5/13/2020

Gallerie d’arte contemporanea

Con l’inizio degli anni ’60, con la Pop Art e con l’Arte povera, si va modificando il concetto di «oggetto» artistico.

L’accezione tradizionale di opera d’arte lascia il posto a diversi modi, non piú univoci, di considerare il fare artistico. Con la Pop Art si arriva alla sacralizzazione dell’oggetto e, inversamente, l’interesse si dirige, in altri casi, non piú verso il prodotto dell’arte ma verso il «fare» artistico in senso concettuale e fisico. In questa trasformazione il ruolo delle gallerie muta e diviene quasi contraddittorio, a tratti essenziale, a tratti pressoché inesistente, giungendo comunque all’abbandono, per quasi vent’anni, di una connotazione di contenitore passivo. In precedenza, per tutti gli anni ’50, la galleria era stata il luogo-contenitore dove venivano esposte le opere d’arte, gli «oggetti artistici». Tali opere non intendevano modificare lo spazio espositivo, né farlo divenire in alcun modo attivo. Con l’Informale alcune gallerie acquistano un ruolo propulsore e promozionale.

L’esempio piú significativo è la Gall. René-Drouin di Parigi, che segue da vicino tutti gli sviluppi del movimento informale francese organizzando nel 1945 la collettiva L’Art brut, divenendo punto d’incontro degli artisti che qui fonderanno nel 1949 la Compagnia dell’Art brut. In seguito, con la Pop’Art si ha la presa di coscienza del fatto che il mondo dell’immagine non è piú esclusivo monopolio dell’arte, ma terreno privilegiato dei mass media.

A Londra nel 1953 l’ica (Institute of Contemporary Art) organizza la mostra Parallel of Life and Art, che può definirsi il manifesto programmatico della Pop Art inglese.
Proprio lo stesso ica vede la formazione dell’Independent Group ed è per tutta la prima metà degli anni ’50 il centro propulsore del movimento. L’ica resta però ancora il luogo dove vengono esposti «brandelli di vita». Il suo ruolo attivo si limita solo alla promozione, ma il suo rapporto con le opere non può essere piú neutrale, in quanto l’intenzione è già quella di creare una contaminazione tra l’oggetto artistico e l’oggetto banale quotidiano, tra lo spazio esterno della vita e quello «simulato» dell’arte.
Conseguenza diretta di questo procedimento è la tendenza a creare «ambienti», cioè delle ricostruzioni del tutto artificiali della realtà esterna.

La Whitchapel Gall. di Londra ospita nel 1956 la mostra This is Tomorrow, in cui viene offerto ad ogni artista o gruppo partecipante una parte della galleria per farne una ambientazione. La galleria diviene il luogo fisico dell’altra realtà, fotocopiata su quella della vita. Viene potenziato l’aspetto di luogo-contenitore della galleria, ora però attivata dall’opera e con l’opera. Già dalla fine degli anni ’50 la New Vision Gall. di Londra ospita numerose mostre di Pop ambientale (Place, 1959, con artisti come Rumney, Smith e Danny). Nel 1960 organizza una collettiva in cui gli artisti non portano piú solo le loro opere ma anche del materiale fotografico e documentario per far conoscere l’ambiente in
cui hanno operato. Questa funzione documentaria della galleria sarà poi ampliata dalla Land Art e dall’Arte concettuale fino ad arrivare ad una vera e propria crisi dell’attività delle gallerie.

Negli Usa alcune grandi gallerie newyorkesi hanno fatto la storia della Pop Art americana. La Reuben Gall. di New York, che si specializza in opere d’arte deperibili e transitorie, per prima ospitò environments e happenings; la Green Gall. e la Leo Castelli realizzarono i primi investimenti nel settore acquistando opere Pop ancora prima che vengano riconosciute dalla critica dei circuiti maggiori; la Martha Jackson Gall. ospitò due importanti esposizioni nel 1960 e nel ’61, intitolate New Forms, New Media e Environments, Situations, Spaces (con opere di Oldenburg, Kaprow e Dine). Già in questa seconda mostra l’asse del discorso artistico è spostato verso il riuso dello spazio della galleria tramite l’ambientazione e l’avvenimento.

