5/13/2020

Impressionismo

Mostre del gruppo


In Francia, durante il secondo Impero, alcuni giovani artisti, che cominciavano ad affermare la propria personalità, si erano resi conto del fatto che la pittura tradizionale e ufficiale non corrispondeva piú alle esigenze dell’epoca; inoltre, erano stanchi del sistematico rifiuto delle loro tele da parte dell’unica manifestazione ufficiale, il salon.Decisero di costituire un gruppo, di fondare una «società». La guerra del 1870 ritardò la realizzazione del progetto. In seguito questi artisti riuscirono ad organizzare una «società anonima in cooperativa di artisti, pittori, scultori, incisori, a capitale e personale variabili», il cui primo fine era di allestire mostre libere, senza giuria e senza premi onorifici.


La prima mostra si tenne a Parigi, al n. 35 del boulevard des Capucines, nello studio da poco lasciato libero dal fotografo Nadar. Ebbe luogo dal 15 aprile al 15 maggio 1874; comprendeva 165 tele di trenta diversi autori. Cézanne vi presentava tre opere, Monet cinque quadri e sette schizzi a pastello, Degas dieci quadri, disegni e pastelli, Sisley cinque paesaggi, Berthe Morisot nove dipinti, acquerelli e pastelli, Pissarro cinque paesaggi, Renoir, presidente della società, sei tele e un pastello. Tra gli altri partecipanti figuravano Boudin, Bracquemond, Cals, Lépine, Rouart. In occasione di tale mostra al gruppo venne dato il nome di i, ispirato dai quadro di Monet Impressione al levar del sole (1872: già Parigi, Museo Marmottan). Con varie vicissitudini, e malgrado i disaccordi interni, la società giunse ad organizzare otto mostre. La seconda ebbe luogo al n. 11 di rue Le Peletier nell’aprile 1876, con diciotto partecipanti. Degas vi espose ventiquattro opere, Pissarro dodici, Monet diciotto tele, Renoir quindici, Sisley otto; Berthe Morisot era ancora presente, ma Cézanne rifiutò di esporre. La terza mostra si tenne al n. 6 di rue Le Peletier nell’aprile 1877 contava anch’essa diciotto partecipanti. Vi erano rappresentati Monet con ventidue tele e Pissarro con ventidue opere; Cézanne, che era tornato ad unirsi al gruppo, inviò sedici opere, Monet venti tele, Sisley diciassette, Berthe Morisot diciannove. La quarta mostra, che si tenne in avenue de l’Opéra n. 28 nell’aprile-maggio 1879, lasciò per la prima volta un modesto utile nelle casse della società. Comprendeva quindici partecipanti, tra i quali per la prima volta Mary Cassatt; Degas vi inviò probabilmente meno di dodici tele; Pissarro vi espose trentotto opere, Monet trentanove quadri, e Gauguin venne invitato ad esporvi, fuori catalogo, una scultura. Si possono invece notare le defezioni di Cézanne, Renoir, Sisley e Berthe Morisot. La quinta esposizione, tenutasi in rue des Pyramides 10 nell’aprile del 1880, ospitò ancora quindici partecipanti, ma vi si osserva l’assenza di Monet, Renoir e Sisley, e la presenza di Gauguin, che espose sette tele ed un busto in marmo; Degas inviò otto quadri, Pissarro undici tele ed una serie di acquaforti; Berthe Morisot era rappresentata da quindici fra tele ed acquerelli. Nel 1881, la sesta mostra tornò a tenersi al n. 35 del boulevard des Capucines, con tredici partecipanti. Degas inviò una statuetta e sette opere, Pissarro undici quadri, Moriset sette tele, Gauguin due sculture ed otto quadri. Si riscontra l’assenza di Cézanne, Monet, Renoir e Sisley. Nel 1882, per la settima esposizione, il gruppo si riduceva ad otto partecipanti, presentandosi nel mese di marzo alla galleria di Durand-Ruel, accanito sostenitore di questa pittura ancora incompresa. Pissarro vi espose trentasei opere, Monet trentacique, Renoir venticinque, Sisley ventisette paesaggi, Berthe Morisot nove tele e Gauguin dodici.

