5/12/2020

Johannes Vermeer (Delft 1632-75).

Spetta alla critica di metà Ottocento il riconoscimento della grandezza del pittore, a partire dai saggi di un raffinato conoscitore come Théophile Thoré pubblicati (1866) sotto lo pseudonimo di Thoré-Burger sulla

«Gazette des Beaux-Arts». Solo tre anni dopo la morte dell’artista, infatti, Hoogstraeten non ne faceva menzione nel suo Inleidinght tot de hooge Schoole der Schilderkunst (1678), mentre Houbraken ne parla brevemente nella sua storia dell’arte olandese del 1718-21. Il pressoché assoluto silenzio delle fonti olandesi, al confronto dei riconoscimenti tributati a pittori come Ter Borch, P. de Hooch, Jan Steen o Jacob Ruisdael, è riscattato fuori dall’Olanda dagli occasionali attestati di stima di conoscitori e artisti del sec. XVIII tra i quali il noto mercante d’arte J.-B.-P. LeBrun, nella sua Galerie des peintres flamands del 1792, e sir Joshua Reynolds che ne ammirava il dipinto la Lattaia (Amsterdam, Rijksmuseum) nel suo Journey to Flanders and Holland (1781).

Nell’Ottocento, il movimento realista e gli impressionisti riscopriranno la pittura di V con implicazioni critiche che ne sottolineano le affinità d’intenti con le ricerche di quegli anni, ponendo l’accento sul carattere intimo della sua pittura d’interni o sul suo caratteristico modo di dipingere per larghe campiture, o ancora sulla qualità «fotografica» delle sue cristalline immagini ottiche. La storicizzazione e la ricostruzione dell’attività artistica di V ad opera della critica contemporanea ha seguito le orme della sua rivalutazione, legata ancora strettamente (fino all’inizio del Novecento) alle ricerche dell’avanguardia pittorica che ne apprezzerà ora i contenuti oggettivi e luministici, ora le qualità del tessuto cromatico (van Gogh e Pissarro), ora l’aspetto strutturale della composizione e gli aspetti «astratti» della sua pittura in sintonia con le ricerche di Seurat e Cézanne, non va poi dimenticato l’interesse suscitato dall’opera del pittore presso scrittori come Marcel Proust, affascinato dal «piccolo lembo di muro giallo» della Veduta di Delft citata nella Recherche.

Scarse sono le notizie sulla sua vita; il padre, locandiere, praticava il commercio di dipinti. V ebbe dieci figli, ma siamo informati soprattutto, attraverso documenti che fanno luce sulla quotazione delle sue opere, delle difficoltà economiche che lo costrinsero verso la fine della sua vita a rinunciare alla sua attività di mercante-pittore. Sorprende sapere che un distinto viaggiatore, il francese Balthazar de Moncoys, visitando V nel 1663 e non trovando nella sua bottega nessun dipinto pronto, dovesse andare a cercarne esemplari presso il fornaio, ed è documentata la cessione al fornaio Hendrick van Buyten da parte della vedova di due tele di V, per saldare un debito di 617 fiorini. Lo stesso de Moncoys si stupiva poi (1663) che una sua «figura» fosse stata pagata seicento lire quando gli «sarebbe sembrato pagare anche troppo sei pistole».

Del resto nel 1696, a poco piú di quindici anni dalla sua morte la maggior parte della sua opera, 21 dipinti provenienti probabilmente dalla raccolta dello stampatore Dissius, venne messa pubblicamente all’asta dal mercante Gerard Houet; la vendita comprendeva tra l’altro il Militare e giovinetta sorridente valutato 44 fiorini e 10 stuyvers (New York, coll. Frick), la Veduta di Delft al prezzo di 200 fiorini (L’Aja, Mauritshuis) e la Donna che scrive una lettera (Washington, NG of Art) valutato 63 fiorini.