All’inizio degli anni ’60 la Sidney Jannis Gall. ospita due manifestazioni che sanciscono la consacrazione ufficiale dalla Pop Art a New York, New Realists (1962) e Four Environments by New Realists (1964). Nella mostra alla Leo Castelli Gall. di New York del 1965 intitolata F III Rosenquist realizza quello che è stato definito il piú grande quadro pop esistente: un enorme pannello che mostra la visione in corsa di un bombardiere formata dalla successione vista durante il volo. L’opera annulla completamente lo spazio della galleria, sia in senso fisico, per la grandezza dell’opera, sia in senso temporale, perché costringe lo spettatore a subire la visione di una «durata» congelata. La Reuben Gall. ospita per prima esempi di environments di Allan Kaprow fin dai primi anni ’60.

Nel 1959 Kaprow realizza qui il suo primo happening, 18 Happenings in 6 Parts, durante il quale lo spazio della galleria, debitamente allestito, viene gestito secondo rigide indicazioni dell’artista, dal pubblico scelto e invitato preventivamente.

Lo happening, che ha il suo maggiore sviluppo nella seconda metà degli anni ’60, porta due conseguenze diametralmente opposte per lo spazio espositivo. In alcuni casi la galleria diviene il «teatro» degli happenings, il luogo fisico dove vengono create le installazioni e in cui si vive l’azione, l’attimo dell’accadimento. In altri casi, molto frequenti negli Usa, ma non rari anche in Italia e Francia, lo happening si comincia a svolgere in qualsiasi luogo adatto ad ospitare questo genere di avvenimenti.

Lo spazio della galleria non è piú il luogo deputato agli «accadimenti artistici». Nel 1960, a New York, Kaprow e Oldenburg realizzano Coca Cola Cannobal? nella palestra sotterranea della Judson Memorial Church. Nel 1961 ancora Kaprow, nella Reuben Gall., costruisce uno strettissimo corridoio di legno che conduce in una sorta di palcoscenico con proiezioni, e intitola questo happening A Spring Happening. Sempre nello stesso anno la Reuben Gall. ospita The Car Crash di Dine e The American Moon di Withman. Già nel 1962 la Smolin Gall. promuove uno happening di Kaprow, The Courtyard, che viene però realizzato in un corridoio del Greenwich Hotel.

Il ruolo della galleria si va trasformando non tanto nella sua funzione promozionale, quanto nella sua accezione di spazio, che viene a perdere l’esclusiva come luogo dell’arte. Oltre a ciò lo happening è solo un avvenimento temporaneo e le strutture stesse delle ambientazioni sono del tutto effimere, costruite solo per l’azione. Il gallerista non possiede piú l’oggetto di commercio e scompare cosí l’interesse economico verso l’opera prodotta. La Reuben Gall. ancora per diversi anni ospita happenings in competizione con gli altri spazi urbani che si presentano agli artisti nella loro ricerca di azione nella vita. Cosí nel 1961 Withman vi realizza Mouth (un allestimento che trasforma lo spazio della galleria in un’enorme bacca entro cui vengono realizzati degli interventi una presenza di un pubblico scelto). D’altra parte lo stesso Withman, nel 1963, realizza Flowers e Water, rispettivamente in un magazzino in Greet Jones Street e a Westwood. Oldenburg, dal canto suo, usa un garage della 2nd Street da lui ribattezzato Ray Gun Manufacturing
Company, in cui realizza dal 1962 in poi i vari Days I, II, Nekropolis I, II e Voyages I, II, ecc.

Nel 1961 apre The Store, un negozio pieno di finte golosità di gesso. La Green Gall. espone, intorno alla fine del 1962, i suoi cibi in stoffa e plastica imbattiti nella mostra Gayety che è replicata a Chicago all’università con la sponsorizzazione della Feigen Gall., che in quell’occasione proietta nelle sue sale il filmato della mostra. La Judson Gall. in quegli
stessi anni presenta events ed esposizioni di Oldenburg, Dine e del Living Theatre.

