Il t è il prodotto di un’arte antichissima, sostanzialmente invariata nel corso
dei secoli, consistente nell’intrecciare ad angolo retto due sistemi di fili:
uno longitudinale, costituito dall’ordito e uno posto trasversalmente al primo,
costituito dalla trama. I fili di ordito, preliminarmente definiti nel numero
complessivo e nella lunghezza, vengono tesi, perfettamente
paralleli tra loro, da un’estremità all’altra del telaio, avvolti su rulli
cilindrici chiamati subbi e fatti passare attraverso determinati strumenti,
licci e maglioni, che ne azionano il movimento. Al sollevarsi di un determinato
numero di orditi si forma la cosiddetta bocca entro cui viene fatto passare
orizzontalmente il filo continuo della trama, contenuto nell’apposita navetta.
Il modo in cui orditi e trame si incrociano, secondo un ordine prestabilito
detto rapporto, costituisce l’armatura del tessuto. Sulla base del numero di
orditi e trame e dell’impiego di una o piú armature diverse nella costruzione
dell’intreccio, i t si distinguono in due categorie: lisci e operati.
Appartengono alla prima il taffetas, il raso, il diagonale, con le loro varianti,
tutte eseguibili su un telaio a licci; della seconda fanno invece parte damaschi,
sciamiti, lampassi, broccatelli, velluti, eseguibili su un telaio apposito detto
al tiro.
La materia piú usata nella realizzazione degli antichi tessili è la seta,
importata in Europa dall’Estremo e Vicino Oriente, connotata da un aspetto
compatto ma morbido e lucente e dal peso relativamente leggero che ne rendeva
agevole il trasporto. Oltre a questa, sono state impiegate la lana e le fibre
vegetali come canapa, lino e cotone. I coloranti usati per la tintura dei t
hanno, fino alla metà dell’Ottocento, origine organica: porpora, chermes,
cocciniglia per i rossi; piante ricche di tannino e limatura di ferro per i neri;
foglie del guado e dell’indaco per gli azzurri; reseda o braglia e zafferano per
i gialli. Contribuisce alla cromia e alla preziosità delle stoffe l’uso, nella
definizione del disegno, di trame supplementari in oro e argento, fatte correre
per tutta l’altezza del t (lanciate) o limitate a zone circoscritte (broccate).
Rispetto al loro impiego, i t possono generalmente suddividersi nelle tre
categorie dell’abbigliamento, dell’arredamento e dei paramenti sacri: disegni e
colori hanno, a seconda delle epoche, accomunato o differenziato tali
destinazioni d’uso.
Erede e centro diffusore delle antichissime e raffinate tecniche di tessitura
del Medio ed Estremo Oriente è Bisanzio, che, sotto Giustiniano I, diviene anche
produttore di seta. Qui, alla tradizione iconografica locale si sommano motivi
derivati dall’Oriente sasanide e dal mondo ellenistico e siriaco (lo
strangolatore di leoni, l’elefante, lo stambecco, i leoni affrontati presso
l’Albero della Vita, l’aquila araldica), riscontrabili negli esemplari rinvenuti
nei Tesori di molte cattedrali occidentali: Colonia, Salisburgo, Auxerre,
Bressanone.
La ricchezza di Bisanzio e la vastità e densità dei suoi commerci portano a un
consistente sviluppo della produzione tessile nelle zone del bacino mediterraneo.
Nella Spagna, le influenze bizantine si sommano alle ascendenze arabe, che
caratterizzano tutta la produzione tra gli inizi del Duecento e il sec. XVI. Il
disegno dei tessili riflette le soluzioni formali proprie della coeva
decorazione in stucco e ceramica, bidimensionale, costruita con moduli che si
ripetono fittamente all’infinito utilizzando forme geometriche,
variazioni stilizzate e astratte dell’arabesco, iscrizioni puramente ornamentali.