Per molti anni la società restò poi inattiva. Le dispute estetiche si fecero sempre piú aspre, e l’i venne ormai attaccato da un certo numero di artisti e anche all’interno dello stesso gruppo. Redon gli era ostile, mentre Seurat mirava a fondarlo su basi scientifiche. Malgrado tutto si decise di tenere un’ottava mostra, che ebbe luogo in rue Laffitte 1 nel maggio-giugno 1886, con diciassette partecipanti. Fu l’ultima. Degas vi era rappresentato con cinque opere e dieci pastelli, Pissarro con venti tele, pastelli, guazzi e acquaforti; Berthe Morisot vi espose quattordici opere, Gauguin diciannove, e Seurat, provocando vive discussioni, sei tele e tre disegni. Monet e Renoir manifestarono il proprio dissenso nei riguardi del nuovo venuto rifiutando di esporre alla mostra; ed anche Sisley se ne astenne.

Precursori; scoperte

L’i non è una scuola, ma innanzi tutto un comune atteggiamento di alcuni artisti verso i problemi essenziali della propria arte. Anche quando i mezzi impiegati sono condivisi e quando sono mutuamente vicini i risultati restano profondamente individualizzati. Una visione collettiva si crea soltanto in occasione di brevi periodi di lavoro in comune, in un determinato luogo. I pittori che hanno partecipato all’i non sono moltissimi; e, per ciascuno di loro, va preso in considerazione l’intero complesso delle sue opere. Quanto oggi va sotto il nome di i è il risultato d’una lunga evoluzione che pone la pittura dell’Ottocento sotto il segno del paesaggio. I vari tentativi si concatenano, su ambedue le rive della Manica. In Inghilterra, Constable che negli schizzi a olio eseguiti dal vero studia le ininterrotte trasformazioni del paesaggio, o Turner, la cui opera si concentra sullo studio della luce. In Francia Delacroix, che ha studiato lungamente i veneziani, presagisce le leggi del divisionismo cromatico, dei colori complementari e dei contrasti, o Corot che è apostolo della «pittura all’aperto», e resta fedele al paesaggio. Infine Courbet ricompone instancabilmente le strutture delle alte fustaie, delle scogliere gessose della sua terra natale.

I precursori del movimento sono rintracciabili in Daumier, per le sue ricerche ritmiche, Millet, nei pittori di Barbizon, Rousseau, Daubigny, Diaz, e infine nei pittori di marine Boudin e Jongkind. Inoltre due grandi scoperte realizzate nel XIX sec. contribuirono a sviluppare la percezione e, nel contempo, sconvolsero i canoni tradizionali: la fotografia e la codificazione dei colori dovuta a Chevreul. La fotografia, inventata da Niepce, venne presto considerata uno straordinario strumento d’investigazione. Giungevano con essa, in certo modo, a compimento tutti i mezzi utilizzati a partire dal Rinascimento per consentire agli artisti di ritrovare la realtà, di imitare la natura con esattezza. La fotografia apparve il mezzo atto a ridurre preliminarmente le vedute naturali a superfici, ove ogni cosa assumeva la giusta collocazione. Il paesaggio viene in tal modo ricondotto a piani e masse, ma l’occhio scopre pure, nell’immagine fotografica, effetti ottici che l’artista può assumere a propria base incontrovertibile. Alcuni tra gli impressionisti furono i primi a servirsene sistematicamente.

Infine, le scoperte del chimico Chevreul hanno importanza fondamentale. Direttore della manifattura dei Gobelins, egli pubblicò tra il 1828 e il 1831 le sue lezioni di chimica applicata ai colori e alla tintura, e nel 1839 la memoria intitolata De la loi du contraste simultané des couleurs et de l’assortiment des objets colorés considéré d’après cette loi dans ses rapports avec la peinture; poi, nel 1864, l’opera Des couleurs et leurs applications aux arts industriels à l’aide des cercles chromatiques.. Osservando che la giustapposizione degli oggetti colorati, la «legge dei contrasti simultanei tra i colori», consente di prevedere le modificazioni che ciascun oggetto colorato subisce in vicinanza di un altro oggetto colorato, egli riassume i suoi risultati in due punti: ogni colore tende a colorare i colori vicini col proprio complementare; se due oggetti hanno un colore in comune, l’effetto della loro giustapposizione è di attenuare notevolmente l’elemento comune.

Gli impressionisti trovarono nelle teorie di Chevreul sia un ampliamento della visione che una conferma della propria intuizione. Ma esse li interessarono soltanto nella misura in cui tali dati sperimentali consentirono loro di rivelare meglio le proprie individuali e soggettive emozioni. Ormai l’i poteva trascurare le convenzioni tradizionali dell’arte del dipingere: il disegno, la prospettiva, l’illuminazione di studio. Forme e distanze vengono suggerite attraverso le vibrazioni e i contrasti di colore, considerando il soggetto unicamente entro la sua atmosfera luminosa e nel mutare dell’illuminazione. Si spiega cosí la predilezione degli impressionisti per tutto ciò che sia in moto, e per l’acqua in particolare, che si presta ad ogni riverbero. Si può ricordare a questo proposito il passo di P. Claudel: «L’acqua è lo sguardo della terra, il suo strumento per guardare il tempo». Nel modo, del tutto peculiare, che li caratterizzava, gli impressionisti tenteranno, con la sensazione vissuta, d’iscrivere anche sulla tela il tempo che scorre insieme all’acqua.

