Con l’inizio degli anni ’60, con la Pop Art e con l’Arte
povera, si va modificando il concetto di «oggetto» artistico.
L’accezione tradizionale di opera d’arte lascia il posto
a diversi modi, non piú univoci, di considerare il fare artistico.
Con la Pop Art si arriva alla sacralizzazione dell’oggetto
e, inversamente, l’interesse si dirige, in altri casi,
non piú verso il prodotto dell’arte ma verso il «fare» artistico
in senso concettuale e fisico. In questa trasformazione
il ruolo delle gallerie muta e diviene quasi contraddittorio,
a tratti essenziale, a tratti pressoché inesistente,
giungendo comunque all’abbandono, per quasi vent’anni,
di una connotazione di contenitore passivo. In precedenza,
per tutti gli anni ’50, la galleria era stata il luogo-contenitore
dove venivano esposte le opere d’arte, gli «oggetti
artistici». Tali opere non intendevano modificare lo
spazio espositivo, né farlo divenire in alcun modo attivo.
Con l’Informale alcune gallerie acquistano un ruolo propulsore
e promozionale.
L’esempio piú significativo è la
Gall. René-Drouin di Parigi, che segue da vicino tutti gli
sviluppi del movimento informale francese organizzando
nel 1945 la collettiva L’Art brut, divenendo punto d’incontro
degli artisti che qui fonderanno nel 1949 la Compagnia
dell’Art brut. In seguito, con la Pop’Art si ha la
presa di coscienza del fatto che il mondo dell’immagine
non è piú esclusivo monopolio dell’arte, ma terreno privilegiato
dei mass media.
A Londra nel 1953 l’ica (Institute of Contemporary Art)
organizza la mostra Parallel of Life and Art, che può definirsi
il manifesto programmatico della Pop Art inglese.
Proprio lo stesso ica vede la formazione dell’Independent
Group ed è per tutta la prima metà degli anni ’50 il centro
propulsore del movimento. L’ica resta però ancora il
luogo dove vengono esposti «brandelli di vita». Il suo
ruolo attivo si limita solo alla promozione, ma il suo rapporto con le opere non può essere piú neutrale, in quanto
l’intenzione è già quella di creare una contaminazione tra
l’oggetto artistico e l’oggetto banale quotidiano, tra lo
spazio esterno della vita e quello «simulato» dell’arte.
Conseguenza diretta di questo procedimento è la tendenza
a creare «ambienti», cioè delle ricostruzioni del tutto
artificiali della realtà esterna.
La Whitchapel Gall. di
Londra ospita nel 1956 la mostra This is Tomorrow, in cui
viene offerto ad ogni artista o gruppo partecipante una
parte della galleria per farne una ambientazione. La galleria
diviene il luogo fisico dell’altra realtà, fotocopiata su
quella della vita. Viene potenziato l’aspetto di luogo-contenitore
della galleria, ora però attivata dall’opera e con
l’opera. Già dalla fine degli anni ’50 la New Vision Gall.
di Londra ospita numerose mostre di Pop ambientale
(Place, 1959, con artisti come Rumney, Smith e Danny).
Nel 1960 organizza una collettiva in cui gli artisti non
portano piú solo le loro opere ma anche del materiale fotografico
e documentario per far conoscere l’ambiente in
cui hanno operato. Questa funzione documentaria della
galleria sarà poi ampliata dalla Land Art e dall’Arte concettuale
fino ad arrivare ad una vera e propria crisi
dell’attività delle gallerie.
Negli Usa alcune grandi gallerie newyorkesi hanno fatto
la storia della Pop Art americana. La Reuben Gall. di
New York, che si specializza in opere d’arte deperibili e
transitorie, per prima ospitò environments e happenings; la
Green Gall. e la Leo Castelli realizzarono i primi investimenti
nel settore acquistando opere Pop ancora prima che
vengano riconosciute dalla critica dei circuiti maggiori; la
Martha Jackson Gall. ospitò due importanti esposizioni
nel 1960 e nel ’61, intitolate New Forms, New Media e
Environments, Situations, Spaces (con opere di Oldenburg,
Kaprow e Dine). Già in questa seconda mostra l’asse del
discorso artistico è spostato verso il riuso dello spazio
della galleria tramite l’ambientazione e l’avvenimento.
