Capostipite
della famiglia, padre di Giandomenico e Lorenzo, cognato
di Francesco Guardi, Giambattista T è uno dei massimi protagonisti
del rococò europeo. Con Giambattista T la decorazione,
interpretata secondo la piú pura tradizione veneziana
di luminosità e di colore, si carica di un alto valore
espressivo. L’ardito plasticismo, l’audacia inedita della composizione,
l’esuberanza formale rappresentano da un lato
l’estremo frutto del genio decorativo del Veronese e, d’altro
canto, il prolungamento e l’apogeo della decorazione barocca
nel suo insieme. La grandiosità di T si manifesta in
tutte le forme della sua arte, dai disegni ai bozzetti, dai quadri
di cavalletto ai grandi cicli di affreschi.
L’educazione artistica di T si svolge nella bottega di Gregorio
Lazzarini. Ben presto, però, il giovane pittore è attratto
dalla pittura di Federico Bencovich e del Piazzetta,
che opponevano la violenza di un drammatico chiaroscuro
alla chiarezza del rococò. Risalgono a questo periodo la Madonna
del Carmine (1720 ca.: Milano, Brera) e il Martirio di
san Bartolomeo (Venezia, chiesa di San Stae), di una forza
espressiva che s’impone in modo del tutto personale attraverso
la nettezza del contorno grafico. A questo stesso periodo
risale un gruppo di Scene mitologiche (Venezia, Accademia)
e l’esordio di T nel campo dell’affresco, in cui subito
si palesa il riferimento a Paolo Veronese. Una vera svolta
è rappresentata dagli affreschi nell’Arcivescovado di Udine,
equidistanti dal chiaroscuro piazzettesco e dai fragili arabeschi rococò. La decorazione è caratterizzata da una personalissima
forza nella struttura, da un audace virtuosismo nella
composizione e soprattutto dalla solare festosità dei cieli
spalancati dietro ai personaggi. La decorazione (Scene e personaggi
dell’Antico Testamento lungo la scala, un salone e la
galleria dell’Arcivescovado) è di fatto la prima realizzazione
completa ispirata a questo atteggiamento assolutamente
nuovo, in cui protagonista del dipinto è ormai la luce naturale.
Nell’Apparizione degli angeli ad Abramo colori chiari si
distaccano nel controluce; ma non mancano dettagli naturalistici
che, come le figure dei contadini nell’episodio di Rachele
e Giacobbe, caricano di un’affettività tutta umana la
solennità sacra delle scene bibliche. Nello stesso periodo T
dipinge per Palazzo Dolfin a Venezia una serie di dieci vaste
tele di storia romana, oggi divise tra San Pietroburgo (Ermitage),
New York (mma) e Vienna (km).
Nel corso degli anni Trenta la fama di T si consolida a Venezia
e all’estero. L’artista può sviluppare la ricerca di luminosità
atmosferica e approfondire il proprio genio decorativo.
In questo periodo Giambattista opera ripetutamente
in Lombardia. I soffitti milanesi di Palazzo Archinto
(Trionfo delle arti, distrutto dai bombardamenti nel 1943) e
Palazzo Dugnani (Storie di Scipione, 1731) sono occasioni
fondamentali lungo la conquista di una piena resa spettacolare
delle immagini nello spazio. Negli affreschi della cappella
Colleoni di Bergamo (Scene della vita di san Giovanni
Battista, 1732-33) e di Villa Loschi-Zilieri, nei dintorni di
Vicenza, le figure allegoriche appartengono a un aulico classicismo,
non privo peraltro di accenti drammatici piú intimisti.