Gli artisti; incontri storici

Tranne Camille Pissarro, nato nelle Antille nel 1830, i pittori che formarono il gruppo impressionista nacquero tutti entro lo spazio d’un decennio, tra il 1832 e il 1841. Per la maggior parte erano nati a Parigi, da agiate famiglie borghesi: Manet (1832), Degas (1834), Sisley (1839, di genitori inglesi), Monet (1840), Guillaumin (1841), Cézanne (1839, provenzale), Renoir (1841, da una modesta famiglia del Limousin), Bazille (1841, di Montpellier), Berthe Morisot (1841). A questi vanno aggiunti i nomi di Fantin-Latour, di Grenoble (1836) e dell’americano Whistler (1834). Appartengono invece a generazioni successive Gauguin, Van Gogh, Seurat, Toulouse-Lautrec, che, all’inizio della carriera, attingono all’i..

Gli impressionisti cominciarono ad unire i propri destini dopo il 1850, quando Manet entrò nello studio di Couture, insegnante presso l’Ecole des beaux-arts. Nel 1855 l’esposizione universale di Parigi, ove per la prima volta veniva allestita un’importante mostra dei Beaux-Arts, ampiamente aperta a partecipazioni straniere, favorí gli incontri ed i contatti. La didattica ufficiale aveva un’impronta decisamente accademica. Tutti i giovani pittori, che non potevano evitare di passarvi, se ne allontanavano rapidamente, interrogandosi sulle strade nuove aperte da personaggi come Courbet o Corot. Il problema attuale era, di fatto, quello che si ponevano Courbet e i suoi amici scrittori. Nel 1856 Duranty fondò la rivista «Réalisme», e i caffè si animarono di discussioni: al Taranne si potevano incontrare Fantin-Latour coi suoi amici, al Fleurus gli allievi di Gleyre. Ma il centro vero e proprio era la birreria dei Martyrs, sotto l’egida di Courbet, intorno al quale erano Baudelaire, Champfleury, Banville, Castagnary. Gli artisti lavoravano spesso al Louvre, cercandovi modelli – e qui s’incontrarono fra gli altri Manet, Fantin-Latour, Whistler – o in uno studio libero recentemente aperto, sul quai des Orfèvres, all’Académie Suisse. Intanto si moltiplicavano i segni di rinnovamento.

Per esempio, nel 1856, l’incisore Bracquemond entrava in possesso di alcune incisioni di Hokusai: le stampe giapponesi esercitarono un considerevole influsso sulle concezioni pittoriche dei giovani artisti. Nel 1859 l’ingiustizia è cosí manifesta nelle decisioni della giuria del salon che il pittore Bonvin decise di esporre nel proprio studio alcune opere respinte. In tale occasione Courbet si legò a Whistler e a Fantin-Latour. In quell’epoca Monet giungeva a Parigi, e scopriva meravigliato, nel Salon Daubigny, Corot e Rousseau. L’insegnamento di Boudin, di cui aveva fruito a Le Havre, lo incitò ad iscriversi all’Académie Suisse, anziché all’Ecole des beaux-arts, e qui incontrò Pissarro. Poco dopo fece il servizio militare in Algeria: «Le impressioni di luce e di colore che ebbi laggiú, - dirà piú tardi, - dovevano essere il germe delle mie future ricerche».

Nel 1861 Delacroix completava gli affreschi in Saint-Sulpice; la loro esecuzione, a grandi pennellate discontinue, consente, in distanza, un effetto di fusa omogeneità. Dal canto suo Manet si orientava verso una pittura di contrasti, nella quale cercava di liberarsi dagli «arzigogoli» visivi derivanti dall’insegnamento impartito negli studi ufficiali. La sua opera corrisponde in quel periodo alle concezioni di Baudelaire, il quale proclamava la modernità della visione e la sostituzione degli elementi di attualità alle convenzioni fittizie: la Musica alle Tuileries (Londra, ng) dà per la prima volta un’espressione complessiva di una società, al di là del carattere simbolico che ancora caratterizzava le grandi composizioni di Courbet.

