5/13/2020

Giambattista Tiepolo (Venezia 1696 - Madrid 1770).

Capostipite della famiglia, padre di Giandomenico e Lorenzo, cognato di Francesco Guardi, Giambattista T è uno dei massimi protagonisti del rococò europeo. Con Giambattista T la decorazione, interpretata secondo la piú pura tradizione veneziana di luminosità e di colore, si carica di un alto valore espressivo. L’ardito plasticismo, l’audacia inedita della composizione, l’esuberanza formale rappresentano da un lato

l’estremo frutto del genio decorativo del Veronese e, d’altro canto, il prolungamento e l’apogeo della decorazione barocca nel suo insieme. La grandiosità di T si manifesta in tutte le forme della sua arte, dai disegni ai bozzetti, dai quadri di cavalletto ai grandi cicli di affreschi.

L’educazione artistica di T si svolge nella bottega di Gregorio Lazzarini. Ben presto, però, il giovane pittore è attratto dalla pittura di Federico Bencovich e del Piazzetta, che opponevano la violenza di un drammatico chiaroscuro alla chiarezza del rococò. Risalgono a questo periodo la Madonna del Carmine (1720 ca.: Milano, Brera) e il Martirio di san Bartolomeo (Venezia, chiesa di San Stae), di una forza
espressiva che s’impone in modo del tutto personale attraverso la nettezza del contorno grafico. A questo stesso periodo risale un gruppo di Scene mitologiche (Venezia, Accademia) e l’esordio di T nel campo dell’affresco, in cui subito si palesa il riferimento a Paolo Veronese. Una vera svolta è rappresentata dagli affreschi nell’Arcivescovado di Udine, equidistanti dal chiaroscuro piazzettesco e dai fragili arabeschi rococò. La decorazione è caratterizzata da una personalissima forza nella struttura, da un audace virtuosismo nella composizione e soprattutto dalla solare festosità dei cieli spalancati dietro ai personaggi. La decorazione (Scene e personaggi dell’Antico Testamento lungo la scala, un salone e la galleria dell’Arcivescovado) è di fatto la prima realizzazione completa ispirata a questo atteggiamento assolutamente nuovo, in cui protagonista del dipinto è ormai la luce naturale. Nell’Apparizione degli angeli ad Abramo colori chiari si distaccano nel controluce; ma non mancano dettagli naturalistici che, come le figure dei contadini nell’episodio di Rachele e Giacobbe, caricano di un’affettività tutta umana la solennità sacra delle scene bibliche. Nello stesso periodo T dipinge per Palazzo Dolfin a Venezia una serie di dieci vaste tele di storia romana, oggi divise tra San Pietroburgo (Ermitage), New York (mma) e Vienna (km).

Nel corso degli anni Trenta la fama di T si consolida a Venezia e all’estero. L’artista può sviluppare la ricerca di luminosità atmosferica e approfondire il proprio genio decorativo. In questo periodo Giambattista opera ripetutamente in Lombardia. I soffitti milanesi di Palazzo Archinto (Trionfo delle arti, distrutto dai bombardamenti nel 1943) e Palazzo Dugnani (Storie di Scipione, 1731) sono occasioni fondamentali lungo la conquista di una piena resa spettacolare delle immagini nello spazio. Negli affreschi della cappella Colleoni di Bergamo (Scene della vita di san Giovanni Battista, 1732-33) e di Villa Loschi-Zilieri, nei dintorni di Vicenza, le figure allegoriche appartengono a un aulico classicismo, non privo peraltro di accenti drammatici piú intimisti. Tra le altre grandi decorazioni di questa fase della carriera di T possono citarsi gli affreschi con Gloria di san Domenico in Santa Maria dei Gesuati a Venezia (1737-39), le grandi tele (Caduta della manna; Sacrificio di Melchidesec) nella chiesa di Verolanuova, le tre scene della Passione in Sant’Alvise a Venezia e la scenografica Corsa del carro del sole in Palazzo Clerici a Milano (1740). Risale al 1743 uno dei massimi capolavori del maestro, le nove tele del soffitto della Scuola del Carmine a Venezia, imperniato sulla scena con l’Apparizione della Madonna del Carmine a san Simone Stock, con l’emozionante invenzione della veste bianca della Vergine contro un cielo di luce. Ha inizio la felice collaborazione con il pittore di quadrature Mengozzi-Colonna, che comporrà e dipingerà per T le decorazioni a finte architetture che inquadrano gli affreschi. Il punto di massima riuscita di questo sodalizio è il complesso decorativo di Palazzo Labia a Venezia (1747-50) con le Storie di Antonio e Cleopatra: il fondo di architetture aperte sul cielo consente a T di realizzare una splendida coreografia laica, su un ritmo da melodramma, recitato da eroi vestiti con sontuosi costumi contemporanei. La rievocazione dei fasti, veri o immaginari, della famiglia del committente dà qui luogo a una traduzione artistica tra le piú straordinarie.

