5/13/2020

Tessuto

Il t è il prodotto di un’arte antichissima, sostanzialmente invariata nel corso dei secoli, consistente nell’intrecciare ad angolo retto due sistemi di fili: uno longitudinale, costituito dall’ordito e uno posto trasversalmente al primo, costituito dalla trama. I fili di ordito, preliminarmente definiti nel numero complessivo e nella lunghezza, vengono tesi, perfettamente paralleli tra loro, da un’estremità all’altra del telaio, avvolti su rulli cilindrici chiamati subbi e fatti passare attraverso determinati strumenti, licci e maglioni, che ne azionano il movimento. Al sollevarsi di un determinato numero di orditi si forma la cosiddetta bocca entro cui viene fatto passare orizzontalmente il filo continuo della trama, contenuto nell’apposita navetta. Il modo in cui orditi e trame si incrociano, secondo un ordine prestabilito detto rapporto, costituisce l’armatura del tessuto. Sulla base del numero di orditi e trame e dell’impiego di una o piú armature diverse nella costruzione dell’intreccio, i t si distinguono in due categorie: lisci e operati.


Appartengono alla prima il taffetas, il raso, il diagonale, con le loro varianti, tutte eseguibili su un telaio a licci; della seconda fanno invece parte damaschi, sciamiti, lampassi, broccatelli, velluti, eseguibili su un telaio apposito detto al tiro.

La materia piú usata nella realizzazione degli antichi tessili è la seta, importata in Europa dall’Estremo e Vicino Oriente, connotata da un aspetto compatto ma morbido e lucente e dal peso relativamente leggero che ne rendeva agevole il trasporto. Oltre a questa, sono state impiegate la lana e le fibre vegetali come canapa, lino e cotone. I coloranti usati per la tintura dei t hanno, fino alla metà dell’Ottocento, origine organica: porpora, chermes, cocciniglia per i rossi; piante ricche di tannino e limatura di ferro per i neri; foglie del guado e dell’indaco per gli azzurri; reseda o braglia e zafferano per i gialli. Contribuisce alla cromia e alla preziosità delle stoffe l’uso, nella definizione del disegno, di trame supplementari in oro e argento, fatte correre per tutta l’altezza del t (lanciate) o limitate a zone circoscritte (broccate). Rispetto al loro impiego, i t possono generalmente suddividersi nelle tre categorie dell’abbigliamento, dell’arredamento e dei paramenti sacri: disegni e colori hanno, a seconda delle epoche, accomunato o differenziato tali destinazioni d’uso.

Erede e centro diffusore delle antichissime e raffinate tecniche di tessitura del Medio ed Estremo Oriente è Bisanzio, che, sotto Giustiniano I, diviene anche produttore di seta. Qui, alla tradizione iconografica locale si sommano motivi derivati dall’Oriente sasanide e dal mondo ellenistico e siriaco (lo strangolatore di leoni, l’elefante, lo stambecco, i leoni affrontati presso l’Albero della Vita, l’aquila araldica), riscontrabili negli esemplari rinvenuti nei Tesori di molte cattedrali occidentali: Colonia, Salisburgo, Auxerre, Bressanone.

La ricchezza di Bisanzio e la vastità e densità dei suoi commerci portano a un consistente sviluppo della produzione tessile nelle zone del bacino mediterraneo.

Nella Spagna, le influenze bizantine si sommano alle ascendenze arabe, che caratterizzano tutta la produzione tra gli inizi del Duecento e il sec. XVI. Il disegno dei tessili riflette le soluzioni formali proprie della coeva decorazione in stucco e ceramica, bidimensionale, costruita con moduli che si ripetono fittamente all’infinito utilizzando forme geometriche, variazioni stilizzate e astratte dell’arabesco, iscrizioni puramente ornamentali. Tale tipologia decorativa, che ha il suo culmine nell’Alhambra di Granada, ha dato il nome alla corrispondente produzione a telaio (seta d’Alhambra). I maggiori centri produttori sono Burgos, Cordova, Siviglia e Toledo.

Queste stoffe, eseguite perlopiú con la tecnica dello sciamito, hanno larga diffusione in Europa e in Italia, dove appaiono sovente riprodotte negli affreschi e nelle tavole di Cimabue, Giotto, Duccio. A manifattura bizantina dell’VIII-IX secolo è attribuito il bordo figurato del Piviale di san Moderanno del Duomo di Berceto (Parma) e a maestranze ispano-moresche del X-XII secolo il Drappo di san Ciriaco del Museo diocesano di Ancona.