In Europa, e in particolare in Francia e in Italia, il panorama espositivo delle gallerie private ha uno sviluppo piuttosto cospicuo proprio negli anni ’60 sull’onda del miracolo
economico e della protesta politica. Nei primi anni ’60 Parigi è in massima parte legata all’attività dei Nouveaux Réalistes, che lavorano per lo piú alla Gall. Rive-Droite (è da ricordare la collettiva del 1960 a cui parteciparono artisti francesi e americani) e una Gall. Iris-Clert che già nel 1958 aveva ospitato una personale di Yves Klein intitolata Vide in cui l’artista aveva lasciato completamente vuota la galleria e dipinto di azzurro solo i punti di contatto con l’esterno, gli stipiti di porte e finestre.
Nel 1960 Arman e Nicoise realizzano Plein, riempiendo di rifiuti la stessa galleria. Lo spazio espositivo non contiene piú l’opera d’arte, ma è opera in sé, non è piú spazio passivo, ma spazio agito. È il primo passo verso l’uscita dall’anonimato della sala d’esposizione che di lí a poco diventa lo spazio aperto e modificato degli «ambienti».

In Italia la situazione espositiva dai primi anni ’60 vede in Torino, Milano e Roma i centri di maggiore attività e di piú stimolante interesse per le nuove forme del fare artistico.
Nel 1959 a Milano, Castellani e Manzoni fondano la rivista «Azimuth» con l’omonima galleria che esordisce con la prima collettiva, nel 1960, intitolata La nuova concezione artistica dove Manzoni espone i primi «corpi d’aria», gli «achrome» e le «linee». Nello stesso anno «Azimuth» ospita Consumazioni dell’arte dinamica, sempre di Manzoni, in cui l’artista lascia delle impronte su uova sode che devono essere consumate in galleria dal pubblico. Azimuth diviene un punto di riferimento per gli artisti concettuali e porta avanti la sua programmazione ospitando un’arte del tutto indifferente all’ambiente in cui viene presentata e fruibile solo in modo effimero e mentale. La Gall. La Tartaruga di Roma, fondata nel 1954, propone inizialmente artisti della scuola romana e, dopo aver seguito gli sviluppi dell’Informale (è da ricordare la collettiva del 1957 organizzata con la Iris-Clert di Parigi), ospita nel biennio ’61-62 nuovi artisti italiani come Manzoni, Castellani, Angeli e Rotella. Nel 1963 spostatasi nella nuova sede in piazza del Popolo, realizza collettive come 13 artisti a Roma e 9 artisti romani, in cui compaiono ancora i nuovi artisti della capitale tra cui spiccano i nomi di Kounellis e Giosetta Fioroni. La Gall.
Pater di Milano ospita nel 1960 Miriorama I (seguita da altre edizioni della stessa manifestazione), in cui le opere realizzate sono spazi agibili, non solo luoghi dello spazio tridimensionale, ma anche luoghi della durata.

Nell’ambito di questa nuova visione dell’opera prodotta, le gallerie italiane diventano elemento di stimolo e mantengono il loro naturale ruolo di spazio di esposizione attivato ora dallo stesso agire degli artisti. La Gall. Apollinaire di Milano, fondata nel 1954, segue inizialmente gli sviluppi dell’Informale francese e ospita nel ’57 i primi «monocromi» di Klein. Nel triennio ’60-63 stabilisce uno stretto rapporto con i Nouveaux Réalistes francesi ospitando nel 1960 una loro collettiva nel cui catalogo si legge una ormai netta opposizione alla pittura di cavalletto da sostituire con opere piú vicine al ready made dada e surrealista.
Tra il 1963 e il 1964 ospita le personali di Arman e Christo e s’interessa dei primi sviluppi dell’arte «abitabile». Nel 1968 il Prospectus 68 di Düsseldorf, in anticipo sulle altre gallerie, propone, insieme a Stein e Wite Wide, una sezione di arte «abitabile». Nello stesso anno sponsorizza le realizzazioni esterne di Christo a Spoleto, Kassel e Berna. La Gall. Apollinaire è stata un esempio di struttura in evoluzione che ha compreso con lungimiranza la necessità di spostare il proprio ruolo promozionale dall’oggetto artistico al fare artistico, anche fuori dalle sue stesse mura. A Roma, la Gall. La Salita, che inizia la sua attività nel 1957, dopo aver seguito l’Informale si avvicina all’Arte povera ed ambientale. Nei 1959 ospita le personali di Festa, Angeli e Schifano; un anno dopo, la collettiva Cinque pittori a Roma ’60 (in cui Lo Savio espone i suoi metani, Uncini i cementi, Schifano i monocromi e Festa le superfici rosse). Ancora nei primi anni ’60 La Salita diviene anche punto di contatto con i Nouveaux Réalistes francesi di cui ospita diverse personali (Klein,
Arman).