Ruolo di Manet

Un passo decisivo venne compiuto con l’esposizione, nel marzo-aprile 1863, di Musica alle Tuileries. Questo quadro colpí profondamente il giovane Monet, che non ne conosceva ancora l’autore. La reazione scoppiò il 15 maggio dello stesso anno, dinanzi al Déjeuner sur l’herbe (Parigi, mo) esposto al Salon des réfusés, organizzato per decisione dell’imperatore, tanto vive erano state le proteste suscitate dal rigore della giuria del salon.Lo scandalo toccò il culmine col salon del 1865, ove Manet espose l’Olympia (ivi), dipinta due anni prima. Questa pittura franca, priva di simboli, essenzialmente visiva, sembrava negare l’ordine sociale. I nudi, al centro di ambedue i quadri, benché ripresi da modelli classici non hanno piú nulla delle convenzioni consuete delle figure di scuola.

Il trionfo di Manet fu presto sancito dai giovani pittori. A lui si volsero spontaneamente Monet, Sisley, Renoir, Bazille, che avevano appena lasciato lo studio di Gleyre. Erano ancora, nel 1865, sconosciuti; ma con essi si preparava il cambio della guardia. Per qualche anno Manet fu la personalità dominante del gruppo, fino al momento in cui Monet s’impose ai compagni, proponendo una nuova avventura.

Monet e la pittura all’aperto

Dopo le prime esperienze con Boudin, per sua stessa confessione Monet deve a Jongkind la «definitiva educazione» dell’occhio. A contatto con lui migliorò la propria tecnica, irrobustí i suoi mezzi. Lasciando Le Havre per Parigi, entrò con entusiasmo nello studio di Gleyre. Là incontrò altri tre allievi, Sisley, Renoir e Bazille, dei quali divenne amico. L’audacia delle sue intuizioni, la consapevolezza che ebbe delle proprie possibilità, infine la sua tenacia, ne fecero un animatore del gruppo. Nel 1863 Monet indusse i compagni a recarsi a dipingere nella foresta di Fontainebleau; qui Renoir incontrò per caso Diaz, il quale generosamente lo aiutò. Ammirava Daubigny, che frequentava e che non cessò mai di sostenere i futuri impressionisti, in particolare quando fu membro delle giurie del salon.Dopo la chiusura dello studio di Gleyre (1864), soggiornò varie volte con gli amici a Chailly-en-Bière. Là tentò di realizzare all’aperto un’immensa tela di 28 m2, che intitolò a sua volta Déjeuner sur l’herbe (1865). Rimasta incompiuta, fu poi tagliata (Parigi, mo e coll. priv.); sembra fosse, negli intenti di Monet, un tentativo di spingere piú innanzi l’esperienza di Manet. Impressionò profondamente i suoi amici, che se ne rammentarono, in particolare Bazille quando questi realizzò la Riunione di famiglia (1867-68: Parigi, mo). Monet dipinse l’anno seguente, nel medesimo spirito, un’altra tela meno ambiziosa e meno vasta, Donne in giardino (ivi), anch’essa eseguita all’aperto. Nonostante fosse gravato da problemi finanziari, Monet arrivava a distruggere le sue tele per evitarne la vendita all’asta. Tornò a dipinti di dimensioni modeste, nei quali, la figura umana perse, progressivamente, di importanza, a favore di un interesse sempre maggiore verso la natura. A varie riprese (1867-69) tentò invano di esporre le proprie tele al salon. Dopo aver dipinto la strada che conduce alla fattoria di Saint-Siméon prima nella luce estiva, poi sotto la neve, s’interessò di paesaggi urbani, rinnovandone la descrizione attraverso l’uso della veduta panoramica o zenitale, tali ricerche dovevano ispirare tutti gli impressionisti fino alla fine del secolo.

Nel 1866, a Sainte-Adresse, dipinse marine di grande novità, realizzando combinazioni varie di piani sviluppati a bande parallele, o innestati in diagonale. Alla fine del 1868 si stabilí con la famiglia a Bougival. Renoir, che abitava non lontano, a Villed’Avray, venne a lavorare presso di lui. Le loro impressioni si completavano; e, posti dinanzi allo stesso motivo, per la prima volta essi offriranno interpretazioni parallele, conservando ciascuno il proprio linguaggio distintivo, ma sforzandosi ambedue di creare un nuovo modo di dipingere. Dopo aver trattato il tema della barca, dell’acqua, dei riflessi, proseguirono in comune le ricerche, il cui frutto fu la serie della Grenouillère, una spiaggia presso il ristorante Fournaise.