Motivi islamici e bizantini si fondono anche nei t siciliani d’epoca normanna, come nel corredo destinato alla cerimonia per l’incoronazione dell’imperatore del Sacro Romano Impero (Vienna, Schatzkammer), eseguito tra il 1133 e il 1181 presso l’opificio annesso al palazzo regio della corte di Ruggero II a Palermo. Il disegno in oro, perle e smalti su fondo in raso di seta, segue lo schema ad animali affrontati davanti all’Albero della Vita, disposti in sequenze orizzontali che si sovrappongono, riscontrabile nella stoffa, anch’essa siciliana, ritrovata nella tomba di Enrico VI, morto nel 1197.

Nel sec. XIV, il disegno dei t evolve verso una costruzione piú libera e rivela una nuova attenzione al dato naturalistico. L’origine del cambiamento è attribuita dalla critica alla conquista, da parte dei Mongoli di Gengis Khan, di buona parte dell’impero persiano, evento che si ripercuote in Occidente lungo i già consolidati canali commerciali. Racemi e fiori prendono corpo, mentre compare un nuovo repertorio animalistico tratto dalla simbologia cinese, realizzato con grande sensibilità per il colore, spesso arricchito dall’inserimento di trame broccate in oro e argento. I tesori di molte cattedrali dell’Europa settentrionale, ma anche alcuni centri italiani, conservano stoffe cinesi, o persiane improntate a modelli cinesi, come il corredo funebre rinvenuto nel 1921 nella tomba di Cangrande della Scala a Verona.

La diffusione di questi particolari motivi decorativi è documentata anche da un gruppo di disegni eseguiti a Venezia alla fine del sec. XIV, conservati al Louvre (Cabinet des Dessins) e da dipinti di celebri artisti quali Paolo Veneziano (Incoronazione della Vergine: Venezia, Accademia), dei Lorenzetti, di Simone Martini (San Ludovico di Tolosa: Napoli, Capodimonte).

Con la seconda metà del secolo si accentua la tendenza alla rappresentazione narrativa, affidata alle straordinarie capacità di anonimi, colti disegnatori, impegnati a qualificare e diversificare i t giocando sull’impaginato, gli accostamenti iconografici, gli effetti di colore. Si distingue Lucca, il piú antico centro tessile italiano, produttore anche di seta che commerciava attraverso compagnie mercantili e filiali stabilì (Università), installate nelle maggiori città d’Europa. Qui, sullo scorcio del Trecento si tessono stoffe figurate con soggetti tratti dal Nuovo Testamento, destinate a ornare i paramenti sacri.

Con la diaspora dei tessitori lucchesi in Italia ed Europa, questa particolare produzione passa, dalla metà del Quattrocento, a Firenze. I modelli per i bordi figurati sono da ricercarsi tra le opere dei maggiori pittori fiorentini del momento, alcune delle quali godono di particolare fortuna, come l’Adorazione del Bambino con nove angeli nella ng di Londra, attribuita da Longhi al Beato Angelico o la Resurrezione di Cristo di Raffaellino del Garbo agli Uffizi di Firenze (frammento raffigurante l’Adorazione del Bambino, manifattura fiorentina, fine sec. XV; frammento raffigurante la Resurrezione di Cristo, manifattura fiorentina, inizi sec. XVI: Milano, Civiche Raccolte d’Arte Applicata, inv. n. 2171 e n. 257). La trasposizione a t è mediata da un disegno dell’artista o della sua bottega, talvolta ripreso e ripetuto piú volte anche in contesti figurativi diversi e, nel periodo piú tardo, dall’arte della stampa e dell’incisione: in quest’ultimo caso, il risultato è una produzione piú modesta e piuttosto ripetitiva. Allo stesso felice clima rinascimentale di unità delle arti e alla considerazione di cui godevano le tecniche cosiddette minori, va ricondotta l’attività dei medesimi artisti come disegnatori per ricami.

Nel Libro dell’Arte, Cennini dedica larga parte ai modi di «disegnare in tela o in zendado, per servigio de’ ricamatori» e Vasari ricorda che Botticelli eseguiva disegni per «stendardi ed altre drapperie». Nelle commissioni piú prestigiose, il compito del pittore non si esauriva nella consegna dei disegni, ma proseguiva con il controllo del trasferimento di questi sul t da ricamare e sulla realizzazione, non sussistendo di fatto separazione fra il momento intellettuale della progettazione e quello esecutivo. Tra gli esemplari piú noti, realizzati in sete policrome ad agopittura, con profusione di fili e cordoncini d’oro, sono il capino di piviale con l’Incoronazione della Vergine, su disegno di Botticelli (Milano, mpp), il Trasporto del corpo del Battista (Firenze, Museo dell’Opera del Duomo), parte d’un prezioso parato su disegni del Pollaiuolo, destinato al Battistero di San Giovanni in Firenze, il Paliotto di Sisto IV con le due figure centrali dello stesso Pellaiuolo, il cosiddetto Parato del Vescovo Vanzi (Orvieto, Museo dell’Opera del Duomo), i cui disegni per le parti figurate sono attribuiti, sia pure non concordemente, a Bartolomeo di Giovanni e alla bottega di Botticelli; le Storie di san Giovanni Gualberto sulla tonacella nel Museo degli Argenti a Firenze, ricondotte al disegno di Bartolomeo di Giovanni.

