in «accademie» che assolvevano al compito di proteggere il loro status e di favorire il rapporto con committenti e mecenati altolocati), a dichiarare bancarotta nel 1656, a vendere la sua collezione (1657) e la sua casa (1658), situazione gestita attraverso la creazione di una «società» amministrata da Hendrickje Stoffels, concubina del pittore, esclusa per questo dalla comunità dei riformati, e dal figlio Titus, tramite la quale la produzione pittorica di questi anni diventerà moneta di scambio con i creditori del pittore. A questo periodo appartengono la rara natura morta del Bue macellato (1655: Parigi, Louvre), e soprattutto quei ritratti «morali», figure di risonanza simbolica o letteraria, tratti dal repertorio eroico e leggendario della cultura barocca: l’Aristotele con il busto di Omero (New York, mma), commissionato insieme all’Omero cieco (dipinto non individuato) da don Vincenzo Ruffo dalla lontana Messina nel 1653, il dipinto di Flora di New York (1654-55: mma), e i numerosi ritratti del figlio Titus (Ritratto di Titus che studia, 1655: Rotterdam, bvb).

L’incidente sopravvenuto con il nobiluomo siciliano Vincenzo Ruffo che rimanda indietro l’Omero cieco «per perfettionarlo per l’intero» e con il portoghese Adrada (nel 1654 R rifiuta di ritoccare un ritratto giudicato poco rassomigliante), fa luce sulle incomprensioni del pubblico e sul mutamento di gusto della committenza, esemplificato nella produzione di questi anni dalla scelta di una piú tradizionale composizione per La lezione d’anatomia del dottor Deyman (1656: Amsterdam, Rijksmuseum) rispetto alla precedente rivoluzionaria Lezione d’anatomia del dottor Tulp che interpreta il soggetto al pari di un dipinto di storia; qualche anno piú tardi, la rimozione immediata della lunetta con Il giuramento dei Batavi (Stoccolma, nm) commissionata dai borgomastri per il nuovo municipio di Amsterdam (1662), testimonia delle preferenze ufficiali per la pittura rifinita – fijn –, ma anche dell’isolamento di R dagli ambienti ufficiali rispetto al suo allievo Govert Flinck, il quale ricevette la commissione per sette opere nel municipio.

Sul piano della tecnica pittorica le opere degli anni Cinquanta e Sessanta – le figure letterarie (Uomo con armatura detto anche Alessandro il Grande, 1655 : Glasgow, ag) , gli apostoli tra cui l’Evangelista Matteo ispirato dall’angelo (1661: Parigi, Louvre), i ritratti (Jacob Trip, 1661 ca.: Londra, ng; Marguerite de Geer, 1661: ivi; il Ritratto dei sindaci dei drappieri, 1662: Amsterdam, Rijksmuseum) – presentano ineguagliato splendore nel colorire «abbozzato» che mette in evidenza la trama delle pennellate costruendo grumosi impasti materici e coloristici negli ultimi capolavori come La sposa ebrea (1655 ca.: ivi), o Il ritorno del figliol prodigo (1662 ca.: San Pietroburgo, Ermitage), liberi dai canoni classici della pittura di storia (cfr. La negazione di san Pietro, 1660: Amsterdam, Rijksmuseum).

L’eco della straordinaria e personalissima abilità del maestro ci giunge nel giudizio della critica amatoriale del periodo, oscillante tra apprezzamento e preferenze classicistiche, tramite le parole di Filippo Baldinucci: «Questo pittore, siccome fu molto diverso di cervello dagli altri uomini nel governo di se stesso, cosí fu anche stravagantissimo nel modo di dipingere e si fece una maniera che si può dire che fosse intieramente sua, senza dintorno bensì o circoscrizione di linee interiori né esteriori, tutta fatta di colpi strapazzati e replicati, con gran forza di scuri a suo modo, ma senza scuro profondo» (Notizie de’ Professori del disegno da Cimabue in qua, 1681).

La libertà espressiva delle opere degli ultimi critici anni (Ritratto di famiglia, 1665 ca.: Braunschweig, Herzog-Anton-Ulrich-Museum; Ritratto di Jeremías de Decker, 1666: San Pietroburgo, Ermitage) si chiude intorno a quella specie di testamento cézanniano, di sorprendente saggio di composizione degli autoritratti (Autoritratto con tavolozza e pennelli, 1665 ca.: Londra, Iveagh Bequest Kenwood Hause; Ultimo autoritratto, 1669: L’Aja, Mauritshuis), ma anche di resoconto umano visivo, che accompagna il pittore dall’epica dell’Autoritratto come Ariosto del 1640 fino alla satira di se stesso poco prima di morire (Autoritratto come Zeusi, 1669 ca.: Colonia, Wallraf- Richartz-Museum).

Nel complesso il corpus rembrandtiano, considerevolmente sfrondato dalla critica recente, conta circa trecento dipinti (tra le espunzioni proposte si ricorda l’Uomo con l’elmo d’oro di Berlino, passato alla cerchia del maestro; i dubbi sollevati sul famoso dipinto del Cavaliere polacco: New York, coll. Frick, e su David che suona davanti a Saul dell’Aja) e 287 incisioni tra cui il drammatico paesaggio che indugia sugli effetti dei fenomeni atmosferici dei Tre alberi o il Paesaggio con la tenuta del Goldwager (1651), oltre ai disegni come la Veduta sull’IJ nei pressi di Amsterdam di Chatsworth, il Ritratto di Saskia di Berlino.