La decorazione della scala monumentale e del salone (Kaisersaal) della Residenza di Würzburg viene spesso considerata il momento piú felice della produzione di T. Eseguita dopo il 1750, la Storia di Federico Barbarossa, nel salone, raggiunge un effetto solenne e fastoso sfruttando l’accordo tra la pittura e gli stucchi bianchi e oro. Ancor piú grandiosa è la rappresentazione dell’Olimpo attorniato dalle quattro parti
del mondo (bozzetto nella sg di Stoccarda) sul grande scalone d’onore: le folle multiformi e multicolori, ammassate su due lati del soffitto, lasciano libero un cielo immerso nella luce. Qui la fantasia geniale dell’artista traduce mito e realtà in una cosmografia insieme pagana e sacra, la cui bellezza formale trasfigura la banalità allegorica del soggetto.

Tornato a Venezia alla fine del 1753, T lavora senza posa come illustratore dei fasti della Repubblica (Venezia riceve doni da Nettuno in Palazzo Ducale) o delle sue grandi famiglie (Gloria della famiglia Rezzonico in Ca’ Rezzonico). Una dopo l’altra si susseguono le decorazioni: della chiesa della Pietà a Venezia (1754-55); di Villa Valmarana presso Vicenza (1757: Sale di Ifigenia, dell’Iliade, della Gerusalemme liberata, dell’Eneide e dell’Orlando Furioso nella palazzina; Sala dell’Olimpo nella Foresteria, in cui è attivo il figlio Giandomenico); di Palazzo Canossa a Verona (Trionfo di Ercole, 1761, gravemente danneggiato dalla seconda guerra mondiale); e di Villa Pisani a Stra (Apoteosi della famiglia Pisani, 1761-62), l’ultimo grande lavoro eseguito in Italia.

La tecnica dell’artista si fa sempre piú leggera, il tocco piú rapido e nervoso, la luminosità piú intensa, la composizione piú abile e ricca di nuovi espedienti. Nel 1761 Carlo III di Spagna chiama T a Madrid per decorate con affreschi le sale del nuovo Palazzo Reale. Il pittore porta con sé i figli Lorenzo e Giandomenico. La produzione spagnola appare segnata da un’intima inquietudine che smorza la brillante fantasia delle composizioni precedenti, forse per il contrasto con l’atmosfera di cultura neoclassica introdotta da Anton Raphael Mengs, il personaggio piú in vista di Madrid. Certo è che l’opera del veneziano non riscosse
unanime favore. Pure, questo gusto di commossa intimità poteva già essere percepito in qualche opera degli anni precedenti, come la mirabile pala con Santa Tecla che libera Este dalla peste (1759: Duomo di Este), che lascia trasparire un ripiegarsi dell’artista su se stesso e una certa tendenza drammatica, tradotta dall’atmosfera livida. Qualche ritratto, dove la pompa degli abbigliamenti di circostanza non nasconde la vivacità acuta dell’espressione dei personaggi, testimonia ulteriormente l’adesione del maestro alla realtà. Nel Palazzo Reale di Madrid T dipinge tre soffitti: l’Apoteosi di Enea, la Grandezza della monarchia spagnola e l’Apoteosi della Spagna nella vasta Sala del Trono (terminata nel 1764). T troverà soluzioni e strade nuove in un’epoca che volge chiaramente alla fine ma ha ancora in serbo aspetti emozionanti e suggestivi. Appartengono a questo spirito alcune tele, fra cui un gruppo di quadri d’altare dipinti tra il 1767 e il 1769 per la chiesa del convento di Aranjuez, oggi divisi tra il Prado e il Palazzo Reale di Madrid, composti da figure solitarie di santi collocati in paesaggi vuoti e realistici, di una nuova semplicità d’effetti ma ricchi di una piú profonda osservazione psicologica. Infine, negli episodi della Fuga in Egitto (Lisbona, maa e coll. priv.) l’artista attinge un’espressione di pungente intimità e di misticismo profondo attraverso l’originale accostamento dei colori, smorzati da una luce cinerea, e dalle linee spezzate e nervose della grafia.