Tale tipologia decorativa, che ha il suo culmine nell’Alhambra di Granada, ha
dato il nome alla corrispondente produzione a telaio (seta d’Alhambra). I
maggiori centri produttori sono Burgos, Cordova, Siviglia e Toledo.
Queste stoffe, eseguite perlopiú con la tecnica dello sciamito, hanno larga
diffusione in Europa e in Italia, dove appaiono sovente riprodotte negli
affreschi e nelle tavole di Cimabue, Giotto, Duccio. A manifattura bizantina
dell’VIII-IX secolo è attribuito il bordo figurato del Piviale di san Moderanno
del Duomo di Berceto (Parma) e a maestranze ispano-moresche del X-XII secolo il
Drappo di san Ciriaco del Museo diocesano di Ancona.
Motivi islamici e bizantini si fondono anche nei t siciliani d’epoca normanna,
come nel corredo destinato alla cerimonia per l’incoronazione dell’imperatore
del Sacro Romano
Impero (Vienna, Schatzkammer), eseguito tra il 1133 e il 1181 presso l’opificio
annesso al palazzo regio della corte di Ruggero II a Palermo. Il disegno in oro,
perle e smalti su fondo in raso di seta, segue lo schema ad animali affrontati
davanti all’Albero della Vita, disposti in sequenze orizzontali che si
sovrappongono, riscontrabile nella stoffa, anch’essa siciliana, ritrovata nella
tomba di Enrico VI, morto nel 1197.
Nel sec. XIV, il disegno dei t evolve verso una costruzione piú libera e rivela
una nuova attenzione al dato naturalistico. L’origine del cambiamento è
attribuita dalla critica alla conquista, da parte dei Mongoli di Gengis Khan, di
buona parte dell’impero persiano, evento che si ripercuote in Occidente lungo i
già consolidati canali commerciali. Racemi e fiori prendono corpo, mentre
compare un nuovo repertorio animalistico tratto dalla simbologia cinese,
realizzato con grande sensibilità per il colore, spesso arricchito
dall’inserimento di trame broccate in oro e argento. I tesori di molte
cattedrali dell’Europa settentrionale, ma anche alcuni centri italiani,
conservano stoffe cinesi, o persiane improntate a modelli cinesi, come il
corredo funebre rinvenuto nel 1921 nella tomba di Cangrande della Scala a
Verona.
La diffusione di questi particolari motivi decorativi è documentata anche da un
gruppo di disegni eseguiti a Venezia alla fine del sec. XIV, conservati al
Louvre (Cabinet des Dessins) e da dipinti di celebri artisti quali Paolo
Veneziano (Incoronazione della Vergine: Venezia, Accademia), dei Lorenzetti, di
Simone Martini (San Ludovico di Tolosa: Napoli, Capodimonte).
Con la seconda metà del secolo si accentua la tendenza alla rappresentazione
narrativa, affidata alle straordinarie capacità di anonimi, colti disegnatori,
impegnati a qualificare e diversificare i t giocando sull’impaginato, gli
accostamenti iconografici, gli effetti di colore. Si distingue Lucca, il piú
antico centro tessile italiano, produttore anche di seta che commerciava
attraverso compagnie mercantili e filiali stabilì (Università), installate nelle
maggiori città d’Europa. Qui, sullo scorcio del Trecento si tessono stoffe
figurate con soggetti tratti dal Nuovo Testamento, destinate a ornare i
paramenti sacri.
Con la diaspora dei tessitori lucchesi in Italia ed Europa, questa particolare
produzione passa, dalla metà del Quattrocento, a Firenze. I modelli per i bordi
figurati sono da ricercarsi tra le opere dei maggiori pittori fiorentini del
momento, alcune delle quali godono di particolare fortuna, come l’Adorazione del
Bambino con nove angeli nella ng di Londra, attribuita da Longhi al Beato
Angelico o la Resurrezione di Cristo di Raffaellino del Garbo agli Uffizi di
Firenze (frammento raffigurante l’Adorazione del Bambino, manifattura fiorentina,
fine sec. XV; frammento raffigurante la Resurrezione di Cristo, manifattura
fiorentina, inizi sec. XVI: Milano, Civiche Raccolte d’Arte Applicata, inv. n.