All’inizio degli anni ’60 la Sidney Jannis Gall. ospita due
manifestazioni che sanciscono la consacrazione ufficiale
dalla Pop Art a New York, New Realists (1962) e Four
Environments by New Realists (1964). Nella mostra alla
Leo Castelli Gall. di New York del 1965 intitolata F III
Rosenquist realizza quello che è stato definito il piú grande
quadro pop esistente: un enorme pannello che mostra
la visione in corsa di un bombardiere formata dalla successione vista durante il volo. L’opera annulla completamente
lo spazio della galleria, sia in senso fisico, per la
grandezza dell’opera, sia in senso temporale, perché costringe
lo spettatore a subire la visione di una «durata»
congelata. La Reuben Gall. ospita per prima esempi di environments
di Allan Kaprow fin dai primi anni ’60.
Nel
1959 Kaprow realizza qui il suo primo happening, 18 Happenings
in 6 Parts, durante il quale lo spazio della galleria,
debitamente allestito, viene gestito secondo rigide indicazioni
dell’artista, dal pubblico scelto e invitato preventivamente.
Lo happening, che ha il suo maggiore sviluppo
nella seconda metà degli anni ’60, porta due conseguenze
diametralmente opposte per lo spazio espositivo. In alcuni
casi la galleria diviene il «teatro» degli happenings, il luogo
fisico dove vengono create le installazioni e in cui si vive
l’azione, l’attimo dell’accadimento. In altri casi, molto
frequenti negli Usa, ma non rari anche in Italia e Francia,
lo happening si comincia a svolgere in qualsiasi luogo adatto
ad ospitare questo genere di avvenimenti.
Lo spazio
della galleria non è piú il luogo deputato agli «accadimenti
artistici». Nel 1960, a New York, Kaprow e Oldenburg
realizzano Coca Cola Cannobal? nella palestra sotterranea
della Judson Memorial Church. Nel 1961 ancora Kaprow,
nella Reuben Gall., costruisce uno strettissimo corridoio
di legno che conduce in una sorta di palcoscenico con
proiezioni, e intitola questo happening A Spring Happening.
Sempre nello stesso anno la Reuben Gall. ospita The Car
Crash di Dine e The American Moon di Withman. Già nel
1962 la Smolin Gall. promuove uno happening di Kaprow,
The Courtyard, che viene però realizzato in un corridoio
del Greenwich Hotel.
Il ruolo della galleria si va trasformando
non tanto nella sua funzione promozionale, quanto
nella sua accezione di spazio, che viene a perdere l’esclusiva
come luogo dell’arte. Oltre a ciò lo happening è solo un
avvenimento temporaneo e le strutture stesse delle ambientazioni
sono del tutto effimere, costruite solo per
l’azione. Il gallerista non possiede piú l’oggetto di commercio
e scompare cosí l’interesse economico verso
l’opera prodotta. La Reuben Gall. ancora per diversi anni
ospita happenings in competizione con gli altri spazi urbani
che si presentano agli artisti nella loro ricerca di azione
nella vita. Cosí nel 1961 Withman vi realizza Mouth (un
allestimento che trasforma lo spazio della galleria in
un’enorme bacca entro cui vengono realizzati degli interventi una presenza di un pubblico scelto). D’altra parte lo
stesso Withman, nel 1963, realizza Flowers e Water, rispettivamente
in un magazzino in Greet Jones Street e a
Westwood. Oldenburg, dal canto suo, usa un garage della
2nd Street da lui ribattezzato Ray Gun Manufacturing
Company, in cui realizza dal 1962 in poi i vari Days I, II,
Nekropolis I, II e Voyages I, II, ecc.
Nel 1961 apre The
Store, un negozio pieno di finte golosità di gesso. La
Green Gall. espone, intorno alla fine del 1962, i suoi cibi
in stoffa e plastica imbattiti nella mostra Gayety che è replicata
a Chicago all’università con la sponsorizzazione
della Feigen Gall., che in quell’occasione proietta nelle
sue sale il filmato della mostra. La Judson Gall. in quegli
stessi anni presenta events ed esposizioni di Oldenburg,
Dine e del Living Theatre.
In Europa, e in particolare in Francia e in Italia, il panorama
espositivo delle gallerie private ha uno sviluppo
piuttosto cospicuo proprio negli anni ’60 sull’onda del miracolo
economico e della protesta politica. Nei primi anni
’60 Parigi è in massima parte legata all’attività dei Nouveaux
Réalistes, che lavorano per lo piú alla Gall. Rive-Droite (è da ricordare la collettiva del 1960 a cui parteciparono
artisti francesi e americani) e una Gall. Iris-Clert
che già nel 1958 aveva ospitato una personale di Yves
Klein intitolata Vide in cui l’artista aveva lasciato completamente
vuota la galleria e dipinto di azzurro solo i punti
di contatto con l’esterno, gli stipiti di porte e finestre.