A parte i numerosi impegni «ufficiali», T lascia numerose opere di minor formato, di soggetto sacro o profano, senza contare gli schizzi preparatori e i bozzetti per le grandi decorazioni. Tra le prime composizioni figura l’assai fresca Tentazione di sant’Antonio (1725 ca.: Milano, Brera), ancora piena di reminiscenze della pittura di Sebastiano e Marco Ricci (quest’ultimo soprattutto per il paesaggio, pennellato a rapidi tocchi). Agar nel deserto e Abramo con gli angeli (Venezia, Scuola di San Rocco), caratteristiche composizioni sacre improntate da una forte carica di sensualità, appartengono alla fase che segue il primo soggiorno a Milano (1733). Al 1736 risale Giove e Danae (Stoccolma, Università), nel quale la leggenda mitologica prende un tono umoristico di dissacrante fantasia.

Di T ritrattista rammentiamo il Ritratto di Antonio Riccobono (1745 ca.) all’Accademia dei Concordi a Rovigo. Forte è il contrasto tra quest’opera e il Ritratto di procuratore (1750 ca.: Venezia, Gall. Querini Stampalia), col mantello che si espande in chiazze di colore vivo, mentre lo spirito caustico di T riappare nell’acuta analisi del volto. L’opera grafica di T è particolarmente importante sia per i disegni (1500 ca.) che per le acqueforti; tra queste ultime ricordiamo i ventiquattro Scherzi e i dieci Capricci, di data incerta. I disegni sono per la maggior parte a Londra (vam), al Museo Horne di Firenze, nel Gabinetto delle stampe di Stoccolma, al mc di Trieste e nelle principali collezioni grafiche italiane o internazionali. Consentono di seguire l’evoluzione stilistica del maestro continua e parallela alle incessanti conquiste nel campo della grande pittura decorativa. Nei disegni giovanili il contorno delle figure è morbido e l’uso dell’acquerellato determina effetti chiaroscurali. Intorno al 1730 il tratto si fa piú incisivo e vibrante, come mostrano i numerosi schizzi per gli affreschi milanesi o di Villa Loschi-Zilieri, finendo per diventare un arabesco vaporoso negli studi per le Storie di Cleopatra. Piú tormentati e ricchi di ombre appaiono i disegni del periodo tedesco, mentre in quelli della fase successiva (schizzi preparatori per Villa Valmarana) riappare una straordinaria limpidezza, la scrittura si fa «a unghiate», e i personaggi s’impongono con maestosa gravità.

Il decennio 1740-50 è comunque il periodo piú fecondo per l’attività grafica di T. A questi anni risalgono disegni di cani e di paesaggi che dimostrano la varietà degli interessi dell’artista, mentre le Caricature e la serie dei Pulcinella (Milano, Castello Sforzesco; Trieste, mc) riflettono una straordinaria fantasia e, nel contempo, una acuta vena satirica e caustica, nella quale si può scorgere una sorta di controparte della pittura ufficiale ed elogiativa delle grandi decorazioni su commissione.