2171 e n. 257). La trasposizione a t è mediata da un disegno dell’artista o
della sua bottega, talvolta ripreso e ripetuto piú volte anche in contesti
figurativi diversi e, nel periodo piú tardo, dall’arte della stampa e
dell’incisione: in quest’ultimo caso, il risultato è una produzione piú modesta
e piuttosto ripetitiva. Allo stesso felice clima rinascimentale di unità delle
arti e alla considerazione di cui
godevano le tecniche cosiddette minori, va ricondotta l’attività dei medesimi
artisti come disegnatori per ricami.
Nel Libro dell’Arte, Cennini dedica larga parte ai modi di «disegnare in tela o
in zendado, per servigio de’ ricamatori» e Vasari ricorda che Botticelli
eseguiva disegni per «stendardi
ed altre drapperie». Nelle commissioni piú prestigiose, il compito del pittore
non si esauriva nella consegna dei disegni, ma proseguiva con il controllo del
trasferimento di questi sul t da ricamare e sulla realizzazione, non sussistendo
di fatto separazione fra il momento intellettuale della progettazione e quello
esecutivo. Tra gli esemplari piú noti, realizzati in sete policrome ad
agopittura, con profusione di fili e cordoncini d’oro, sono il capino di piviale
con l’Incoronazione della Vergine, su disegno di Botticelli (Milano, mpp), il
Trasporto del corpo del Battista (Firenze, Museo dell’Opera del Duomo), parte
d’un prezioso parato su disegni del Pollaiuolo, destinato al Battistero di San
Giovanni in Firenze, il Paliotto di Sisto IV con le due figure centrali dello
stesso Pellaiuolo, il cosiddetto Parato del Vescovo Vanzi (Orvieto, Museo
dell’Opera del Duomo), i cui disegni per le parti figurate sono attribuiti, sia
pure non concordemente, a Bartolomeo di Giovanni e alla bottega di Botticelli;
le Storie di san Giovanni Gualberto sulla tonacella nel Museo degli Argenti a
Firenze, ricondotte al disegno di Bartolomeo di Giovanni.
Inversamente, la pittura propone una raffigurazione dei t spesso tanto
meticolosa da suggerirne gli effetti tattili. Il maestoso, fluente motivo della
melagrana che domina per tutto il Quattrocento, è usato, nelle due diverse
costruzioni della «griccia» e del «cammino», da Andrea del Castagno a Gentile,
dall’Angelico a Piero, da Benozzo Gozzoli al Ghirlandaio, da Antonello a
Crivelli, Butinone e Zenale.
Accuratissima è la resa di velluti e ricami nei quadri dei fiamminghi. Di grande
interesse in proposito sono anche i fogli con disegni di motivi tessili di
alcuni artisti: da Giovannino de’ Grassi nei fogli della biblioteca di Bergamo,
a Jacopo Bellini nell’album del Louvre, a Pisanello nel codice Vallardi ancora
al Louvre. Dello stesso Pisanello sono alcuni schemi di costumi nel Musée Bonnat
di Bayonne, con accenni alla decorazione delle diverse stoffe degli abiti. Nel
codice Zichy, presso il szm di Budapest, si conservano fogli con disegni,
probabilmente di tessili, attribuiti al veneto Angelo Cortino, dei primi del
sec. XVI.
Il primato spetta, dunque, in quest’epoca all’Italia, ma lo sfarzo di stoffe
riccamente intessute con oro caratterizza anche la produzione spagnola,
nonostante gli editti contro il lusso sfrenato delle vesti, emanati dai regnanti
cattolici Ferdinando e Isabella. Centri di maggiore diffusione sono Granada e
Siviglia.
