5/13/2020

Immagine pubblicitaria

Diversi sono gli spazi utilizzati dalla pubblicità per diffondere i propri messaggi: Tv, radio, cinema, stampa e affissione sono i principali. I primi tre possono essere considerati mezzi per pubblicità dinamiche, mentre gli ultimi due sono mezzi per pubblicità stauche. Le prime immagini impongono allo spettatore un tempo di fruizione che è interno al messaggio stesso e che a sua volta si impone al tempo dell’individuo che guarda. Le rimanenti, viceversa, lasciano che sia lo spettatore a decidere il tempo di osservazione e l’effetto ottico è giocato su relazioni di stabilità, abitudine e novità che si susseguono nel campo visivo.


La storia dell’immagine p va ricondotta, almeno inizialmente, alla storia del manifesto che fu il primo ad avere specifiche caratteristiche pubblicitarie. Il manifesto era già nato prima delle ricerche di Cheret e Lautrec che ne fecero un riconosciuto mezzo espressivo con proprie regole; ma la programmazione della moltiplicazione dell’immagine (sempre piú rapida con il perfezionarsi delle tecniche litografiche), e il differente rapporto tra immagine e scrittura, sono fatti nuovi rispetto al passato. La negazione del concetto di unicità dell’immagine sviluppatosi di pari passo con la nascita, nella seconda metà dell’Ottocento, della cultura metropolitana nata dall’industrialesimo, è poi collegata allo sviluppo dell’illustrazione del libro (in particolare dell’illustrazione popolare) e a quello delle affiches teatrali. L’illustrazione aveva trovato nuovi stimoli con le opere di P. Gavarni e H. Daumier che privilegiavano le immagini rispetto ai testi letterari; nelle affiches s’inaugurava di pari passo l’autonomia del mezzo al quale veniva affidato il compito di uniformare testo e immagine e nel contempo di creare interesse. Le affiches teatrali, piú delle illustrazioni dei libri, segnarono la storia del manifesto nella nuova funzione assegnata alle immagini dirette a un nuovo pubblico: esse dovevano informare e pubblicizzare un’opera, erano esposte all’aperto rivolgendosi a quella piccola e media borghesia che affollava le platee dei caffè parigini.

Tra i primi manifesti pubblicitari va citato quello disegnato dall’americano J. W. Morsen: Five celebrated clowns del 1856 (una Xilografia lunga 3,5 m), in cui cinque clowns riempiono quasi tutto lo spazio mentre la scritta assumeva un ruolo del tutto secondario. Jules Cheret ed Henry de Toulouse Lautrec furono i primi artisti in Francia a eseguire veri e propri manifesti pubblicitari. Cheret realizzò i suoi poster direttamente sulla pietra litografica dedicandosi soprattutto alla pubblicizzazione di spettacoli teatrali dove diversamente dall’esempio di Morsen, la scritta era un elemento inscindibile e parte integrante dell’immagine. Cheret, infatti, pur essendo convinto della prevalenza dell’immagine sul testo, parte dall’esigenza – come nei manifesti per le Folies Bergères del 1881 o per l’Exposition Universelle des Arts Incoherentes del 1889 – di costruire entro i termini dell’immagine una sintesi di racconto derivata dall’illustrazione popolare di romanzi in cui il testo è necessario all’esplicazione delle immagini.

Meno accademica, la cultura di Toulouse Lautrec parte dallo studio approfondito delle xilografie giapponesi e dal riferimento alla pittura di van Gogh e Gauguin. Già con le sue prime opere, Divan Japonais (1892), Jane Avril (1893), Babylone d’Allemagne (1894) si assiste a una netta rottura con il passato. L’immagine è ridotta a profilo, il chiaroscuro eliminato, il colore usato per determinare le gerarchie, i particolari sono solo accennati. La scritta è in funzione dell’immagine, ridotta di volta in volta a formare la base o lo sfondo di un sistema che evidenzia soprattutto le figure. La comprensione è affidata alle sole immagini, metafore del messaggio. Con il manifesto pubblicitario, tra il 1890 e il 1900, si misurarono anche altri grandi artisti del momento – Pierre Bonnard, Felix Vallotton, Maurice Denis, Jacques Villon – ma senza apportare novità particolari.

Una delle figure piú stimolanti del periodo è sicuramente Alphons Maria Mucha che in alcune opere degli anni Novanta (La trappistine, Salon des cent) realizzò dei testi fondamentali per la successiva cultura del manifesto, operando sulla stilizzazione dei contorni e utilizzando il testo scritto come base dell’equilibrio geometrico del messaggio figurale. Ma la conciliazione tentata sullo scorcio del secolo tra cultura dell’immagine e cultura letteraria non riuscì a risolvere la dicotomia esistente tra testo e immagine, problema centrale della funzione della immagine p nel mondo della comunicazione di massa.