Ammesso ancora giovane nella gilda della città (1653) come maestro, V venne eletto vicedecano e nel 1663 decano della corporazione. Alcune indicazioni contenute in una quartina composta nel 1654 dall’editore Arnold Bon testimoniano i riconoscimenti tributatigli dai contemporanei in occasione della morte di Carel Fabritius, vittima dell’esplosione della polveriera di Delft: l’autore designa V come erede di quest’ultimo, considerato il discepolo piú geniale di Rembrandt. Va inoltre notato che la familiarità tra il lirismo pittorico di Fabritius e l’arte di V, riscontrabile in un’opera come Dalla mezzana del 1656, si spiega col fatto che l’artista possedeva diversi quadri di Fabritius. A far luce sul suo mondo pittorico e sulla sua attività di mer- cante d’arte, viene anche la notizia dell’incarico conferito a V di recarsi all’Aja (1672) con altri artisti olandesi per la stima di alcuni dipinti di provenienza italiana. Del pittore, del quale si conservano meno di quaranta dipinti, sono conosciuti due soli quadri datati con precisione: Dalla mezzana (1656: Dresda, GG) e l’Astronomo (1668: Parigi, Louvre), che si collocano nella linea piú tipica della pittura borghese di genere, per tanti versi agli antipodi di Rembrandt e affine alla produzione di P. de Hooch.

Opere giovanili come Diana e le ninfe (L’Aja, Mauritshuis) e Cristo in casa di Marta e Maria (Edimburgo, NG) dànno prova ancora della sua assimilazione del repertorio della pittura europea e in particolare della corrente del caravaggismo, il cui influsso dovette giungere a V attraverso l’esperienza dei pittori di Utrecht tornati da Roma. Il quadro dell’Aja dimostra d’esser debitore del caravaggismo «chiaro» di O. Gentileschi e, come è stato osservato, dei colori squillanti tipici della pittura veneziana. Quello di Edimburgo risente, nel tessuto cromatico, della densità pittorica propria di Ter Brugghen, e sembra insieme aver ritenuto l’influsso di modelli napoletani sul genere di A. Vaccaro. Benché interessanti ed equilibrate, queste prime composizioni risultano marginali nel corpus dell’artista, e la stessa Mezzana mette in luce un momento della formazione di V in cui pesa da un lato la dipendenza dal chiaroscuro di Rembrandt e dall’altro l’impronta, non ancora rielaborata in un personale linguaggio, delle soluzioni volumetriche tipiche dei caravaggeschi di Utrecht.

Il suo microcosmo pittorico che ferma sulla tela i particolari del mondo borghese di Delft, descritto con sottili osservazioni degli effetti di toni e di luci sull’epidermide delle cose, rimane fedele ai soggetti della pittura d’interni, tranne che per le due celebri e assorte Vedute di città, caratterizzate dal perfetto equilibrio tra percezione luminosa e caratterizzazione del profilo formale nello spazio costruito da piani di luce e ombra. La pittura di V, concentrata sulle modulazioni dei toni gialli e azzurri nello sfavillante pulviscolo luminoso che si raggruma su tessuti e superfici (Donna alla finestra: New York, MMA; La merlettaia: Parigi, Louvre) riflettendosi nei «fulgidi nottolini luminosi» (R. Longhi) che fanno risaltare il particolare di una barca in primo piano o la luce di una perla all’orecchio della Ragazza col turbante (L’Aja, Mauritshuis), rivisita il repertorio caro alla pittura di genere olandese spogliandola da ogni aneddoto e azione, dando luogo a un enigma interpretativo sul quale la critica si è spesso esercitata nell’intento di svelare il senso nascosto dei suoi soggetti. Attori principali dei suoi dipinti sono piú spesso personaggi femminili ritratti in atteggiamenti assorti nell’atto di leggere una lettera (Donna che legge una lettera: Dresda, GG), di scrivere o intenti a suonare uno strumento.

Tradizionalmente apre la serie cronologica (stabilita, in assenza di punti di riferimento sicuri, sull’analisi stilistica) la Giovane addormentata (New York, MMA), in cui la critica individua ancora un non risolto studio dei rapporti spaziali. A questo dipinto si fa seguire il capolavoro, attribuito ancora agli anni giovanili, della Donna che legge una lettera (Dresda, GG) in cui la disposizione dei piani, con il profilo della ragazza immerso nella penombra di una stanza rischiarata dalla luce del giorno riflessa dai luminosi grumi di colore che impastano il volto e i vetri piombati della finestra, sono preludio del V piú caratteristico. Da Reynolds in poi viene particolarmente ammirata la Lattaia (Amsterdam, Rijksmuseum), figura monumentale costruita da pennellate d’impasto grasso che dànno consistenza luminosa al cestello e alla magistrale natura morta in primo piano. Si suole considerare come appartenente al periodo giovanile dell’artista anche la Strada di Delft (ivi), definita dal pittore tedesco Max Lieberman «il piú bel quadro da cavalletto che esista».

