5/12/2020

Graffito

Il termine, che deriva da ‘sgraffiato’, designa una decorazione murale monocroma o policroma la cui tecnica si avvicina a quella dell’affresco. La tecnica del g consiste nell’applicare su fondo di malta impregnata di colori resistenti alla calce uno strato di imprimitura o di malta a grana fine di circa 2 cm di spessore, e nell’inciderlo e grattarlo secondo un preciso disegno, cosí da rimettere in luce la malta colorata di partenza. Per tale operazione s’impiegano ceselli e svariati raschietti. Il g policromo comprende diversi strati di imprimiture a colori diversi.


Come nella tecnica dell’affresco, il lavoro va eseguito quando la malta è umida, in un’unica seduta. Il procedimento d’incisione spiega perché i primi g fossero essenzialmente lineari. Attualmente è possibile mettere a nudo intere superfici. I primi g risalgono al XIII sec., benché il procedimento del gesso inciso non fosse sconosciuto agli artigiani già in epoca precedente. Durante il Rinascimento, il g è stato usato in concorrenza con l’affresco (Italia centrale e settentrionale, Austria, Boemia) ed impiegato particolarmente nelle facciate (a Roma erano specializzati in facciate graffite e dipinte Polidoro da Caravaggio e Maturino); in seguito ha incontrato minor favore ed è stato rimesso in auge solo nel XIX e XX sec.