Fu il clima dell’espressionismo a porre nuovi problemi, la funzione dell’immagine nel contesto urbano venne rivoluzionata da artisti come Heckel, Kirchner, Kokoschka, Schiele che determinarono questa rottura: il manifesto espressionista tedesco non è piú una pagina di libro, né una rappresentazione della realtà, ma una «enfatizzazione simbolica di alcuni elementi di un modello» (A. C. Quintavalle, 1977) divenendo nel contempo mezzo di persuasione e di creazione di consenso, identificandosi successivamente con quel momento di presa di coscienza nazionale tedesca, come uno dei mezzi di comunicazione ideologica prioritari.

Anche in America, in Inghilterra, in Italia, sia pur differenziandosi per riferimenti culturali e scelte iconologiche, i manifesti vennero utilizzati per la propaganda. Un’esperienza fondamentale per la storia del manifesto e della pubblicità in generale, è stata quella del Bauhaus (1919) dove furono definiti i rapporti tra arte e industria. Dal clima del Bauhaus usciranno i manifesti scientifico-surrealisti di Herbert Bayer e quelli legati al razionalismo astratto di Moholy-Nagy che influenzeranno prima la grafica europea e poi quella nord-americana. I temi pubblicizzati dai manifesti sono spettacoli, prodotti del progresso industriale, biciclette, automobili, carburanti. La forma estetica è quella della cultura figurativa dell’avanguardia. La rivoluzione nella grafica del Bauhaus non è semplicemente formale, non è un fatto limitato all’invenzione di alcuni caratteri, all’applicazione di un metodo di composizione che ridistribuisce il testo nella pagina o all’applicazione della fotografia, ma di una vera rivoluzione del valore della scrittura. I caratteri sono progettati in relazione alla loro funzione.

Al di fuori del clima del Bauhaus, in Europa domina, tra gli anni Venti e Trenta, la cultura post-cubista che in Germania trova uno dei suoi rappresentanti in McKnight Kauffer. In Francia o pubblicitario piú noto è Cassandre; il suo Nord-Express del 1927 mostra chiaramente il richiamo alla radice post-cubista, mentre Dubo-Dubon-Dubonnet del 1934 unisce componenti diverse: la semplificazione d’immagine post-cubista, la successione significante che è propria del fumetto, l’impiego della scrittura come elemento strutturante dell’immagine.

In Svizzera, invece, con Herbert Matter, il riferimento primo è la cultura surrealista. Con la seconda guerra mondiale il manifesto diviene soprattutto strumento di propaganda politica – stampa e radio lo accompagnano. I manifesti trascrivono in immagini le ideologie dei paesi in guerra e la composizione estetica volge decisamente al realismo. Opere significative sono quelle di Ben Shahan negli Stati Uniti, di Karl Golb in Germania e di Boccasile in Italia.

Nel dopoguerra si assiste a una inversione di tendenza in campo pubblicitario: se, infatti, fino a quel momento erano stati i governi a indirizzare le mitologie di massa e a determinare la direzione del consenso, nel dopoguerra essi rinunziarono a questa funzione lasciando spazio alla libera iniziativa nel campo dell’immagine e della pubblicità, stimolati dalla linea di tendenza già operante negli States. Dal manifesto, che era stato ancora nelle due guerre il mezzo principale per la diffusione dell’immagine p – accompagnato solo dalla radio – si passa rapidamente all’uso dei settimanali e dei cartelloni stradali. In ambito statunitense si cominciano anche a elaborare dei particolari sistemi di persuasione che si avvalevano delle tecniche studiate da sociologi e psicologi.