Nel 1960 Arman e Nicoise realizzano Plein, riempiendo
di rifiuti la stessa galleria. Lo spazio espositivo non contiene
piú l’opera d’arte, ma è opera in sé, non è piú spazio
passivo, ma spazio agito. È il primo passo verso l’uscita
dall’anonimato della sala d’esposizione che di lí a poco diventa
lo spazio aperto e modificato degli «ambienti».
In
Italia la situazione espositiva dai primi anni ’60 vede in
Torino, Milano e Roma i centri di maggiore attività e di
piú stimolante interesse per le nuove forme del fare artistico.
Nel 1959 a Milano, Castellani e Manzoni fondano
la rivista «Azimuth» con l’omonima galleria che esordisce
con la prima collettiva, nel 1960, intitolata La nuova concezione
artistica dove Manzoni espone i primi «corpi
d’aria», gli «achrome» e le «linee». Nello stesso anno
«Azimuth» ospita Consumazioni dell’arte dinamica, sempre
di Manzoni, in cui l’artista lascia delle impronte su
uova sode che devono essere consumate in galleria dal
pubblico. Azimuth diviene un punto di riferimento per gli
artisti concettuali e porta avanti la sua programmazione
ospitando un’arte del tutto indifferente all’ambiente in
cui viene presentata e fruibile solo in modo effimero e
mentale. La Gall. La Tartaruga di Roma, fondata nel
1954, propone inizialmente artisti della scuola romana e,
dopo aver seguito gli sviluppi dell’Informale (è da ricordare
la collettiva del 1957 organizzata con la Iris-Clert di
Parigi), ospita nel biennio ’61-62 nuovi artisti italiani
come Manzoni, Castellani, Angeli e Rotella. Nel 1963
spostatasi nella nuova sede in piazza del Popolo, realizza
collettive come 13 artisti a Roma e 9 artisti romani, in cui
compaiono ancora i nuovi artisti della capitale tra cui
spiccano i nomi di Kounellis e Giosetta Fioroni. La Gall.
Pater di Milano ospita nel 1960 Miriorama I (seguita da
altre edizioni della stessa manifestazione), in cui le opere
realizzate sono spazi agibili, non solo luoghi dello spazio
tridimensionale, ma anche luoghi della durata.
Nell’ambito di questa nuova visione dell’opera prodotta,
le gallerie italiane diventano elemento di stimolo e mantengono
il loro naturale ruolo di spazio di esposizione attivato
ora dallo stesso agire degli artisti. La Gall. Apollinaire
di Milano, fondata nel 1954, segue inizialmente gli
sviluppi dell’Informale francese e ospita nel ’57 i primi
«monocromi» di Klein. Nel triennio ’60-63 stabilisce uno
stretto rapporto con i Nouveaux Réalistes francesi ospitando
nel 1960 una loro collettiva nel cui catalogo si legge
una ormai netta opposizione alla pittura di cavalletto da
sostituire con opere piú vicine al ready made dada e surrealista.
Tra il 1963 e il 1964 ospita le personali di Arman
e Christo e s’interessa dei primi sviluppi dell’arte «abitabile». Nel 1968 il Prospectus 68 di Düsseldorf, in anticipo
sulle altre gallerie, propone, insieme a Stein e Wite
Wide, una sezione di arte «abitabile». Nello stesso anno
sponsorizza le realizzazioni esterne di Christo a Spoleto,
Kassel e Berna. La Gall. Apollinaire è stata un esempio di
struttura in evoluzione che ha compreso con lungimiranza
la necessità di spostare il proprio ruolo promozionale
dall’oggetto artistico al fare artistico, anche fuori dalle
sue stesse mura. A Roma, la Gall. La Salita, che inizia la
sua attività nel 1957, dopo aver seguito l’Informale si avvicina
all’Arte povera ed ambientale. Nei 1959 ospita le
personali di Festa, Angeli e Schifano; un anno dopo, la
collettiva Cinque pittori a Roma ’60 (in cui Lo Savio espone i suoi metani, Uncini i cementi, Schifano i monocromi
e Festa le superfici rosse). Ancora nei primi anni ’60 La
Salita diviene anche punto di contatto con i Nouveaux
Réalistes francesi di cui ospita diverse personali (Klein,
Arman).