In questi quadri nel contempo analoghi e diversi, simile è soltanto il trattamento dell’acqua, a tocchi allungati di chiari e scuri alternati. In Renoir le figure si fondono col fogliame e i personaggi perdono ogni individualità, avviluppati in sfumature delicate e luminosi riflessi. In Monet, invece, i contrasti sono assai piú netti e la luce sembra incollarsi ai personaggi. I dettagli sono trattati con grande audacia visiva. Insieme, Renoir e Monet studiano inoltre i riflessi del sole sulla neve, sfumata di rosa o di giallo, facendone risaltare le ombre, azzurrastre o malva. Condussero un’esistenza estremamente difficile, vicina alla miseria; ma ciascuno di loro proseguí accanitamente il proprio lavoro, e se il loro modo di vivere fu analogo, mantennero una propria individualità. Cosí Renoir, portato dagli amici nella foresta di Fontainebleau, serbò una certa reticenza nei riguardi della pittura all’aperto: sembra aver sempre bisogno, per applicare le tecniche nuove, di ricorrere alle densità e ai volumi della figura umana, all’unità cromatica. Affrontò il soggetto attraverso pennellate finissime, il che alleggerisce le masse principali e racchiude le forme in un nimbo poetico; si liberò allora di una tecnica liscia e smaltata che aveva senza dubbio tratto dalla precoce pratica della pittura su porcellana.

Sisley, dal canto suo, si affermò come paesaggista. La sua analisi si esprime in variazioni cromatiche assai sottili, ma in tono minore. Bazille restò un po’ in disparte, e cogliere le apparenze lo interessò meno della verità psicologica. Pissarro fu l’unico che svolse un ruolo pressoché pari a quello di Monet. Seguí agl’inizi l’esempio di Corot, il che implica sfumature alquanto diverse dalle folgorazioni e dai voltafaccia appassionati di Monet; Pissarro si affrancò progressivamente dall’influsso di Corot osservando la campagna, dove decise di stabilirsi. Intorno al 1868-70 praticò istintivamente una sorta di frammentazione del tocco che preannuncia il divisionismo, e che è anche un modo per esprimere la diversificata densità della materia. Durante questa fase non va trascurato l’influsso di Berthe Morisot. Quest’ultima accoglie le impressioni con franchezza e semplicità, e ciò dà alle sue opere un carattere spontaneo e innovatore. Nel 1866 divenne allieva di Manet. E sarà lei, infine, a stimolarne la curiosità nel campo della pittura chiara. Verso il 1865 Degas è diventato amico di Manet, cui si sente piú vicino, anche se la sua concezione della pittura è molto diversa. Non ha alcuna inclinazione per la pittura all’aperto; lo fa solo per periodi brevissimi. Nulla è meno spontaneo e libero della sua arte. Come Manet, rappresenta la vita della società. I suoi temi saranno, di volta in volta, i gesti determinati dalla pratica di un mestiere: musicisti, parrucchiere, lavandaie, danzatrici. S’interessa anche dell’effimero, degli effetti della luce artificiale, che affronterà nei quadri dedicati ai caffè-concerto e al music hall. Si appassionò di fotografia, che utilizzò molto, cogliendo la vita nella sua istantaneità. Attraverso la danza e le corse di cavalli, mostra quanto lo interessi il movimento. In questo stesso periodo, la forte personalità di Cézanne s’impone agli amici, ma, per il carattere ombroso, resta un isolato. A ogni salon, deliberatamente, presenta soltanto le opere che a suo avviso scandalizzeranno di piú la giuria. Ammira profondamente Delacroix, Daumier, i veneziani; e concepisce in un primo tempo vaste composizioni romantiche dalla fattura goffa e tormentata. Ma, sotto le apparenti brutalità, persegue il filo di un suo ragionamento per elaborare un diverso sistema di pittura. Rispetto agli amici, intende manifestare la solidità e la stabilità delle cose; la sensazione, per lui, è soltanto un mezzo per giungere a superare durevolmente l’emozione, e per molto tempo sembrerà in ritardo rispetto all’evoluzione dei compagni. Egli costituí inoltre lo strumento di collegamento tra i futuri impressionisti e colui che doveva esserne il primo sostenitore.