Un certo numero di tele hanno per tema comune la musica: figure femminili sono intente a suonare il liuto, la spinetta o la chitarra. Di qualità assai elevata tra questo gruppo di dipinti è la Signora alla spinetta e gentiluomo detto anche La lezione di musica (Londra, Buckingham Palace), in cui il pittore dà prova di grande misura compositiva nell’equilibrio di luce cristallina e struttura spaziale. Dipinti come la Donna con la brocca (New York, MMA), la Pesatrice di perle (Washington, NG), la Giovane donna in azzurro (Amsterdam, Rijksmuseum), la Ragazza col turbante (L’Aja, Mauritshuis), la Giovane donna con collana di perle e la Coppia in un interno (Berlino, SM, GG), tutti databili intorno agli anni 1660-65, possono a giusto titolo ritenersi il culmine cui giungono l’arte e l’ambizione tecnica di V. La Ragazza col turbante, per i colori chiari, la qualità dei riflessi e il fascino smaltato della visione ravvicinata suggerisce una familiarità culturale con la pittura di Jan van Eyck, mentre è stata sottolineata la particolarità dei «suo modo di vedere attraverso il colore e la luce, la sua tecnica perfetta... meno legati al tempo e all’ambiente di quel che non avvenga per qualsiasi altro artista olandese» (H. Gerson, 1966).

La pienezza della vibrazione cromatica della pittura di V e la sua «inclinazione di fondo verso la durata sentimentale» si ritrovano «persino nelle tegole scintillanti che dànno alla celebre Veduta di Delft l’aspetto di una “natura morta” di città» (R. Longhi). La nitida immagine ottica della Veduta di Delft (L’Aja, Mauritshuis) è costruita su una tavolozza di toni azzurri e gialli che impressionò profondamente van Gogh, il quale ne scrisse: «la tavolozza di questo strano artista comprende l’azzurro, il giallo limone, il grigio perla, il nero e il bianco. È vero che nei quadri che ha dipinto si può trovare l’intera gamma dei colori; ma riunire il giallo limone, l’azzurro spento e il grigio chiaro è in lui caratteristico».

Viene datato agli anni 1665-70 un gruppo di quadri che include la Merlettaia (Parigi, Louvre) e due dipinti enigmatici che hanno dato luogo a numerose interpretazioni: la famosa Allegoria della Pittura (Vienna, KM) e l’Allegoria della Fede (New York, MMA). Il primo, detto anche Vermeer nella sua bottega è stato piú volte oggetto di interpretazioni tese a chiarire il significato dell’arte del pittore anche come manifesta meditazione sulle tradizionali qualità e abilità descrittive della pittura olandese.

Alcuni critici hanno sottolineato il rigore formale e la natura intellettiva della visione piú tipica di V che «rimane comunque il fattore predominante» (Brion), e facendo fronte ai ripetuti tentativi d’indagine iconologica, è stato giustamente osservato che la «poesia di questo quadro è soprattutto di natura ottica» (V. Bloch). Le medesime osservazioni si possono applicare all’Astrologo (Parigi, Louvre). Il dipinto porta, accanto alla sigla del pittore, la data 1668, che benché talvolta discussa ben si attaglia a una superba prova della tarda produzione di V. Diversamente dal gusto narrativo olandese, V interpreta la scena di genere portando a maturazione le qualità di luce e di osservazione nella sua raffinata tessitura di atmosfere luminose di interni con uno o piú personaggi o di esterni concepiti come frammenti di «vita silenziosa», giungendo a un risultato che rispetto ai quadri di contemporanei come Ter Borch, Metzu, Dou, Mieris è stato interpretato come semplificazione e chiarificazione della «pittura di genere spogliata di ogni tema acessorio» (A. B. De Vries).

L’apprezzamento dell’arte di V nel nostro secolo trova poi posto nella storia del gusto nel clamore suscitato dal famoso «caso» dei falsi di H. van Meegeren svelati negli anni Cinquanta.