Il termine, che deriva da ‘sgraffiato’, designa una decorazione murale monocroma
o policroma la cui tecnica si avvicina a quella dell’affresco. La tecnica del g
consiste nell’applicare su fondo di malta impregnata di colori resistenti alla
calce uno strato di imprimitura o di malta a grana fine di circa 2 cm di
spessore, e nell’inciderlo e grattarlo secondo un preciso disegno, cosí da
rimettere in luce la malta colorata di partenza. Per tale operazione s’impiegano
ceselli e svariati raschietti. Il g policromo comprende diversi strati di
imprimiture a colori diversi.
Come nella tecnica dell’affresco, il lavoro va eseguito quando la malta è umida,
in un’unica seduta. Il procedimento d’incisione spiega perché i primi g fossero
essenzialmente lineari. Attualmente è possibile mettere a nudo intere superfici.
I primi g risalgono al XIII sec., benché il procedimento del gesso inciso non
fosse sconosciuto agli artigiani già in epoca precedente. Durante il
Rinascimento, il g è stato usato in concorrenza con l’affresco (Italia centrale
e settentrionale, Austria, Boemia) ed impiegato particolarmente nelle facciate
(a Roma erano specializzati in facciate graffite e dipinte Polidoro da
Caravaggio e Maturino); in seguito ha incontrato minor favore ed è stato rimesso
in auge solo nel XIX e XX sec.