Filippo Brunelleschi nacque nel 1377 a Firenze, dove svolse la sua attività e
dove morì nel 1446. Non si hanno molte notizie della sua formazione, che fu
tuttavia indirizzata, almeno inizialmente, all'arte orafa. Lo attestano alcuni
documenti, tra cui l'immatricolazione all'Arte della Seta, ma in maniera più
esplicita la sua prima opera di un certo rilievo: la formella bronzea con il
Sacrificio di Isacco (Firenze, Museo nazionale del Bargello) con la quale
partecipò all'importante concorso bandito per la seconda porta del Battistero
nel 1401 e vinto da Lorenzo Ghiberti.
Ben presto però i suoi interessi matematici e lo studio dei monumenti antichi,
effettuato grazie ai ripetuti viaggi romani in compagnia di Donatello a partire
almeno dal 1402, lo spinsero ad occuparsi di architettura: ad essa, se si
eccettuano alcune brevi parentesi scultoree tra cui il Crocefisso ligneo della
cappella Gondi in Santa Maria Novella (1420 circa), avrebbe dedicato il resto
della propria attività. Nel 1418 prese parte al pubblico concorso per la
costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore: sotto la sua supervisione, i
lavori cominciarono due anni dopo e, grazie al particolare sistema messo a punto
nell'ingegnoso modello che gli consentì di innalzare la struttura senza ponteggi,
si conclusero nel 1434 (nel 1436 fu messa in opera la lanterna ed entro il 1438
furono realizzate le cappelle laterali). Contemporaneamente lavorava ai progetti
di altri importanti cantieri fiorentini: il portico dell'Ospedale degli
Innocenti (1421-1424), il complesso di San Lorenzo, con i lavori per l'interno
della chiesa (1423 circa) e per la Sacrestia vecchia (1428), la cappella dei
Pazzi in Santa Croce (1430 circa) e, più tardi, la chiesa di Santo Spirito,
ideata intorno al 1436 ma realizzata solo a partire dal 1444.
Tratto comune di edifici così diversi tra loro, per funzioni, dimensioni e
tipologia, è la costante ricerca dell'armonia, ottenuta attraverso l'uso
continuo di uno schema costruttivo modulare – il quadrato per l'intera pianta di
San Lorenzo o per il portico degli Innocenti – e geometrico – ad esempio, il
cubo sormontato da una calotta emisferica della Sacrestia vecchia – che
definiscono a priori lo spazio e lo trasformano in rigore lineare e prospettico,
evidenziato dall'impiego di membrature in pietra serena grigia poste a sapiente
contrasto sull'intonaco chiaro.
In ciò sta la concreta applicazione di quanto era andato elaborando in sede
sperimentale, un metodo di misurazione razionale dello spazio. I risultati di
una tale ricerca brunelleschiana, che aveva come punto di partenza anche i
trattati di ottica medievale, si erano concretizzati intorno al 1410 in due
tavolette, ora perdute ma note da descrizioni, raffiguranti una il Battistero
visto dalla porta centrale di Santa Maria del Fiore e l'altra piazza della
Signoria e Palazzo Vecchio, e nella conseguente elaborazione di un sistema
basato sul concorrere di rette in un punto di fuga fissato dall'artista,
attraverso il quale era possibile stabilire le diminuzioni di dimensione di un
oggetto in modo proporzionale rispetto alla distanza dallo spettatore. Si
trattava di un sistema semplice da tradurre graficamente, e questo dovette
essere alla base della sua fortuna presso le botteghe degli artisti fiorentini
(e non solo), come sta a dimostrare innanzitutto la Trinità, realizzata da
Masaccio in Santa Maria Novella (1426-1428).
Occorre dire però che se l'invenzione della prospettiva lineare si deve a
Brunelleschi, fu Leon Battista Alberti a teorizzarla. Nel suo trattato Della
Pittura (1436), Alberti scrive che un quadro è l'intersezione piana della
piramide visiva formata dai raggi rettilinei che dall'occhio dell'osservatore
giungono all'oggetto. Il punto di fuga è il punto collocato lungo la linea
dell'orizzonte verso il quale convergono le rette giacenti sul piano, mentre le
linee parallele ad esso diminuiscono progressivamente (e in maniera
proporzionale) in altezza man mano che ci si avvicina al punto di fuga e ci si
allontana dall'osservatore. La scoperta e la teorizzazione delle regole della
prospettiva consentirono così di proiettare su una superficie bidimensionale (dotata
cioè delle due sole dimensioni dell'altezza e della larghezza) un'immagine che
nella realtà è tridimensionale.