Ma l’importanza del manifesto come creatore e diffusore dell’immagine p diminuí moltissimo soprattutto con l’avvento della pubblicità televisiva. Con la televisione la pubblicità si fa racconto, il messaggio si svolge nel tempo, le immagini non sono piú fisse ma mobili, il fruitore non deve solo guardare ma anche ascoltare. Nello stesso tempo il mondo della pubblicità si arricchisce di nuove competenze; fino a quel momento il fotografo era quasi l’unico collaboratore, esterno all’agenzia, che avesse un ruolo di rilievo; adesso, anche registi, producer, creatori di jingle e scenografi assumono ruoli di primo piano. Il set diviene il luogo d’elezione per la pubblicità degli anni ’70 e ’80: piú del 50 per cento della spesa pubblicitaria è rivolta infatti al mezzo televisivo, mentre di gran lunga minori sono gli investimenti su quotidiani, periodici, affissioni, radio e cinema. Del resto, la televisione, con la sua grande capacità di copertura (numero di individui che si suppone di poter raggiungere) è senz’altro il mezzo piú adatto alla diffusione del messaggio pubblicitario. Ogni mezzo, infatti, viene valutato anche in base al rapporto tra il costo complessivo dell’operazione e il numero di persone che si ritiene possa raggiungere (rapporto costo-contatto). Nel caso della televisione, anche se i costi sono particolarmente elevati, il numero di persone che ogni giorno sono potenzialmente raggiungibili è talmente elevato da compensare largamente le spese. L’efficacia della pubblicità televisiva è inoltre determinata dalla possibilità di arrivare al fruitore non solo attraverso la vista ma anche attraverso l’udito; in questo modo, la possibilità che il messaggio giunga a destinazione si raddoppia.

Mentre nel cinema l’immagine p ha caratteristiche simili a quelle televisive pur avendo a disposizione tempi piú lunghi e possibilità di lizzare effetti sofisticati, il ruolo svolto dall’immagine p in riviste e giornali è molto diverso basandosi oltre che sullo slogan, sul preponderante spazio dato alla parte scritta che deve informare e illustrare le qualità del prodotto pubblicizzato.

La storia dell’immagine p in Italia

La pubblicità in Italia nasce verso la fine dell’Ottocento; i giornali dedicano l’ultima pagina ai piccoli annunci, sui tram a cavalli vengono applicati i primi cartelli pubblicitari ed è il momento in cui nascono le prime imprese di affissione. Nel 1836 A. Manzoni fondò la prima concessionaria italiana che curava le inserzioni per un certo numero di giornali, e nel 1881 venne creata da A. Montorfano l’IGAP (Istituto Grafica e Affissioni Pubblicitarie) che pose le fondamenta per la diffusione del manifesto. Così come in Europa, anche in Italia i primi pubblicitari provenivano dall’ambiente artistico. Leonetto Cappiello ad esempio arrivò al manifesto dopo aver conosciuto vasta notorietà come ritrattista e caricaturista, pittori come Fortunato Depero e Marcello Nizzoli si dedicarono anche alla pubblicità.

Tra i protagonisti della storia della pubblicità in Italia vanno citati Leonetto Cappiello e Marcello Dudovich; il primo lavorò soprattutto a Parigi, dove si trasferì nel 1898. Fu definito l’inventore del «manifesto marchio» di rapida comunicazione e alta memorabilità. Il secondo, dal 1888 fu attivo soprattutto a Milano per le Officine Ricordi. I destinatari delle sue pubblicità sono gli uomini del suo stesso ambiente: un mondo colto e borghese che poteva apprezzare la qualità delle sue immagini e che non aveva problemi di spesa. In questa prima fase, l’operatore pubblicitario non era toccato da vincoli né obblighi, era lasciato libero di dare spazio alla propria immaginazione senza dover scendere a compromessi.

Sullo scorcio del secolo il manifesto cominciò ad avere anche una certa fortuna editoriale. Nel 1899 sulla rivista «Le arti applicate» viene presentata una rassegna di manifesti. Ai primi del Novecento a Milano e a Genova vengono fatte le prime mostre dei lavori pubblicitari, e nel contempo escono anche i primi libri sull’argomento: L’arte della reclame di Bernet, L’arte del persuadere di G. Prezzolini. Nel primo decennio del Novecento, grazie ad alcune grandi concessionarie vennero attuate le prime campagne pubblicitarie sull’intero territorio nazionale: quella della Pirelli fu tra le piú importanti. In queste prime immagini p il prodotto pubblicizzato svolge un ruolo di secondo piano ed è utilizzato come oggetto-simbolo aggiunto all’atmosfera di lusso che viene rappresentata, senza acquisire una propria autonomia. Il prodotto fa parte del decoro borghese, ne è il simbolo e la stilizzazione. Inoltre, non vi sono toni aggressivi o competitivi, non vi sono slogan, né veri e propri personaggi mancando in realtà quell’aspetto concorrenziale assunto nel secondo dopoguerra dalle proposte del mercato.