Inversamente, la pittura propone una raffigurazione dei t spesso tanto meticolosa da suggerirne gli effetti tattili. Il maestoso, fluente motivo della melagrana che domina per tutto il Quattrocento, è usato, nelle due diverse costruzioni della «griccia» e del «cammino», da Andrea del Castagno a Gentile, dall’Angelico a Piero, da Benozzo Gozzoli al Ghirlandaio, da Antonello a Crivelli, Butinone e Zenale.

Accuratissima è la resa di velluti e ricami nei quadri dei fiamminghi. Di grande interesse in proposito sono anche i fogli con disegni di motivi tessili di alcuni artisti: da Giovannino de’ Grassi nei fogli della biblioteca di Bergamo, a Jacopo Bellini nell’album del Louvre, a Pisanello nel codice Vallardi ancora al Louvre. Dello stesso Pisanello sono alcuni schemi di costumi nel Musée Bonnat di Bayonne, con accenni alla decorazione delle diverse stoffe degli abiti. Nel codice Zichy, presso il szm di Budapest, si conservano fogli con disegni, probabilmente di tessili, attribuiti al veneto Angelo Cortino, dei primi del sec. XVI.

Il primato spetta, dunque, in quest’epoca all’Italia, ma lo sfarzo di stoffe riccamente intessute con oro caratterizza anche la produzione spagnola, nonostante gli editti contro il lusso sfrenato delle vesti, emanati dai regnanti cattolici Ferdinando e Isabella. Centri di maggiore diffusione sono Granada e Siviglia.

Alla fine del secolo il motivo della melagrana assume un aspetto meno naturalistico in favore di una resa piú minuta e stilizzata che vede il frutto racchiuso entro uno schema compositivo a maghe ovali, soluzione che individua pressocché tutta la produzione del Cinquecento. La decorazione della stoffa si differenzia in base all’uso cui il t è destinato e, se per i rivestimenti si prediligono effetti di grande rilievo con ovali spesso legati da corone, nell’abbigliamento si elabora un tipo di decorazione a motivi minuti, in voga fino al 1630 ca. Di particolare fortuna gode il disegno cosiddetto «a mazze», prodotto in innumerevoli varianti, grazie anche a innovazioni tecniche quali il velluto impresso e il velluto ricamo, in cui primeggiano le manifatture genovesi. Rari, invece, gli esempi ispirati alla tradizione pittorica classicheggiante delle «grottesche», a causa del divario già instauratosi fra arti maggiori e artigianato, da cui il disinteresse degli artisti e lo spazio dato alle stoffe ricamate come le uniche assimilabili alla pittura. Anche questo secolo registra la preminenza delle manifatture italiane che esportano in tutta Europa, mentre in Spagna, a causa della cacciata dei Mori da parte di Filippo III, l’artigianato, e quindi la tessitura della seta, subisce una decisa decadenza.

A partire dal 1630 il disegno dei tessili evolve in direzione naturalistica e la sua impostazione si articola secondo direttrici sinuose, mentre i rapporti di disegno tornano a ingrandirsi. Nelle vecchie incorniciature a ovali compaiono mazzi di fiori realisticamente descritti, realizzati con armature leggere e lucenti come il raso, il damasco, il taffetas, rese piú preziose dall’impiego dell’oro. Il velluto è circoscritto alle stoffe per l’arredamento e ai paramenti sacri, anch’essi soggetti ai dettami della Controriforma. Con questi nuovi caratteri, l’ultimo quarto del secolo sancisce la supremazia della Francia, grazie al radicale riassetto economico e tecnologico messo in atto da Colbert, ministro delle finanze di Luigi XIV, che all’interno del generale, ambizioso programma di creazione di un grande Stato, rilancia la produzione di tessili di lusso attraverso le Manifatture Reali, che tutela con leggi protezionistiche. Nella nuova impostazione del rapporto fra artista e struttura esecutiva, il disegno non è piú affidato al tessitore o al singolo pittore, ma ad artisti di corte che, secondo il gusto del momento, creano una vera e propria grammatica dell’ornamentazione valida per tutte le arti decorative, dai tessili, alle porcellane, all’ebanisteria. Le grandi officine sono Lione e Tours. Lionese è il tessuto «a pizzo» – ispirato alla predilezione per nastri e merletti della moda Pompadour e ricondotto dalla critica a J. Charles Dutilleu, pittore francese specializzato in fiori – che evolverà, alla metà del secolo, nel piú rigido e stilizzato motivo «a meandri». Caratterizzano inoltre la prestigiosa produzione d’inizio Settecento le stoffe «bizarre», dal disegno asimmetrico, in cui elementi del tutto fantastici si fondono a motivi esotici di derivazione orientale.