Emile Zola, nel 1866, accettò di curare sull’«Evénement» la critica del salon.Ne approfittò per definire la propria concezione dell’arte, intesa come combinazione tra due elementi: uno fisso e reale, la natura, l’altro individuale e soggettivo, il temperamento dell’artista. Infine, prese coraggiosamente le difese di Manet, i cui quadri quell’anno vennero rifiutati in blocco dalla giuria. Le violente proteste dei lettori obbligarono Zola ad interrompere la serie dei suoi articoli, ma ne dedicò a Cézanne i testi, successivamente raccolti in opuscolo. Un anno dopo infine, in occasione dell’esposizione universale, cui Manet e Courbet partecipavano presentando le proprie opere in due padiglioni appositamente costruiti, Zola pubblicava un ampio e pertinente studio su Manet. A suo avviso il merito di Manet è quello di dipingere per masse, di aver scoperto il tocco, di partire sempre da una notazione piú chiara di quella esistente in natura. Mentre l’esposizione di Manet non incontrò l’atteso successo, quella di Courbet attirò di piú l’attenzione, e consentí a tutti i giovani pittori di misurare l’importanza e l’ampiezza del suo lavoro. L’intervento di Zola a sostegno di Manet doveva avere riscontri duraturi, e fornire una cementazione teorica alle riunioni di giovani artisti e scrittori. Brillanti, appassionate, talvolta rumorose e tempestose, queste riunioni si tenevano allora al caffè Guerbois, ai Batignolles. Scrittori come Zola, Duranty, Astruc, Duret, Burty, Claudel v’incontravano i pittori, nonché alcuni sostenitori e primi collezionisti. Consentendo comuni prese di coscienza su taluni problemi, soprattutto tecnici, esse ebbero un ruolo importante nella storia dell’i.

La guerra del 1870 e il soggiorno a Londra

Benché l’i vedesse praticamente la luce alla Grenouillère (1869), la guerra del 1870 e gli eventi successivi dovevano dirigerne il corso, e farne precipitare gli sparsi elementi costitutivi fino alla definizione di un linguaggio. Tutti gli artisti dovettero attraversare la fase preliminare del rifiuto. Parzialmente toccati dallo spirito rivoluzionario degli inizi del 1870, credettero nella possibilità di un generale progresso e s’interessarono dello sviluppo delle scienze sperimentali.

Alla notizia della dichiarazione di guerra alla Prussia ciascuno reagí a suo modo, ma a tutti sembrò che, innanzi tutto, andasse salvata la pittura. Bazille si arruolò e presto cadde a Beaune-la-Rolande. Cézanne lasciò Aixen-Provence ritirandosi all’Estaque. Renoir fu arruolato in un reggimento di corazzieri, prima a Bordeaux, poi a Tarbes; Degas e Manet tornarono a Parigi, arruolandosi solo dopo la caduta dell’Impero. Monet restò a Le Havre, e poi si recò a Londra, ove lo raggiunse Pissarro. La cornice abituale della vita si era spezzata. Ciascuno scopriva che la soluzione, in quella catastrofe, era di rimettersi al lavoro. Fin dal romanticismo, gli scambi letterari ed artistici tra l’Inghilterra e la Francia erano stati numerosi e fecondi. Per Monet e Pissarro, in quella fase del loro sviluppo, il forzato soggiorno del 1870-71 comportò nuovi influssi, conferme ed incontri. I due artisti furono sorpresi «soprattutto dai paesaggisti» inglesi, che piú si accostavano alle loro ricerche «nei riguardi della pittura all’aperto, della luce e degli effetti fuggevoli». Infine, «quanto alla divisione dei toni», Turner confermava in loro la validità del procedimento. Sia Monet che Pissarro infatti s’interrogavano sempre sul modo di trattare le ombre, sulla divisione dei toni e sul mezzo tecnico migliore da impiegare per raggiungere l’intensità luminosa desiderata. Riscontravano pertanto nell’opera di Turner e in quella di Constable un sostegno, una conferma del proprio tentativo. Infine Daubigny, che anch’egli soggiornava a Londra, commosso dalle difficoltà finanziarie dei suoi amici, li presentò al suo mercante Durand-Ruel, che aveva aperto una galleria in New Bond Street. Durand-Ruel fu il mercante degli impressionisti: fu il primo, e per lungo tempo il solo, che osò impegnarsi per loro, non esitando a giocare, sulle proprie scelte, la sua fortuna. Svolse un ruolo determinante prima per la sopravvivenza, poi per il trionfo di questa nuova pittura.