Nel periodo fascista coesistono gli ultimi manifesti in stile liberty e i primi della nuova propaganda fascista. Nel 1926 Guido Mazzali fonda «L’Ufficio Moderno» rivista che riunì molti dei pubblicitari del tempo. Nel 1928 una agenzia pubblicitaria americana, la Erwin Wasey, apre a Milano; sul suo modello, e nel giro di pochi anni, ne nascono molte, tutte italiane. Nel 1930 a Roma e nel 1931 a Milano si svolgono il 1° e il 2° Congresso della Pubblicità; viene messo in discussione il manifesto del passato che non teneva realmente conto delle esigenze del fruitore – iniziano i primi studi sul target ed è in questo momento che al grafico si affianca il lavoro del fotografo. Nei lavori dei pubblicitari attivi nel periodo pre-bellico, come F. Seneca, S. Pezzati, M. Nizzoli, G. Boccasile, D. Villani, all’enfasi coloristica tipica delle immagini p precedenti si sovrappone una griglia compositiva geometrizzante. Nel dopoguerra in Italia va affermandosi rapidamente il modello industriale statunitense, basato sul grande consumo di beni d’uso quotidiano come le cucine economiche, lavatrici, prodotti di pulizia come detersivi, cere e di bellezza, mentre nel contempo la martellante campagna pubblicitaria per la benzina indica l’apparire di un nuovo e mitico soggetto di mercato destinato a un largo consumo: l’automobile. D’altronde il fervore stesso dell’economia italiana provoca l’interesse del capitale statunitense: la Lintas nel 1948 e la Thompson nel 1951 aprono le loro Agenzie in Italia. Con l’America arrivano gli studi di marketing e le ricerche motivazionali che mettono la parola fine all’improvvisazione artigianale e alle pretese artistiche degli esordi; piú  dell’immagine, ora, è lo slogan che conta.

Un’esperienza tutta italiana è stata quella di «Carosello» – dal 3 febbraio 1957 al 1° gennaio 1977 – che fece entrare in modo stabile la pubblicità nella vita degli italiani. Fu un’invenzione della Rai per regolare la pubblicità televisiva (allora appena agli inizi) cercando una formula che costituisse un punto d’incontro tra le esigenze degli inserzionisti e quella del pubblico. Ogni pubblicità aveva a disposizione 2 minuti e 15 secondi; 135 secondi dovevano essere dedicati a uno spettacolo non pubblicitario e solo gli ultimi 30 secondi al messaggio. L’esperimento si concluse per volere degli stessi inserzionisti che pagavano cifre troppo elevate per l’organizzazione dei «Caroselli» in confronto al tempo dedicato al vero e proprio messaggio pubblicitario.

Negli anni Sessanta furono le grandi agenzie internazionali a prendere il sopravvento; gli studi e le piccole agenzie cessarono di avere un ruolo di rilievo. In questo periodo la pubblicità viene preparata con bozzetti su carta (layout); la visibilità del prodotto è ottenuta con l’uso del mezzo fotografico. L’abilità dell’art director si misura sulla capacità di guidare il lavoro del fotografo. Nello stesso periodo cominciano però anche a uscire una serie di libri che si schierano contro la logica della produzione e del consumo (La folla solitària di D. Riesman del 1956 o I persuasori occulti di V. Packard del 1958). Con la crisi economica degli anni Settanta poi le grandi agenzie si spaccano, sorgono le prime strutture indipendenti che offrono ricerche e servizi, mentre negli anni Ottanta con la caduta del monopolio Rai e l’apertura delle reti private, l’investimento pubblicitario si sposta decisamente a favore della televisione.

Analisi dell’immagine p su stampa

Lo scopo di ogni immagine p è quello di creare attenzione. Essa è ricercata attraverso la combinazione di diversi fattori come: la scelta del tipo di illustrazione, l’uso del colore, la scelta della forma, l’armonia dell’illustrazione con la scritta. Nella maggioranza dei casi i prodotti vengono illustrati con immagini realistiche mentre le immagini astratte – se pur utilizzate quando si ricercano effetti di sorpresa o novità – sono meno impiegate perché non mettono in atto quel processo di proiezione, necessario perché scaturisca il desiderio di acquisto. Il colore è uno degli elementi piú importanti per richiamare attenzione; a parità di condizioni è favorito un annuncio a piú colori rispetto a uno in bianco e nero o a un solo colore. In generale sono preferite le composizioni di tipo geometrico alle forme naturali o fantastiche. Le illustrazioni servono anche a guidare l’occhio verso lo slogan o sull’eventuale testo; le immagini sono composte in modo tale da mantenere l’occhio all’interno dello spazio pubblicitario mentre sono evitate composizioni che conducono lo sguardo all’esterno dello spazio previsto. Un altro fattore importante nel determinare attenzione è l’elemento novità. Esso è ottenuto giocando su diversi fattori come: una disposizione particolare dell’illustrazione nella pagina, accentuando gli ornamenti, i colori o i contorni o trovando soluzioni originali nei chiaroscuri o nei dettagli, ecc.

