Il libro, il cui vero titolo è Uscita alla luce, comprende 165 capitoli e
numerose illustrazioni. La versione nota più antica risale al Medio Regno, ma il
costume di deporne un esemplare accanto al defunto e, all’occorrenza, di
copiarne passi sulle pareti della tomba risale al Nuovo Regno. In epoca
ramesside, sulle pareti delle tombe ne vengono riprodotte le illustrazioni: in
particolare ciò si verifica a Dair al-Mad¥nah e nell’ipogeo della regina
Nefertiti.
Semplificando oltremodo, il contenuto del Ldm si potrebbe riassumere così: il
defunto, seguendo il Sole calante, penetra anch’egli nell’Occidente, che è nel
contempo mondo infernale e soggiorno dei beati. Col soccorso degli dèi e
recitando le opportune formule, dovrà vincere i peggiori ostacoli, rappresentati
come serpenti che vomitano fuoco dinanzi alle dodici porte della notte. Dovrà
attaccarli a colpi di coltello per poter raggiungere i campi di Ialu, paradiso
di Osiride. Là riceverà terreni che dovrà arare egli stesso, a meno che, per
sfuggire a simili fatiche, egli non abbia fatto ricorso allo stratagemma delle
365 ushebtis, figurine deposte nella tomba e incaricate, ciascuna un giorno
all’anno, di sostituirlo
nell’eseguire i compiti richiesti dagli dèi. Prima, però, dovrà superare
un’importante prova: il giudizio di Osiride. Il dio dei morti siede attorniato
da quarantadue assistenti, avendo a fianco le dee Iside e Nefti. Il defunto
viene introdotto dalle divinità Thoth e Anubis. Sui piatti della bilancia, il
suo cuore viene pesato insieme a un simbolo di Maat, dea della Verità-Giustizia.
Enumerando i peccati che non ha commesso, egli sfuggirà alla Divoratrice degli
Inferi, mostro metà coccodrillo e metà ippopotamo; verrà proclamato «dalla voce
giusta» e verrà condotto presso Osiride, per divenire egli stesso un Osiride
destinato alla resurrezione. Il desiderio che l’estinto nutre di riposare nei
campi celesti e di godervi degli
stessi piaceri che si godono in terra, di estinguere la fame e la sete e di
essere, come gli dèi, immortale e incorruttibile, spiega l’importanza tutta
particolare assegnata dagli Egizi al capitolo XVII del Ldm, le cui illustrazioni,
spesso riprodotte sui papiri e nelle tombe ramessidi, mostrano il defunto che
gioca a scacchi con la moglie mentre la sua anima, uccello a testa umana, veglia
sulla tomba. Si vedono inoltre due leoni (Ieri e Domani), seduti dorso contro
dorso, che sostengono l’orizzonte, e un disco solare che sorge da una vallata,
il tutto sormontato dalla volta celeste. Compare poi la grande Fenice, guardiana
del Libro di ciò che è e di ciò che sarà. Segue una rappresentazione della
mummia nel suo catafalco, vegliata da due falconi (che sostituiscono le dee
Iside e Nefti) e dall’anima che talvolta si libra in alto: è Osiride, dicono i
testi, è il suo cadavere; ciò che è e ciò che sarà sono il suo corpo; sono
l’eternità e l’infinito, il giorno e la notte.
In breve, il Ldm esprime la speranza nella vita eterna, il che ne giustifica
l’importanza nell’iconografia funeraria egizia.