L’effimero

Sollecitato da Daubigny, Monet compí, prima di ritornare in Francia, un soggiorno in Olanda, e lo prolungò fino alla fine del 1871, incantato dalla luce dei luoghi. Realizzò una serie di tele (Mulini in Olanda, Mulini a Zaandam), ove l’opacità e la fluidità si contrappongono e si completano come termini estremi di una contraddizione fondamentale in corso di risoluzione. Tornato a Parigi, si stabilí ad Argenteuil. Da quel momento, acquistò un vero e proprio ascendente sul gruppo. Importante fu il suo esempio per Manet, che si decise a dipingere all’aperto. La prima impresa fu magistrale: nella tela Claude Monet nel suo studio (Monaco, np) Manet riuscí a immergere i profili nella luce animata dagli scintillanti effetti dell’acqua. Dal 1872 al 1874 il cammino di Monet è ricco e complesso. Sfrutta alternativamente tocchi tagliati, leggermente distanziati, come nel Battello da diporto, oppure posati con vivacità, come nelle Regate, con tempo grigio, ad Argenteuil.Nel 1872 realizzò a Le Havre, con una pennellata estremamente spontanea e fluida, Impressione al levar del sole (già a Parigi, Museo Marmottan). Nel 1873 dipinse con Renoir lo Stagno con anatre; l’uno e l’altro adottarono un tocco a virgola, molto minuto, che consentiva di notare ogni lampo di colore, ogni mutamento di luce. Durante l’estate del 1874 il processo creativo di Monet ebbe un’accelerazione. In una serie di tele di abbagliante freschezza, Il ponte di Argenteuil, La Senna ad Argenteuil, Velieri ad Argenteuil, l’artista persegue i riflessi, i fremiti dell’acqua, i lampi di luce. Variava la sua tecnica, impiegando di volta in volta pennellate ampie o tocchi a virgola. Scomponeva il tono, dispiegava al massimo lo spazio, spezzava masse e superfici. Ma, guardando l’esperienza nella sua totalità, va notato che per lui non si trattava tanto di catturare il fuggevole quanto di esprimere, attraverso la sensazione che ne traeva, la durata, ricollegandosi, in questo, alle riflessioni di Bergson.

Renoir: ricerca della densità

L’amichevole sodalizio Monet-Renoir, in due momenti decisivi, rivela la parte svolta da Auguste Renoir nell’elaborazione della tecnica impressionista. L’opera di questo pittore è caratterizzata, in quel periodo, da una ricerca di unità e da un uso simmetrico dei complementari. Nelle sue opere di Argenteuil, Renoir riprende da Monet il tocco allungato. Utilizza pennellate fini, che dànno un effetto di brulichio cui Monet non restò indifferente. Ma continuarono a premergli il volume e la densità, e restò interessato alla figura umana, sia ritraendo gli amici, sia rappresentando volti e corpi di donne a lui care. Non tentò mai una ricerca psicologica, cercò soltanto di tradurre nella rappresentazione l’apparenza carnale, ed un piacere nel contempo visuale e tattile. Nelle sue composizioni del 1875-76, l’Altalena, il Moulin de la Galette (Parigi, mo), impiegò la figura umana in modo assai originale, come motivo costituente del paesaggio, sul quale la luce può giocare con maggiore ricchezza e fantasia.

L’evoluzione di Pissarro, Cézanne e Sisley

Tornato a Louveciennes nel 1871, Pissarro si stabilí fino al 1884 a Pontoise; i suoi primi paesaggi di Louveciennes sono molto vicini a quelli che aveva fatto nel 1870. Anche Sisley si stabilí a Louveciennes, poi a Port-Marly, ove restò fino al 1877. I due pittori operano con spirito analogo, anche se Pissarro è piú saldo, piú sicuro, Sisley piú poetico, un poco incerto dinanzi all’immensità dei cieli, allo scintillio delle acque. Quest’ultimo proseguirà il lavoro non solo con perseveranza, ma anche con una sorta di noncuranza che spiega perché egli sfiori i temi, piú che approfondirli. Pissarro invece è in grado di distaccare dai paesaggi a lui familiari elementi importanti, facendone motivi in sé autosufficienti. Conferisce cosí saldezza e persino un certo tono epico anche alle annotazioni piú lievi della vita rurale, trattandole su un registro piú ampio. Pissarro fu amico di Mary Cassatt, Guillaumin e, in modo del tutto particolare, di Cézanne, il quale, per molti mesi, tra il 1872 e il 1873, lavorò al suo fianco a Pontoise: questo ritiro di studio, accanto a un amico rispettoso e attento, trasformò la tecnica e l’arte dell’ombroso pittore. Il passaggio in Cézanne a una pittura chiara si manifestò quando, in occasione di un soggiorno presso il dottor Gachet ad Auvers-sur-Oise, Cézanne realizzò la Casa del dottor Grachet e soprattutto la famosa Casa dell’impiccato (Parigi, mo).