Tra le altre grandi decorazioni di questa fase della carriera
di T possono citarsi gli affreschi con Gloria di san Domenico
in Santa Maria dei Gesuati a Venezia (1737-39), le
grandi tele (Caduta della manna; Sacrificio di Melchidesec) nella
chiesa di Verolanuova, le tre scene della Passione in
Sant’Alvise a Venezia e la scenografica Corsa del carro del sole
in Palazzo Clerici a Milano (1740). Risale al 1743 uno dei
massimi capolavori del maestro, le nove tele del soffitto della
Scuola del Carmine a Venezia, imperniato sulla scena con
l’Apparizione della Madonna del Carmine a san Simone Stock,
con l’emozionante invenzione della veste bianca della Vergine
contro un cielo di luce. Ha inizio la felice collaborazione
con il pittore di quadrature Mengozzi-Colonna, che comporrà e dipingerà per T le decorazioni a finte architetture
che inquadrano gli affreschi. Il punto di massima riuscita di
questo sodalizio è il complesso decorativo di Palazzo Labia
a Venezia (1747-50) con le Storie di Antonio e Cleopatra: il
fondo di architetture aperte sul cielo consente a T di realizzare
una splendida coreografia laica, su un ritmo da melodramma,
recitato da eroi vestiti con sontuosi costumi contemporanei.
La rievocazione dei fasti, veri o immaginari,
della famiglia del committente dà qui luogo a una traduzione
artistica tra le piú straordinarie.
La decorazione della scala monumentale e del salone (Kaisersaal)
della Residenza di Würzburg viene spesso considerata
il momento piú felice della produzione di T. Eseguita
dopo il 1750, la Storia di Federico Barbarossa, nel salone, raggiunge
un effetto solenne e fastoso sfruttando l’accordo tra
la pittura e gli stucchi bianchi e oro. Ancor piú grandiosa è
la rappresentazione dell’Olimpo attorniato dalle quattro parti
del mondo (bozzetto nella sg di Stoccarda) sul grande scalone
d’onore: le folle multiformi e multicolori, ammassate
su due lati del soffitto, lasciano libero un cielo immerso nella
luce. Qui la fantasia geniale dell’artista traduce mito e
realtà in una cosmografia insieme pagana e sacra, la cui bellezza
formale trasfigura la banalità allegorica del soggetto.
Tornato a Venezia alla fine del 1753, T lavora senza posa
come illustratore dei fasti della Repubblica (Venezia riceve
doni da Nettuno in Palazzo Ducale) o delle sue grandi famiglie
(Gloria della famiglia Rezzonico in Ca’ Rezzonico). Una
dopo l’altra si susseguono le decorazioni: della chiesa della
Pietà a Venezia (1754-55); di Villa Valmarana presso Vicenza
(1757: Sale di Ifigenia, dell’Iliade, della Gerusalemme
liberata, dell’Eneide e dell’Orlando Furioso nella palazzina;
Sala dell’Olimpo nella Foresteria, in cui è attivo il figlio
Giandomenico); di Palazzo Canossa a Verona (Trionfo
di Ercole, 1761, gravemente danneggiato dalla seconda guerra
mondiale); e di Villa Pisani a Stra (Apoteosi della famiglia
Pisani, 1761-62), l’ultimo grande lavoro eseguito in Italia.
La tecnica dell’artista si fa sempre piú leggera, il tocco piú
rapido e nervoso, la luminosità piú intensa, la composizione
piú abile e ricca di nuovi espedienti.
Nel 1761 Carlo III di Spagna chiama T a Madrid per decorate
con affreschi le sale del nuovo Palazzo Reale. Il pittore
porta con sé i figli Lorenzo e Giandomenico. La produzione
spagnola appare segnata da un’intima inquietudine che
smorza la brillante fantasia delle composizioni precedenti,
forse per il contrasto con l’atmosfera di cultura neoclassica
introdotta da Anton Raphael Mengs, il personaggio piú in
vista di Madrid. Certo è che l’opera del veneziano non riscosse
unanime favore. Pure, questo gusto di commossa intimità
poteva già essere percepito in qualche opera degli anni
precedenti, come la mirabile pala con Santa Tecla che libera
Este dalla peste (1759: Duomo di Este), che lascia
trasparire un ripiegarsi dell’artista su se stesso e una certa
tendenza drammatica, tradotta dall’atmosfera livida. Qualche
ritratto, dove la pompa degli abbigliamenti di circostanza
non nasconde la vivacità acuta dell’espressione dei
personaggi, testimonia ulteriormente l’adesione del maestro
alla realtà. Nel Palazzo Reale di Madrid T dipinge tre soffitti:
l’Apoteosi di Enea, la Grandezza della monarchia spagnola
e l’Apoteosi della Spagna nella vasta Sala del Trono (terminata
nel 1764). T troverà soluzioni e strade nuove in
un’epoca che volge chiaramente alla fine ma ha ancora in
serbo aspetti emozionanti e suggestivi. Appartengono a questo
spirito alcune tele, fra cui un gruppo di quadri d’altare
dipinti tra il 1767 e il 1769 per la chiesa del convento di
Aranjuez, oggi divisi tra il Prado e il Palazzo Reale di Madrid,
composti da figure solitarie di santi collocati in paesaggi
vuoti e realistici, di una nuova semplicità d’effetti ma
ricchi di una piú profonda osservazione psicologica. Infine,
negli episodi della Fuga in Egitto (Lisbona, maa e coll. priv.)