La nascita e la pronta diffusione di queste stoffe, anticipazione di quel gusto per le «cineserie» che accompagna, e non solo in campo tessile, tutto il sec .XVIII, è documentata da alcuni disegni di cui uno firmato dal francese Daniel Marot e datato 1711, pubblicato in Olanda, e altri negli albums del disegnatore di stoffe inglese James Leman, attivo tra il 1706 e il 1722; la fortuna degli originali t presso l’alta società trova conferma anche nei dipinti dell’epoca, tra cui il Ritratto del conte Giovan Battista Vailetti di Fra Galgario (Venezia, Accademia). Precisa connotazione raggiunge a questa data la figura del disegnatore di stoffe, sempre piú specializzato nella conoscenza sia delle tecniche che dei diversi repertori decorativi, come attesta il trattato di Joubert De L’Hiberderie Le Dessinateur pour les fabriques d’étoffes d’or, d’argent et de soie, pubblicato a Parigi nel 1765 e, ancora prima, la creazione a Lione nel 1756 della prima scuola in Europa per disegnatori tessili, diretta dal pittore Donat Nonotte.

Secondo il regolamento, gli allievi devono intrattenersi con pittori di fama, studiare nella biblioteca reale le raccolte grafiche, visitare i musei. Il disegno a mano libera, corredato delle note sui colori e i filati, viene passato a un tecnico che lo riproduce su carta millimetrata per consentire la preparazione del telaio. Al genere del dessinateur fleuriste appartengono i lionesi Ringuet, Courtois e Jean Revel, figlio d’un allievo di Le Brun e pittore egli stesso, cui si deve la massima affermazione del genere naturalistico tra il 1730 e il 1740, grazie all’invenzione d’un accorgimento tecnico, il point rentrè, che consente di ottenere a telaio gli effetti sfumati e il modellamento chiaroscurale delle forme, propri della pittura. Nei nuovi stili gareggiano con la Francia i centri italiani maggiori produttori di seta (Venezia, Torino) e la manifattura inglese di Spitalfields, sobborgo di Londra (disegni «à la manière de Revel» di Anna Maria Garthwaite si conservano nel suo album presso il vam di Londra). La ricerca degli effetti naturalistici e plastici, in una sorta di gara con le possibilità espressive della pittura, anima l’attività di Philippe de Lasalle, pittore, poi celebre disegnatore-produttore degli anni Settanta, specializzato nei t da parato che esegue per le dimore reali francesi ma, anche, per la corte di Caterina di Russia. Con l’impiego di innumerevoli trame policrome, lavorate apportando perfezionamenti tecnici al telaio, illustrati nell’Encyclopedie, realizza in grandi moduli nature morte, putti, animali e scenette, di notevole resa pittorica.

L’avvento di Napoleone comporta un incremento degli ordinativi, determinato dalle nuove esigenze rappresentative della monarchia. Tramontati già in età neoclassica i grandi decori dalla vivace policromia, si afferma lo stile impero, adottato dagli architetti Percier e Fontaine nell’arredamento delle residenze. I t si appropriano dei motivi greco-romani, già diffusi a fine Settecento dai repertori a stampa, che vengono applicati in modo massiccio e con intenti chiaramente celebrativi, specie nelle arti decorative. I disegni da riprodurre non sono piú strettamente studiati in funzione della realizzazione tecnica, ma costituiscono un repertorio polivalente cui attingere per le diverse necessità dell’ornamentazione.

Trofei di guerra, emblemi e iniziali dell’imperatore si ripetono sui pesanti t d’arredamento mentre gli abiti, abbandonate le stoffe leggere come la battista e la mussola e i colori chiari, tornano a prediligere il velluto e il raso in tinte forti. Fra i progettisti che assumono un ruolo rilevante, sono l’architetto Brongnart e J. Francois Bony, disegnatore formatosi nell’ambiente delle manifatture lionesi.

