Spetta alla critica di metà Ottocento il riconoscimento
della grandezza del pittore, a partire dai saggi
di un raffinato conoscitore come Théophile Thoré pubblicati
(1866) sotto lo pseudonimo di Thoré-Burger sulla
«Gazette des Beaux-Arts».
Solo tre anni dopo la morte dell’artista, infatti, Hoogstraeten
non ne faceva menzione nel suo Inleidinght tot de
hooge Schoole der Schilderkunst (1678), mentre Houbraken
ne parla brevemente nella sua storia dell’arte olandese del
1718-21. Il pressoché assoluto silenzio delle fonti olandesi,
al confronto dei riconoscimenti tributati a pittori come
Ter Borch, P. de Hooch, Jan Steen o Jacob Ruisdael, è riscattato
fuori dall’Olanda dagli occasionali attestati di stima
di conoscitori e artisti del sec. XVIII tra i quali il noto
mercante d’arte J.-B.-P. LeBrun, nella sua Galerie des peintres
flamands del 1792, e sir Joshua Reynolds che ne ammirava
il dipinto la Lattaia (Amsterdam, Rijksmuseum) nel
suo Journey to Flanders and Holland (1781).
Nell’Ottocento,
il movimento realista e gli impressionisti riscopriranno
la pittura di V con implicazioni critiche che ne sottolineano
le affinità d’intenti con le ricerche di quegli anni, ponendo
l’accento sul carattere intimo della sua pittura d’interni
o sul suo caratteristico modo di dipingere per larghe
campiture, o ancora sulla qualità «fotografica» delle sue
cristalline immagini ottiche. La storicizzazione e la ricostruzione
dell’attività artistica di V ad opera della critica
contemporanea ha seguito le orme della sua rivalutazione, legata ancora strettamente (fino all’inizio del Novecento)
alle ricerche dell’avanguardia pittorica che ne apprezzerà
ora i contenuti oggettivi e luministici, ora le qualità del
tessuto cromatico (van Gogh e Pissarro), ora l’aspetto
strutturale della composizione e gli aspetti «astratti» della
sua pittura in sintonia con le ricerche di Seurat e Cézanne,
non va poi dimenticato l’interesse suscitato dall’opera del
pittore presso scrittori come Marcel Proust, affascinato
dal «piccolo lembo di muro giallo» della Veduta di Delft citata
nella Recherche.
Scarse sono le notizie sulla sua vita; il padre, locandiere,
praticava il commercio di dipinti. V ebbe dieci figli, ma
siamo informati soprattutto, attraverso documenti che
fanno luce sulla quotazione delle sue opere, delle difficoltà
economiche che lo costrinsero verso la fine della sua vita a
rinunciare alla sua attività di mercante-pittore. Sorprende
sapere che un distinto viaggiatore, il francese Balthazar de
Moncoys, visitando V nel 1663 e non trovando nella sua
bottega nessun dipinto pronto, dovesse andare a cercarne
esemplari presso il fornaio, ed è documentata la cessione al
fornaio Hendrick van Buyten da parte della vedova di due
tele di V, per saldare un debito di 617 fiorini. Lo stesso de
Moncoys si stupiva poi (1663) che una sua «figura» fosse
stata pagata seicento lire quando gli «sarebbe sembrato pagare
anche troppo sei pistole».
Del resto nel 1696, a poco piú di quindici anni dalla sua
morte la maggior parte della sua opera, 21 dipinti provenienti
probabilmente dalla raccolta dello stampatore Dissius,
venne messa pubblicamente all’asta dal mercante Gerard
Houet; la vendita comprendeva tra l’altro il Militare e
giovinetta sorridente valutato 44 fiorini e 10 stuyvers (New
York, coll. Frick), la Veduta di Delft al prezzo di 200 fiorini
(L’Aja, Mauritshuis) e la Donna che scrive una lettera
(Washington, NG of Art) valutato 63 fiorini.