Dopo il miracolo economico della metà degli
anni ’50, sull’onda del movimento informale, in Italia
erano state aperte numerose gallerie. Già alla metà degli
anni ’60 e poi, definitivamente, nei primi anni ’70, le
stesse gallerie devono adattarsi una nuova e mutata realtà
artistica che non produce piú oggetti in qualche modo
commerciabili, ma realizza produzioni temporanee ed effimere.
A fianco delle grandi gallerie, altri spazi espositivi
dalla vita piú breve e meno intensa, vivono ugualmente
da vicino questo passaggio dalla promozione in gran parte
economica, al coinvolgimento mentale attuato dall’Arte
povera e concettuale. La Gall. Selecta ospita nel 1960 la
prima personale di Lo Savio; la Gall. Schwarz di Milano
realizza diverse esposizioni di Nouveaux Réalistes; nel ’62
la Gall. La Promotrice di Torino ospita i primi specchi di
Pistoletto.
Nel triennio 1966-69, in Italia, alcune collettive segnano
nettamente il passaggio a questa nuova dimensione dello
spazio espositivo. Nel ’66 a Torino la Gall. Sperone ospita
la collettiva Arte abitabile (a cui partecipano Pistoletto,
Gilardi, Zorio, Boetti e Piacentino), segnando cosí l’ingresso
ufficiale in Italia dell’Environmental Art. Nel ’67
la Gall. La Bertesca di Genova presenta la mostra L’Arte
povera (con opere di Boetti, Pascali, Prini, Kounellis e
altri), a cui fa seguito un intenso dibattito sulla nuova
realtà artistica italiana. Ancora nel 1968 la Gall. De’ Foscherari
realizza un’altra esposizione sull’Arte povera curata
da Germano Celant. A Roma, la Gall. La Tartaruga
promuove una importante iniziativa di arte «abitabile»
che vede diversi artisti (come la Fioroni, Prini, Calzolari e
Angeli), musicisti (Bussotti) e scrittori (Parise), modificare
e vivere diversi spazi messi a loro disposizione. L’iniziativa,
intitolata Il teatro delle mostre, propone un riarso attivo
dello spazio espositivo. La Tartaruga è in quest’occasione
solo promotrice di un’iniziativa non piú limitata al
solo spazio della galleria. In sostituzione dell’oggetto artistico
commerciabile, si iniziano a realizzare cataloghi per
lo piú documentari delle stesse esposizioni promosse dalle
gallerie, creando nuove figure di galleristi-editori. Il tentativo
di fondere manifestazioni musicali, letterarie, di
danza e happening, come è stato per Il teatro delle mostre,
sarà il manifesto programmatico di un’altra grande galleria
romana, l’Attico. Nel 1967 l’Attico aveva ospitato
Fuoco Immagine Acqua Terra, una collettiva (Kounellis,
Gilardi, Pascali, Pistoletto e Schifano) in cui diversi artisti
avevano esposto i loro materiali in perfetta simbiosi
con lo spazio espositivo. Dopo aver acquistato una nuova
sede (un garage), ospita la performance di Kounellis che
conduce in galleria dei cavalli vivi (1969). Con gli anni
’70 l’Attico si fa promotore di iniziative fuori delle sue
stesse mura (un esempio per tutti, le azioni di Mattiacci al
Circo Massimo). Un’altra attività realizzata nelle sale
della galleria romana sono le proiezioni di film d’artista a
volte prodotti dall’Attica stesso (un esempio è SKMP2 di
Patella). Una collettiva di particolare interesse ospitata da
questa galleria è 24 ore su 24, durante la quale diversi artisti
realizzano avvenimenti in ogni momento del giorno e
della notte alla presenza di un pubblico casuale e non invitato.
Cosí come era accaduto in America, anche in Italia nascono
manifestazioni artistiche all’esterno della galleria e
completamente svincolate da ogni circuito espositivo. Da
ricordare in proposito il gruppo ufo di Firenze che realizza
diverse azioni in giro per la città gonfiando enormi palloni
o trasportando grandi tubi di dentifricio. Altri esempi
sono i monumenti «impacchettati» da Christo a Roma
e in altre parti d’Italia e le azioni povere organizzate da
Marcello Ruma ad Amalfi.