Natura dell’illustrazione

Il pubblicitario dispone essenzialmente di tre tipi di illustrazioni: la fotografia, disegni pieni, disegni al tratto. Generalmente è la fotografia la piú utilizzata perché piú reale e naturale. La scelta del disegno o della fotografia è relativa ai seguenti fattori: 1) al tipo e qualità della stampa; è preferita una buona riproduzione al tratto a una cattiva riproduzione della mezza tinta. La buona qualità della stampa è una condizione che porta alla scelta della foto; 2) allo scopo dell’illustrazione. Se l’illustrazione ha lo scopo di convincere i fruitori o di attirare la loro attenzione si utilizza, generalmente, la fotografia; se essa ha lo scopo di far comprendere o di agire sulla memoria, il disegno, anche schematico, è il mezzo prescelto; 3) al soggetto dell’illustrazione. Figure umane, oggetti, animali, possono essere ripresi secondo accorgimenti che li rendono piú o meno fotogenici (anche in base alla bravura dell’operatore o del ritoccatore). Ma, se il soggetto dell’illustrazione presenta difficoltà di ripresa, è preferito il disegno a mezza tinta; 4) all’elaborazione dell’illustrazione. L’intervento della macchina fotografica non esclude quello dell’artista; verso il 1880 E. e J. Concourt avevano già scoperto come si coloravano le foto in camera oscura. Questa tecnica è usata anche da molti pubblicitari di oggi per ottenere immagini fedeli ma singolari e stupefacenti nel contempo.

L’impaginazione

L’impaginazione è lo scheletro di ogni pubblicità, attribuisce a ogni elemento del testo e a ogni illustrazione uno spazio proprio, a seconda del loro grado d’importanza. L’impaginazione è il mezzo attraverso il quale si rende armonico il rapporto tra l’immagine e il testo. L’impaginazione è soggetta ai seguenti fattori: 1) fattori riguardanti il testo; ogni testo assume un significato differente a seconda delle parole che vogliono essere evidenziate; 2) fattori inerenti all’illustrazione; la dimensione e lo spazio assegnato alle illustrazioni di un annuncio pubblicitario è relativo alle funzioni che esse svolgono;  3) fattori inerenti alla disponibilità di spazio;  4) fattori relativi alla necessità che l’annuncio abbia caratteri di novità, continuità, originalità.

Insieme alla scelta delle immagini è di gran rilievo anche la scelta dei caratteri tipografici. In un annuncio pubblicitario possono essere utilizzati due generi di caratteri: quelli tipografici e quelli disegnati. I primi sono dei caratteri studiati da specialisti che li vendono sotto forma di caratteri colati da una matrice. I secondi sono dei caratteri disegnati e riprodotti direttamente mediante fotolito. I primi sono standardizzati, i secondi possono dar luogo a qualsiasi variante. I caratteri, a loro volta, sono soggetti ai seguenti criteri di selezione: 1) la loro semplicità; devono essere sempre estremamente leggibili; 2) la dimensione (esiste una dimensione ottimale per ciascuna parte del testo); 3) la frequenza (esistono distanze ottimali tra carattere e carattere che facilitano e invogliano la lettura); 4) l’orientamento. È dato dall’inclinazione del testo rispetto alla linea orizzontale. Il grado di obliquità di una sequenza di caratteri è relativa al tipo di effetto che si vuole produrre su chi guarda.

Analisi delle immagini p su impianti di affissione cosí come le immagini p create per la stampa anche quelle create per gli impianti di affissione sono immagini statiche. Ma, mentre la pubblicità su stampa può essere guardata per il tempo che si desidera e ad una distanza ravvicinata, i cartelloni pubblicitari – posti lungo le strade delle città o lungo le grandi vie di collegamento – vengono necessariamente osservati durante uno spostamento e comunque da lontano; il destinatario, l’uomo della strada, potrà dedicare alla visione del messaggio solo il tempo che gli è consentito dalla velocità del suo mezzo di locomozione (piedi, macchina, ciclomotore, autobus, ecc.) o dal flusso di traffico; per vincere la competizione che la città – con la sua sterminata quantità di messaggi visivi – impone, il manifesto pubblicitario gioca soprattutto sulla forza dell’impatto visivo e sulla sinteticità del messaggio. Il testo viene inserito in un manifesto solo quando l’immagine non è sufficientemente esplicativa; in questo caso si utilizzano frasi brevi e di tipo imperativo. Le immagini coprono generalmente quasi tutto il campo visivo e sono stagliate su fondi neutri.