La presentazione a Parigi nel 1801 del primo telaio meccanico, messo a punto da J. Maria Jacquard, è il primo passo nel processo di industrializzazione dell’arte tessile. Il nuovo sistema di schede perforate, che consente la realizzazione perfetta e sempre ripetibile dei decori, crea un’immediata frattura tra il momento dell’ideazione e quello dell’esecuzione e pone il problema della serialità dei prodotti rispetto all’originalità artigianale del passato. Una prima risposta a questo problema è data dai revivals che caratterizzano l’epoca almeno fino alla Grande Esposizione internazionale di Londra del 1851: si riprendono modelli decorativi di varie epoche, nel tentativo di assicurare ai prodotti dell’industria quella qualità estetica che di per sé non possiedono. Ma l’esposizione è anche l’occasione per impostare un diverso rapporto fra industria ed eredità artistica del passato, in cui lo studio dei modelli antichi costituisce solo il primo passo per la formazione di nuovi progettisti. Su questa base nasce a Londra il Museo dei Manufatti di South Kensington, oggi vam, e ha inizio il rinnovamento dell’arte tessile, incentrata sul disegno bidimensionale, chiaro e preciso.

William, Morris, principale esponente del rinnovamento, riconosce la macchina come strumento utile al lavoro umano, ma ne rifiuta il sopravvento, cerca una nuova unità delle arti e una fusione fra ideazione ed esecuzione, attraverso la consapevolezza del progettista delle diverse tecniche e la qualificazione artistica dell’artigiano. Nella ditta Morris Marshall Faulkner and Company, fondata nel 1861, larga parte hanno i tessili, soprattutto cotoni stampati e stoffe in seta dal disegno ad andamento ondulante verticale, mentre i t in lana e seta propongono uno schema a ovali a doppia punta con fiori e uccelli, ispirato ai t italiani di fine Trecento e Quattrocento.

Il movimento Arts and Crafts di Morris, Crane, Holiday, Mackmurdo, Voysey, Scott, Mackintosh e altri, porta avanti il tentativo di riqualificare sotto il profilo della qualità e dell’estetica gli oggetti di uso comune, mortificati dalla produzione industriale, e di rimediare allo scadimento dello status del designer. Le linee programmatiche nate in Inghilterra vengono immediatamente recepite in Europa da una nuova generazione di artisti che, tuttavia, rifiuta la dipendenza da modelli storicizzati, in favore d’uno stile nuovo e razionale, aderente ai tempi.

Con denominazioni diverse a seconda dei diversi paesi, Art Nouveau, Jugendstil, Sezession, Modern Style, Liberty, prende corpo quel movimento che va sotto la dizione generale di «modernismo», efficacemente teorizzato dal belga Henry van de Velde. I t mostrano astratti giochi lineari, equilibri di forme, colori naturalistici dalle tonalità fredde con accostamenti ricercati. Analoghe istanze motivano il programma attuato nel laboratorio Wiener Werkstatte, fondato a Vienna nel 1903 con la direzione artistica dell’architetto Josef Hoffmann e del pittore Kolo Moser. In forma piú radicale, l’unità arte-tecnica e il concetto dell’artista che in quanto tale si fa progettista di oggetti di produzione industriale, è alla base della Bauhaus, fondata da Walter Gropius a Weimar nel 1919: nel laboratorio di tessili nascono opere da rivestimento e tappeti annodati in cui i materiali, scelti fra quelli di piú largo consumo, e i colori sottolineano la struttura del t.

Sulla linea indicata dalla Bauhaus si collocano sia le ricerche a Parigi di Raoul Dufy, autore di lampassi editi da Bianchini-Férier, le prime composizioni astratte su t stampati firmate da Sonia Delaunay, che le realizzazioni in campo tessile delle avanguardie sovietiche. Una ripresa piú recente di queste istanze, si registra negli anni Sessanta dove si collocano felicemente, a titolo di esempio, le stoffe bicolori a effetto «optical», destinate alla sartoria, di Getulio Alviani.

Una seconda chiave di lettura nella storia dei t del nostro secolo è, invece, quella che trova ragione nella crisi delle tecniche artistiche tradizionali e conduce a opere d’arte realizzate con materiali originariamente destinati a usi diversi: dai collages dadaisti con impiego di ritagli di stoffa, alle numerose, recenti sperimentazioni in ambito europeo tra le quali, per citare esperienze italiane, l’uso della tela in quanto tela dei Sacchi di Alberto Burri, le sculture con «stracci» di Michelangelo Pistoletto, l’impiego di stoffe nelle ambientazioni di Giulio Paolini, i t rigonfi, imbottiti, trapuntati e dipinti di Cesare Tacchi.