Negli Usa l’estrema ricerca da parte degli artisti di spazi
alternativi sfocia, negli anni ’70, nella nascita della Land
Art. La Land Art è l’espressione della profonda necessità
dell’arte di dialogare con la realtà naturale, di avere un
ruolo in qualche modo attivo nell’ambiente esterno. Lo
spazio chiuso delle gallerie ha, come unica alternativa al
«disuso», o divenire luogo della documentazione di quanto
viene realizzato in spazi per lo piú inaccessibili al grande
pubblico, o farsi promotore di riprese video e fotografiche
di quelle stesse opere all’aperto. In questi anni, di
conseguenza, molte gallerie divengono le sale di proiezione
di film girati riprendendo opere di Land Art, o si trasformano
in sale di esposizione di documentazioni fotografiche
di installazioni realizzate all’aperto.
Gli Stati
Uniti, per la loro naturale conformazione fisica, sono il
maggiore teatro delle opere di Land Art e, conseguentemente, i maggiori produttori e diffusori di documentazione
video sull’argomento in Europa. Michael Heizer nel
1969 realizza Double Negative rimuovendo 240 tonnellate
di terra nella Virgin River Mesa nel Nevada; nel 1970
Smithson installa un’enorme spirale di sassi nell’acqua del
Great Salt Lake nello Utah. Gerry Shum, nel 1969, gira il
piú grande film-documentario su opere di Land Art e su
tutte le loro fasi di realizzazione, riprendendo il lavoro di
artisti come Morris, Andre, Miss, Christo e altri.
Lo spazio della galleria si va sempre piú caratterizzando
come luogo della documentazione durante tutti gli anni ’70. Un esempio emblematico è l’attività del gruppo inglese
Art & Language (a cui appartengono artisti come Robert
Barry e Lawrence Weiner), che, con un chiaro intento
concettuale, realizzano alla Hayward Gall. esposizioni
consistenti in una sola parola scritta su una parete della
galleria. La Gall. Sperone di Torino è tra le prime ad
ospitare mostre del gruppo inglese in Italia, puntando il
proprio interesse verso le nuove esperienze della poesia
visiva e dell’arte concettuale e promuovendo una propria
attività editoriale. Nel 1971 pubblica Svolgere la propria
pelle, un libro di Penone composto di sole immagini fotografiche
senza alcuna nota scritta. Un anno dopo, sempre
a Torino, la Gall. Stein ospita Mutazioni 5 carte Zoogeografiche,
in cui vengono esposte le foto di cinque mucche
con le macchie del manto riproducenti i cinque continenti.
Nel 1973 La Salita di Roma realizza il libro di Kounellis
La vista del sangue contenente cerini accesi. Nel 1971
Sperone ospita The Eight Investigations di J. Kosuth, con
dodici pendoli e un libro di linguistica.
In tutta Europa la
poesia visiva e l’arte concettuale invadono gli spazi espositivi
privandoli di qualsiasi valenza di contenitore seppure
«attivo». Alcune gallerie divengono editori di libri di
artisti o accettano di trasformare le proprie pareti in una
sorta di «grandi libri» su cui scrivere. Si apre cosí una
nuova particolare fase commerciale che le vede promotrici
e produttrici del «documento» d’artista, del libro, del
film, della fotografia. A Napoli la Modern Art Agency
ospita diverse proiezioni (un esempio è il Programma di
films; fig. 1, fg. 2, fig. 3 di Marcel Broodthaers); a Roma
l’Attico proietta film, tra cui Identifications di Schum
(1971) e una videoregistrazione del Festival di musica e
danza degli Usa (1973). Nel 1973, a Torino, Sperone promuove
la stampa del libro di Anselmo Leggere.
Negli anni ’70 piccoli teatri indipendenti, fuori dai circuiti
maggiori, acquistano grande importanza proprio come
spazi alternativi alle gallerie private. Ospitano performances
e pièces realizzate non con un intento narrativo-teatrale,
ma piú vicine allo happening, all’accadimento. Diverse
gallerie continuano la loro attività proprio in direzione di
questa ricerca di contatto tra le diverse forme di azione
artistica, mentre i teatri indipendenti mantengono un loro
ruolo fondamentale.
Negli anni ’80 il ruolo della galleria privata non può piú
definirsi univoco. Diverse tendenze convivono in uno
stesso spazio espositivo, ribadendo a volte la connotazione
di «spazio contenitore». L’aspetto commerciale ha
avuto, dopo la crisi degli anni ’70, un nuovo potenziamento,
legandosi cosí al sempre vivo interesse per le
nuove tendenze e per gli artisti emergenti.