Alla fine del secolo il motivo della melagrana assume un aspetto meno
naturalistico in favore di una resa piú minuta e stilizzata che vede il frutto
racchiuso entro uno schema compositivo a maghe ovali, soluzione che individua
pressocché tutta la produzione del Cinquecento. La decorazione della stoffa si
differenzia in base all’uso cui il t è destinato e, se per i rivestimenti si
prediligono effetti di grande rilievo con ovali spesso legati da corone,
nell’abbigliamento si elabora un tipo di decorazione a motivi minuti, in voga
fino al 1630 ca. Di particolare fortuna gode il disegno cosiddetto «a mazze»,
prodotto in innumerevoli varianti, grazie anche a innovazioni tecniche quali il
velluto impresso e il velluto ricamo, in cui primeggiano le manifatture genovesi.
Rari, invece, gli esempi ispirati alla tradizione pittorica classicheggiante
delle «grottesche», a causa del divario già instauratosi fra arti maggiori e
artigianato, da cui il disinteresse degli artisti e lo spazio dato alle stoffe
ricamate come le uniche assimilabili alla pittura. Anche questo secolo registra
la preminenza delle manifatture italiane che esportano in tutta Europa, mentre
in Spagna, a causa della cacciata dei Mori da parte di Filippo III,
l’artigianato, e quindi la tessitura della seta, subisce una decisa decadenza.
A partire dal 1630 il disegno dei tessili evolve in direzione naturalistica e la
sua impostazione si articola secondo direttrici sinuose, mentre i rapporti di
disegno tornano a ingrandirsi.
Nelle vecchie incorniciature a ovali compaiono mazzi di fiori realisticamente
descritti, realizzati con armature leggere e lucenti come il raso, il damasco,
il taffetas, rese piú preziose dall’impiego dell’oro. Il velluto è circoscritto
alle stoffe per l’arredamento e ai paramenti sacri, anch’essi soggetti ai
dettami della Controriforma. Con questi nuovi caratteri, l’ultimo quarto del
secolo sancisce la supremazia della Francia, grazie al radicale riassetto
economico e tecnologico messo in atto da Colbert, ministro delle finanze di
Luigi XIV, che all’interno del generale, ambizioso programma di creazione di un
grande Stato, rilancia la produzione di tessili di lusso attraverso le
Manifatture Reali, che tutela con leggi protezionistiche. Nella nuova
impostazione del rapporto fra artista e struttura esecutiva, il disegno non è
piú affidato al tessitore o al singolo pittore, ma ad artisti di corte che,
secondo il gusto del momento, creano una vera e propria grammatica
dell’ornamentazione valida per tutte le arti decorative, dai tessili, alle
porcellane, all’ebanisteria. Le grandi officine sono Lione e Tours. Lionese è il
tessuto «a pizzo» – ispirato alla predilezione per nastri e merletti della moda
Pompadour e ricondotto dalla critica a J. Charles Dutilleu, pittore francese
specializzato in fiori – che evolverà, alla metà del secolo, nel piú rigido e
stilizzato motivo «a meandri». Caratterizzano inoltre la prestigiosa produzione
d’inizio Settecento le stoffe «bizarre», dal disegno asimmetrico, in cui
elementi del tutto fantastici si fondono a motivi esotici di derivazione
orientale.
La nascita e la pronta diffusione di queste stoffe, anticipazione di quel gusto
per le «cineserie» che accompagna, e non solo in campo tessile, tutto il sec
.XVIII, è documentata da alcuni disegni di cui uno firmato dal francese Daniel
Marot e datato 1711, pubblicato in Olanda, e altri negli albums del disegnatore
di stoffe inglese James Leman, attivo tra il 1706 e il 1722; la fortuna degli
originali t presso l’alta società trova conferma anche nei dipinti dell’epoca,
tra cui il Ritratto del conte Giovan Battista Vailetti di Fra Galgario (Venezia,
Accademia). Precisa connotazione raggiunge a questa data la figura del
disegnatore di stoffe, sempre piú specializzato nella conoscenza sia delle
tecniche che dei diversi repertori decorativi, come attesta il trattato di
Joubert De L’Hiberderie Le Dessinateur pour les fabriques d’étoffes d’or,
d’argent et de soie, pubblicato a Parigi nel 1765 e, ancora prima, la creazione
a Lione nel 1756 della prima scuola in Europa per disegnatori tessili, diretta
dal pittore Donat Nonotte.