Degas: i meccanismi della vita

Dopo un viaggio a New Orleans, Degas si stabilí a Parigi; il lavoro che intraprese lo mostra definitivamente dedicato agli aspetti della vita quotidiana, di cui persegue la sistematica esplorazione. I suoi mezzi sono diversi da quelli degli amici. Non è attratto dalla pittura all’aperto e rivendica i diritti dell’immaginazione. Di fatto si dimostra osservatore fedele, addirittura maniaco, della realtà. E benché operi in studio in base a disegni e schizzi, egli è forse colui che meglio dà l’impressione di cogliere la vita nelle sue palpitazioni e fluidità piú delicate: utilizza illuminazioni di scena violente e direzionate, in contrasto con penombre, mezzetinte, luci incerte, creando per un unico oggetto gamme assai diverse d’intensità. Le tecniche d’inquadratura e d’impaginazione tratte dall’arte dell’Estremo Oriente, le vedute zenitali, le diagonali, sono per lui il mezzo per fissare, per un medesimo soggetto, variazioni sorprendenti.

Presenza della città

La vita urbana non poteva rimanere estranea agli impressionisti, appassionati di tutte le realtà contemporanee. Monet dipinse tra il 1876 e il 1878 paesaggi urbani alla stazione Saint-Lazare, sul ponte d’Europa, agli scali ferroviari, paesaggi ove la modernità del tema viene sopraffatta da rarefatte atmosfere. Quanto a Manet, realizza una serie di scene parigine i cui soggetti, improntati dal naturalismo di Zola e di Maupassant, sono trasfigurati dalla libertà, dall’improvvisazione con cui sono trattate: Nana (1877: Amburgo, kh), il Bar delle Folies- Bergère (1881: Londra, Courtauld Inst.).

Dispersione del gruppo

Gli anni 1878-82 furono assai difficili, sia per ragioni economiche (la produzione degli impressionisti non attirava acquirenti) sia per contrasti interni. Tuttavia il movimento prosegue la propria attività. Théodore Duret pubblica un opuscolo, Les peintres impressionnistes (Paris 1878). Charpentier, che fa uscire un settimanale d’arte e letteratura offre ad alcuni pittori il proprio locale, ove nel 1879 sono esposti i pastelli di Renoir, nel 1880 i quadri di Manet e di Monet. Nel 1881, la congiuntura economica migliora un poco: Durand-Ruel riprende i propri acquisti e comincia persino a versare piccoli compensi mensili a vari artisti. Grazie ai suoi sforzi, il gruppo, in occasione della mostra del 1882, presentava ancora una relativa coesione. Ma non esisteva piú la volontà di un’azione comune. Ciascuno intendeva proseguire, ormai, sulla strada che si era tracciata. La maggior parte degli artisti si erano allontanati da Parigi. Sisley si era stabilito a Saint-Mammès, presso il canale del Loing, Monet aveva scoperto Giverny, Pissarro era a Eragny, nel cuore del Vexin. Cézanne era tornato in Provenza. Renoir vagabondò, prima di scegliere la costa mediterranea.

Gli impressionisti restavano comunque mutuamente legati: si frequentavano e continuavano a scambiarsi idee e temi di riflessione. Grazie all’energia di Monet l’Olympia di Manet entrerà nel Museo del Lussemburgo a Parigi. Cosí pure Renoir, esecutore testamentario di Caillebotte, riuscirà a vincere le riserve dei funzionari e a far accettare 38 sui 67 quadri che erano stati donati al Louvre. Impegnati nel condurre a compimento la propria opera personale, gli impressionisti si mostrarono indifferenti rispetto alle nuove ricerche ed alle personalità piú giovani che si andavano affermando accanto a loro. Il solo Pissarro, sempre generoso, serbava contatti coi pittori della giovane generazione. Fu lui che protesse la vocazione tardiva di Gauguin. S’interessò anche di Seurat, che s’impegnava nella formulazione scientifica delle conquiste empiriche dell’i. Durante l’ultima mostra del gruppo, nel 1886, Monet, Renoir, Caillebotte e Sisley preferirono astenersi, dominata da Pissarro, e grazie alla presenza di Seurat, che per sua insistenza accettò di esporre, essa fu una mostra aperta verso l’avvenire. Infine, la pubblicazione nel 1886, per mano di Félix Fénéon, dell’importante testo Les Impressionnistes, che preannunciava il superamento dell’i e che prendeva posizione a favore di Seurat (per il quale la critica coniava il termine ‘neo-impressionismo’), indicava che si era definitivamente voltata pagina.