Dopo il miracolo economico della metà degli anni ’50, sull’onda del movimento informale, in Italia erano state aperte numerose gallerie. Già alla metà degli anni ’60 e poi, definitivamente, nei primi anni ’70, le stesse gallerie devono adattarsi una nuova e mutata realtà artistica che non produce piú oggetti in qualche modo commerciabili, ma realizza produzioni temporanee ed effimere. A fianco delle grandi gallerie, altri spazi espositivi dalla vita piú breve e meno intensa, vivono ugualmente da vicino questo passaggio dalla promozione in gran parte economica, al coinvolgimento mentale attuato dall’Arte povera e concettuale. La Gall. Selecta ospita nel 1960 la prima personale di Lo Savio; la Gall. Schwarz di Milano realizza diverse esposizioni di Nouveaux Réalistes; nel ’62 la Gall. La Promotrice di Torino ospita i primi specchi di Pistoletto.

Nel triennio 1966-69, in Italia, alcune collettive segnano nettamente il passaggio a questa nuova dimensione dello spazio espositivo. Nel ’66 a Torino la Gall. Sperone ospita la collettiva Arte abitabile (a cui partecipano Pistoletto, Gilardi, Zorio, Boetti e Piacentino), segnando cosí l’ingresso ufficiale in Italia dell’Environmental Art. Nel ’67 la Gall. La Bertesca di Genova presenta la mostra L’Arte povera (con opere di Boetti, Pascali, Prini, Kounellis e altri), a cui fa seguito un intenso dibattito sulla nuova realtà artistica italiana. Ancora nel 1968 la Gall. De’ Foscherari realizza un’altra esposizione sull’Arte povera curata da Germano Celant. A Roma, la Gall. La Tartaruga promuove una importante iniziativa di arte «abitabile» che vede diversi artisti (come la Fioroni, Prini, Calzolari e Angeli), musicisti (Bussotti) e scrittori (Parise), modificare e vivere diversi spazi messi a loro disposizione. L’iniziativa, intitolata Il teatro delle mostre, propone un riarso attivo dello spazio espositivo. La Tartaruga è in quest’occasione solo promotrice di un’iniziativa non piú limitata al solo spazio della galleria. In sostituzione dell’oggetto artistico commerciabile, si iniziano a realizzare cataloghi per lo piú documentari delle stesse esposizioni promosse dalle gallerie, creando nuove figure di galleristi-editori. Il tentativo di fondere manifestazioni musicali, letterarie, di danza e happening, come è stato per Il teatro delle mostre, sarà il manifesto programmatico di un’altra grande galleria romana, l’Attico. Nel 1967 l’Attico aveva ospitato Fuoco Immagine Acqua Terra, una collettiva (Kounellis, Gilardi, Pascali, Pistoletto e Schifano) in cui diversi artisti avevano esposto i loro materiali in perfetta simbiosi con lo spazio espositivo. Dopo aver acquistato una nuova sede (un garage), ospita la performance di Kounellis che conduce in galleria dei cavalli vivi (1969). Con gli anni ’70 l’Attico si fa promotore di iniziative fuori delle sue stesse mura (un esempio per tutti, le azioni di Mattiacci al Circo Massimo). Un’altra attività realizzata nelle sale della galleria romana sono le proiezioni di film d’artista a volte prodotti dall’Attica stesso (un esempio è SKMP2 di Patella). Una collettiva di particolare interesse ospitata da questa galleria è 24 ore su 24, durante la quale diversi artisti realizzano avvenimenti in ogni momento del giorno e della notte alla presenza di un pubblico casuale e non invitato.

Cosí come era accaduto in America, anche in Italia nascono manifestazioni artistiche all’esterno della galleria e completamente svincolate da ogni circuito espositivo. Da ricordare in proposito il gruppo ufo di Firenze che realizza diverse azioni in giro per la città gonfiando enormi palloni o trasportando grandi tubi di dentifricio. Altri esempi sono i monumenti «impacchettati» da Christo a Roma e in altre parti d’Italia e le azioni povere organizzate da Marcello Ruma ad Amalfi.