Secondo il regolamento, gli allievi devono intrattenersi con pittori di fama,
studiare nella biblioteca reale le raccolte grafiche, visitare i musei. Il
disegno a mano libera, corredato delle note sui colori e i filati, viene passato
a un tecnico che lo riproduce su carta millimetrata per consentire la
preparazione del telaio. Al genere del dessinateur fleuriste appartengono i
lionesi Ringuet, Courtois e Jean Revel, figlio d’un allievo di Le Brun e pittore
egli stesso, cui si deve la massima affermazione del genere naturalistico tra il
1730 e il 1740, grazie all’invenzione d’un accorgimento tecnico, il point rentrè,
che consente di ottenere a telaio gli effetti sfumati e il modellamento
chiaroscurale delle forme, propri della pittura. Nei nuovi stili gareggiano con
la Francia i centri italiani maggiori produttori di seta (Venezia, Torino) e la
manifattura inglese di Spitalfields, sobborgo di Londra (disegni «à la manière
de Revel» di Anna Maria Garthwaite si conservano nel suo album presso il vam di
Londra). La ricerca degli effetti naturalistici e plastici, in una sorta di gara
con le possibilità espressive
della pittura, anima l’attività di Philippe de Lasalle, pittore, poi celebre
disegnatore-produttore degli anni Settanta, specializzato nei t da parato che
esegue per le dimore reali francesi ma, anche, per la corte di Caterina di
Russia. Con l’impiego di innumerevoli trame policrome, lavorate apportando
perfezionamenti tecnici al telaio, illustrati nell’Encyclopedie, realizza in
grandi moduli nature morte, putti, animali e scenette, di notevole resa
pittorica.
L’avvento di Napoleone comporta un incremento degli ordinativi, determinato
dalle nuove esigenze rappresentative della monarchia. Tramontati già in età
neoclassica i grandi decori dalla vivace policromia, si afferma lo stile impero,
adottato dagli architetti Percier e Fontaine nell’arredamento delle residenze. I
t si appropriano dei motivi greco-romani, già diffusi a fine Settecento dai
repertori a stampa, che vengono applicati in modo massiccio e con intenti
chiaramente celebrativi, specie nelle arti decorative. I disegni da riprodurre
non sono piú strettamente studiati in funzione della realizzazione tecnica, ma
costituiscono un repertorio polivalente cui attingere per le diverse necessità
dell’ornamentazione.
Trofei di guerra, emblemi e iniziali dell’imperatore si ripetono sui pesanti t
d’arredamento mentre gli abiti, abbandonate le stoffe leggere come la battista e
la mussola e i colori chiari, tornano a prediligere il velluto e il raso in
tinte forti. Fra i progettisti che assumono un ruolo rilevante, sono
l’architetto Brongnart e J. Francois Bony, disegnatore formatosi nell’ambiente
delle manifatture lionesi.
La presentazione a Parigi nel 1801 del primo telaio meccanico, messo a punto da
J. Maria Jacquard, è il primo passo nel processo di industrializzazione
dell’arte tessile. Il nuovo
sistema di schede perforate, che consente la realizzazione perfetta e sempre
ripetibile dei decori, crea un’immediata frattura tra il momento dell’ideazione
e quello dell’esecuzione e pone il problema della serialità dei prodotti
rispetto all’originalità artigianale del passato. Una prima risposta a questo
problema è data dai revivals che caratterizzano l’epoca almeno fino alla Grande
Esposizione internazionale di Londra del 1851: si riprendono modelli decorativi
di varie epoche, nel tentativo di assicurare ai prodotti dell’industria quella
qualità estetica che di per sé non possiedono. Ma l’esposizione è anche
l’occasione per impostare un diverso rapporto fra industria ed eredità artistica
del passato, in cui lo studio dei modelli antichi costituisce solo il primo
passo per la formazione di nuovi progettisti. Su questa base nasce a Londra il
Museo dei Manufatti di South Kensington, oggi vam, e ha inizio il rinnovamento
dell’arte tessile, incentrata sul disegno bidimensionale, chiaro e preciso.