Ammesso ancora giovane nella gilda della città (1653) come
maestro, V venne eletto vicedecano e nel 1663 decano
della corporazione. Alcune indicazioni contenute in una
quartina composta nel 1654 dall’editore Arnold Bon testimoniano
i riconoscimenti tributatigli dai contemporanei in
occasione della morte di Carel Fabritius, vittima dell’esplosione
della polveriera di Delft: l’autore designa V come
erede di quest’ultimo, considerato il discepolo piú geniale
di Rembrandt. Va inoltre notato che la familiarità
tra il lirismo pittorico di Fabritius e l’arte di V, riscontrabile
in un’opera come Dalla mezzana del 1656, si spiega col
fatto che l’artista possedeva diversi quadri di Fabritius. A
far luce sul suo mondo pittorico e sulla sua attività di mer-
cante d’arte, viene anche la notizia dell’incarico conferito
a V di recarsi all’Aja (1672) con altri artisti olandesi per la
stima di alcuni dipinti di provenienza italiana.
Del pittore, del quale si conservano meno di quaranta dipinti,
sono conosciuti due soli quadri datati con precisione:
Dalla mezzana (1656: Dresda, GG) e l’Astronomo
(1668: Parigi, Louvre), che si collocano nella linea piú tipica
della pittura borghese di genere, per tanti versi agli antipodi
di Rembrandt e affine alla produzione di P. de
Hooch.
Opere giovanili come Diana e le ninfe (L’Aja, Mauritshuis)
e Cristo in casa di Marta e Maria (Edimburgo, NG) dànno
prova ancora della sua assimilazione del repertorio della
pittura europea e in particolare della corrente del caravaggismo,
il cui influsso dovette giungere a V attraverso l’esperienza
dei pittori di Utrecht tornati da Roma. Il quadro
dell’Aja dimostra d’esser debitore del caravaggismo «chiaro» di O. Gentileschi e, come è stato osservato, dei colori
squillanti tipici della pittura veneziana. Quello di Edimburgo
risente, nel tessuto cromatico, della densità pittorica
propria di Ter Brugghen, e sembra insieme aver ritenuto
l’influsso di modelli napoletani sul genere di A. Vaccaro.
Benché interessanti ed equilibrate, queste prime composizioni
risultano marginali nel corpus dell’artista, e la
stessa Mezzana mette in luce un momento della formazione
di V in cui pesa da un lato la dipendenza dal chiaroscuro
di Rembrandt e dall’altro l’impronta, non ancora rielaborata
in un personale linguaggio, delle soluzioni volumetriche
tipiche dei caravaggeschi di Utrecht.
Il suo microcosmo pittorico che ferma sulla tela i particolari
del mondo borghese di Delft, descritto con sottili osservazioni
degli effetti di toni e di luci sull’epidermide delle
cose, rimane fedele ai soggetti della pittura d’interni, tranne
che per le due celebri e assorte Vedute di città, caratterizzate
dal perfetto equilibrio tra percezione luminosa e
caratterizzazione del profilo formale nello spazio costruito
da piani di luce e ombra. La pittura di V, concentrata sulle
modulazioni dei toni gialli e azzurri nello sfavillante pulviscolo
luminoso che si raggruma su tessuti e superfici
(Donna alla finestra: New York, MMA; La merlettaia: Parigi,
Louvre) riflettendosi nei «fulgidi nottolini luminosi» (R.
Longhi) che fanno risaltare il particolare di una barca in
primo piano o la luce di una perla all’orecchio della Ragazza
col turbante (L’Aja, Mauritshuis), rivisita il repertorio
caro alla pittura di genere olandese spogliandola da ogni
aneddoto e azione, dando luogo a un enigma interpretativo
sul quale la critica si è spesso esercitata nell’intento di
svelare il senso nascosto dei suoi soggetti. Attori principali
dei suoi dipinti sono piú spesso personaggi femminili ritratti
in atteggiamenti assorti nell’atto di leggere una lettera
(Donna che legge una lettera: Dresda, GG), di scrivere o
intenti a suonare uno strumento.
Tradizionalmente apre la serie cronologica (stabilita, in assenza
di punti di riferimento sicuri, sull’analisi stilistica) la
Giovane addormentata (New York, MMA), in cui la critica
individua ancora un non risolto studio dei rapporti spaziali.
A questo dipinto si fa seguire il capolavoro, attribuito
ancora agli anni giovanili, della Donna che legge una lettera
(Dresda, GG) in cui la disposizione dei piani, con il profilo
della ragazza immerso nella penombra di una stanza rischiarata
dalla luce del giorno riflessa dai luminosi grumi
di colore che impastano il volto e i vetri piombati della finestra,
sono preludio del V piú caratteristico. Da Reynolds
in poi viene particolarmente ammirata la Lattaia
(Amsterdam, Rijksmuseum), figura monumentale costruita
da pennellate d’impasto grasso che dànno consistenza luminosa
al cestello e alla magistrale natura morta in primo
piano. Si suole considerare come appartenente al periodo
giovanile dell’artista anche la Strada di Delft (ivi), definita
dal pittore tedesco Max Lieberman «il piú bel quadro da
cavalletto che esista».