Negli Usa l’estrema ricerca da parte degli artisti di spazi alternativi sfocia, negli anni ’70, nella nascita della Land Art. La Land Art è l’espressione della profonda necessità dell’arte di dialogare con la realtà naturale, di avere un ruolo in qualche modo attivo nell’ambiente esterno. Lo spazio chiuso delle gallerie ha, come unica alternativa al «disuso», o divenire luogo della documentazione di quanto viene realizzato in spazi per lo piú inaccessibili al grande pubblico, o farsi promotore di riprese video e fotografiche di quelle stesse opere all’aperto. In questi anni, di conseguenza, molte gallerie divengono le sale di proiezione di film girati riprendendo opere di Land Art, o si trasformano in sale di esposizione di documentazioni fotografiche di installazioni realizzate all’aperto.

Gli Stati Uniti, per la loro naturale conformazione fisica, sono il maggiore teatro delle opere di Land Art e, conseguentemente, i maggiori produttori e diffusori di documentazione
video sull’argomento in Europa. Michael Heizer nel 1969 realizza Double Negative rimuovendo 240 tonnellate di terra nella Virgin River Mesa nel Nevada; nel 1970 Smithson installa un’enorme spirale di sassi nell’acqua del Great Salt Lake nello Utah. Gerry Shum, nel 1969, gira il piú grande film-documentario su opere di Land Art e su tutte le loro fasi di realizzazione, riprendendo il lavoro di artisti come Morris, Andre, Miss, Christo e altri.

Lo spazio della galleria si va sempre piú caratterizzando come luogo della documentazione durante tutti gli anni ’70. Un esempio emblematico è l’attività del gruppo inglese Art & Language (a cui appartengono artisti come Robert Barry e Lawrence Weiner), che, con un chiaro intento concettuale, realizzano alla Hayward Gall. esposizioni consistenti in una sola parola scritta su una parete della galleria. La Gall. Sperone di Torino è tra le prime ad ospitare mostre del gruppo inglese in Italia, puntando il proprio interesse verso le nuove esperienze della poesia visiva e dell’arte concettuale e promuovendo una propria attività editoriale. Nel 1971 pubblica Svolgere la propria pelle, un libro di Penone composto di sole immagini fotografiche senza alcuna nota scritta. Un anno dopo, sempre a Torino, la Gall. Stein ospita Mutazioni 5 carte Zoogeografiche, in cui vengono esposte le foto di cinque mucche con le macchie del manto riproducenti i cinque continenti. Nel 1973 La Salita di Roma realizza il libro di Kounellis La vista del sangue contenente cerini accesi. Nel 1971 Sperone ospita The Eight Investigations di J. Kosuth, con dodici pendoli e un libro di linguistica.

In tutta Europa la poesia visiva e l’arte concettuale invadono gli spazi espositivi privandoli di qualsiasi valenza di contenitore seppure «attivo». Alcune gallerie divengono editori di libri di artisti o accettano di trasformare le proprie pareti in una sorta di «grandi libri» su cui scrivere. Si apre cosí una nuova particolare fase commerciale che le vede promotrici e produttrici del «documento» d’artista, del libro, del film, della fotografia. A Napoli la Modern Art Agency ospita diverse proiezioni (un esempio è il Programma di films; fig. 1, fg. 2, fig. 3 di Marcel Broodthaers); a Roma l’Attico proietta film, tra cui Identifications di Schum (1971) e una videoregistrazione del Festival di musica e danza degli Usa (1973). Nel 1973, a Torino, Sperone promuove la stampa del libro di Anselmo Leggere.

Negli anni ’70 piccoli teatri indipendenti, fuori dai circuiti maggiori, acquistano grande importanza proprio come spazi alternativi alle gallerie private. Ospitano performances e pièces realizzate non con un intento narrativo-teatrale, ma piú vicine allo happening, all’accadimento. Diverse gallerie continuano la loro attività proprio in direzione di questa ricerca di contatto tra le diverse forme di azione artistica, mentre i teatri indipendenti mantengono un loro ruolo fondamentale.

Negli anni ’80 il ruolo della galleria privata non può piú definirsi univoco. Diverse tendenze convivono in uno stesso spazio espositivo, ribadendo a volte la connotazione di «spazio contenitore». L’aspetto commerciale ha avuto, dopo la crisi degli anni ’70, un nuovo potenziamento, legandosi cosí al sempre vivo interesse per le nuove tendenze e per gli artisti emergenti.