l’artista attinge un’espressione di pungente intimità e di misticismo
profondo attraverso l’originale accostamento dei
colori, smorzati da una luce cinerea, e dalle linee spezzate e
nervose della grafia.
A parte i numerosi impegni «ufficiali», T lascia numerose
opere di minor formato, di soggetto sacro o profano, senza
contare gli schizzi preparatori e i bozzetti per le grandi decorazioni.
Tra le prime composizioni figura l’assai fresca Tentazione
di sant’Antonio (1725 ca.: Milano, Brera), ancora piena
di reminiscenze della pittura di Sebastiano e Marco Ricci
(quest’ultimo soprattutto per il paesaggio, pennellato a
rapidi tocchi). Agar nel deserto e Abramo con gli angeli (Venezia,
Scuola di San Rocco), caratteristiche composizioni sacre
improntate da una forte carica di sensualità, appartengono alla fase che segue il primo soggiorno a Milano (1733).
Al 1736 risale Giove e Danae (Stoccolma, Università), nel
quale la leggenda mitologica prende un tono umoristico di
dissacrante fantasia.
Di T ritrattista rammentiamo il Ritratto di Antonio Riccobono
(1745 ca.) all’Accademia dei Concordi a Rovigo. Forte
è il contrasto tra quest’opera e il Ritratto di procuratore
(1750 ca.: Venezia, Gall. Querini Stampalia), col mantello
che si espande in chiazze di colore vivo, mentre lo spirito
caustico di T riappare nell’acuta analisi del volto. L’opera
grafica di T è particolarmente importante sia per i disegni
(1500 ca.) che per le acqueforti; tra queste ultime ricordiamo
i ventiquattro Scherzi e i dieci Capricci, di data incerta.
I disegni sono per la maggior parte a Londra (vam), al Museo
Horne di Firenze, nel Gabinetto delle stampe di Stoccolma,
al mc di Trieste e nelle principali collezioni grafiche
italiane o internazionali. Consentono di seguire l’evoluzione
stilistica del maestro continua e parallela alle incessanti
conquiste nel campo della grande pittura decorativa. Nei disegni
giovanili il contorno delle figure è morbido e l’uso
dell’acquerellato determina effetti chiaroscurali. Intorno al
1730 il tratto si fa piú incisivo e vibrante, come mostrano i
numerosi schizzi per gli affreschi milanesi o di Villa Loschi-Zilieri, finendo per diventare un arabesco vaporoso negli
studi per le Storie di Cleopatra. Piú tormentati e ricchi di
ombre appaiono i disegni del periodo tedesco, mentre in
quelli della fase successiva (schizzi preparatori per Villa Valmarana)
riappare una straordinaria limpidezza, la scrittura
si fa «a unghiate», e i personaggi s’impongono con maestosa
gravità.
Il decennio 1740-50 è comunque il periodo piú
fecondo per l’attività grafica di T. A questi anni risalgono
disegni di cani e di paesaggi che dimostrano la varietà degli
interessi dell’artista, mentre le Caricature e la serie dei Pulcinella
(Milano, Castello Sforzesco; Trieste, mc) riflettono
una straordinaria fantasia e, nel contempo, una acuta vena
satirica e caustica, nella quale si può scorgere una sorta di
controparte della pittura ufficiale ed elogiativa delle grandi
decorazioni su commissione.