Un certo numero di tele hanno per tema comune la musica:
figure femminili sono intente a suonare il liuto, la spinetta
o la chitarra. Di qualità assai elevata tra questo gruppo
di dipinti è la Signora alla spinetta e gentiluomo detto anche
La lezione di musica (Londra, Buckingham Palace), in
cui il pittore dà prova di grande misura compositiva nell’equilibrio
di luce cristallina e struttura spaziale. Dipinti come
la Donna con la brocca (New York, MMA), la Pesatrice di
perle (Washington, NG), la Giovane donna in azzurro (Amsterdam,
Rijksmuseum), la Ragazza col turbante (L’Aja,
Mauritshuis), la Giovane donna con collana di perle e la
Coppia in un interno (Berlino, SM, GG), tutti databili intorno
agli anni 1660-65, possono a giusto titolo ritenersi il
culmine cui giungono l’arte e l’ambizione tecnica di V. La
Ragazza col turbante, per i colori chiari, la qualità dei riflessi
e il fascino smaltato della visione ravvicinata suggerisce
una familiarità culturale con la pittura di Jan van
Eyck, mentre è stata sottolineata la particolarità dei «suo
modo di vedere attraverso il colore e la luce, la sua tecnica
perfetta... meno legati al tempo e all’ambiente di quel che
non avvenga per qualsiasi altro artista olandese» (H. Gerson,
1966).
La pienezza della vibrazione cromatica della pittura di V e
la sua «inclinazione di fondo verso la durata sentimentale»
si ritrovano «persino nelle tegole scintillanti che dànno alla
celebre Veduta di Delft l’aspetto di una “natura morta”
di città» (R. Longhi). La nitida immagine ottica della Veduta
di Delft (L’Aja, Mauritshuis) è costruita su una tavolozza
di toni azzurri e gialli che impressionò profondamente
van Gogh, il quale ne scrisse: «la tavolozza di questo
strano artista comprende l’azzurro, il giallo limone, il grigio
perla, il nero e il bianco. È vero che nei quadri che ha
dipinto si può trovare l’intera gamma dei colori; ma riunire
il giallo limone, l’azzurro spento e il grigio chiaro è in
lui caratteristico».
Viene datato agli anni 1665-70 un gruppo di quadri che
include la Merlettaia (Parigi, Louvre) e due dipinti enigmatici
che hanno dato luogo a numerose interpretazioni: la
famosa Allegoria della Pittura (Vienna, KM) e l’Allegoria
della Fede (New York, MMA). Il primo, detto anche Vermeer
nella sua bottega è stato piú volte oggetto di interpretazioni
tese a chiarire il significato dell’arte del pittore anche
come manifesta meditazione sulle tradizionali qualità
e abilità descrittive della pittura olandese.
Alcuni critici
hanno sottolineato il rigore formale e la natura intellettiva
della visione piú tipica di V che «rimane comunque il fattore
predominante» (Brion), e facendo fronte ai ripetuti
tentativi d’indagine iconologica, è stato giustamente osservato
che la «poesia di questo quadro è soprattutto di natura
ottica» (V. Bloch). Le medesime osservazioni si possono
applicare all’Astrologo (Parigi, Louvre). Il dipinto porta,
accanto alla sigla del pittore, la data 1668, che benché talvolta
discussa ben si attaglia a una superba prova della tarda
produzione di V. Diversamente dal gusto narrativo
olandese, V interpreta la scena di genere portando a maturazione
le qualità di luce e di osservazione nella sua raffinata
tessitura di atmosfere luminose di interni con uno o
piú personaggi o di esterni concepiti come frammenti di
«vita silenziosa», giungendo a un risultato che rispetto ai
quadri di contemporanei come Ter Borch, Metzu, Dou,
Mieris è stato interpretato come semplificazione e chiarificazione
della «pittura di genere spogliata di ogni tema
acessorio» (A. B. De Vries).
L’apprezzamento dell’arte di V nel nostro secolo trova poi
posto nella storia del gusto nel clamore suscitato dal famoso
«caso» dei falsi di H. van Meegeren svelati negli anni
Cinquanta.