William, Morris, principale esponente del rinnovamento, riconosce la macchina
come strumento utile al lavoro umano, ma ne rifiuta il sopravvento, cerca una
nuova unità delle arti e una fusione fra ideazione ed esecuzione, attraverso la
consapevolezza del progettista delle diverse tecniche e la qualificazione
artistica dell’artigiano. Nella ditta Morris Marshall
Faulkner and Company, fondata nel 1861, larga parte hanno i tessili, soprattutto
cotoni stampati e stoffe in seta dal disegno ad andamento ondulante verticale,
mentre i t in lana e seta propongono uno schema a ovali a doppia punta con fiori
e uccelli, ispirato ai t italiani di fine Trecento e Quattrocento.
Il movimento Arts and Crafts di Morris, Crane, Holiday, Mackmurdo, Voysey,
Scott, Mackintosh e altri, porta avanti il tentativo di riqualificare sotto il
profilo della qualità e dell’estetica gli oggetti di uso comune, mortificati
dalla produzione industriale, e di rimediare allo scadimento dello status del
designer. Le linee programmatiche nate in Inghilterra vengono immediatamente
recepite in Europa da una nuova generazione di artisti che, tuttavia, rifiuta la
dipendenza da modelli storicizzati, in favore d’uno stile nuovo e razionale,
aderente ai tempi.
Con denominazioni diverse a seconda dei diversi paesi, Art Nouveau, Jugendstil,
Sezession, Modern Style, Liberty, prende corpo quel movimento che va sotto la
dizione generale di «modernismo», efficacemente teorizzato dal belga Henry van
de Velde. I t mostrano astratti giochi lineari, equilibri di forme, colori
naturalistici dalle tonalità fredde con accostamenti ricercati. Analoghe istanze
motivano il programma attuato nel laboratorio Wiener Werkstatte, fondato a
Vienna nel 1903 con la direzione artistica dell’architetto Josef Hoffmann e del
pittore Kolo Moser. In forma piú radicale, l’unità arte-tecnica e il concetto
dell’artista che in quanto tale si fa progettista di oggetti di produzione
industriale, è alla base della Bauhaus, fondata da Walter Gropius a Weimar nel
1919: nel laboratorio di tessili nascono opere da rivestimento e tappeti
annodati in cui i materiali, scelti fra quelli di piú largo consumo, e i colori
sottolineano la struttura del t.
Sulla linea indicata dalla Bauhaus si collocano sia le ricerche a Parigi di
Raoul Dufy, autore di lampassi editi da Bianchini-Férier, le prime composizioni
astratte su t stampati firmate
da Sonia Delaunay, che le realizzazioni in campo tessile delle avanguardie
sovietiche. Una ripresa piú recente di queste istanze, si registra negli anni
Sessanta dove si collocano
felicemente, a titolo di esempio, le stoffe bicolori a effetto «optical»,
destinate alla sartoria, di Getulio Alviani.
Una seconda chiave di lettura nella storia dei t del nostro secolo è, invece,
quella che trova ragione nella crisi delle tecniche artistiche tradizionali e
conduce a opere d’arte realizzate
con materiali originariamente destinati a usi diversi: dai collages dadaisti con
impiego di ritagli di stoffa, alle numerose, recenti sperimentazioni in ambito
europeo tra le quali, per citare esperienze italiane, l’uso della tela in quanto
tela dei Sacchi di Alberto Burri, le sculture con «stracci» di Michelangelo
Pistoletto, l’impiego di stoffe nelle ambientazioni di Giulio Paolini, i t
rigonfi, imbottiti, trapuntati e dipinti di Cesare Tacchi.