5/13/2020

Rococò

Storia del nome


Il termine r prende origine dalla parola francese rocaille, che riassume etimologicamente le immagini della roccia, della concrezione calcarea, della conchiglia e della chiocciola, e indica un tipo di apparato decorativo per grotta, giardini, fontane, basato appunto sul motivo della conchiglia e su altri affini. Poiché dal periodo della Reggenza di Filippo d’Orléans (1715-23), per tutto il regno di Luigi XV (1725-50) e oltre, tale elemento decorativo fu utilizzato in modo estensivo nell’architettura e nelle arti figurative e applicate, in Francia e fuori, il suo nome passò a connotare lo stile complessivo di quell’epoca, ma venne modificato nella terminazione, probabilmente perché assonasse con il termine barocco.


Il termine rocaille si trova usato per la prima volta nel 1736 nell’opera di Jean Mondón fils, Premier livre de Forme Rocquaille et Cartel..., dove sta appunto a indicare il cosiddetto travail de rocaille o de coquille, applicato a fontane e grotte a scopo decorativo e illusionistico. Torna poi nelle raccolte a stampa di elementi ornamentali ormai alla moda e, dalla metà del secolo, la usano in senso dispregiativo i fautori del neoclassicismo, che si scagliano contro le forme «innaturali» che contrastano «ogni regola di verosimiglianza» (Reiffenstein), «i cartocci e le nostre predilette conchiglie» (Winckelmann), «il rabescame» e gli scartocci (Giovanni Bottari). La storia della forme rocaille, dalle origini nelle grottesche fino alle sue declinazioni in chiave r è tracciata da Hermann Bauer (Rocaille, Berlin 1962).

Per quanto riguarda il r è lo storico Fiske Kimball (The Creation of the Rococo, New York 1964 a ricostruire il cammino del termine e del concetto su cui esso insiste, cioè lo stile dominante nella prima metà del sec. XVIII. Dagli accenni degli scrittori settecenteschi a un gout moderne o a un gout du siècle non ancora connotato, e dalla frase con cui lo stesso Blondel sigla il regno di Luigi XV come «siècle... des Rocailles», si arriva alla definizione ufficiale del supplemento del Dictionnaire de l’Académie Français (1842): «Rococo se dittrivialement du genre d’ornament, de style et de dessin qui appartient à l’école du regne de Louis XV et du commencement de Louis XVI. [...] Il se dit en général de tout ce qui est vieux et hors de mode dans les arts, la littérature, les manières». Tale definizione, che oltre ad essere una delimitazione storica porta in sé un giudizio negativo, è ripresa da M.-E.-J. Delécluze, il quale afferma che queste espressioni «Pompadour, rococo, à peu pres admises aujourd’hui dans la conversation pour désigner le gout à la mode pendant le règne de Louis XV, ont été employées pour la première foi par Maurice Quai en 1796-97».

Sul versante letterario il termine fa la sua comparsa nelle Promenades dans Rome (1828, I, 244) di Stendhal, a indicare il «cattivo gusto» che ha preso le mosse da Bernini, e Victor Hugo lo utilizza come aggettivo a proposito dell’architettura di Nancy (1839). I fratelli Goncourt (Les maitresses de Louis XV, 1860) insistono sul ruolo della Pompadour nella creazione di questo gusto: «une patronne de luxe et de la rocaille... la marraine et la reine du Rococo», mentre Jakob Burckhardt utilizza il termine come una categoria estetica generale, che si dà ogni qualvolta «il significato proprio delle forme viene dimenticato, mentre le forme stesse proseguono per amore dell’effetto e dunque sono usate in modo equivoco. Pertanto esiste un r romano, gotico, e via dicendo».

È solo dalla fine dell’Ottocento che il termine r comincia ad essere usato come una definizione storico-artistica; fa la sua comparsa nei dizionari e negli studi specialistici (dapprima in area tedesca: C. Gurlitt, A. Schmarsow); si libera delle connotazioni limitative o dispregiative legate al perdurare del gusto neoclassico, per assumere, al pari di altre definizioni storiche complessive, un carattere di neutralità quanto al giudizio di valore, e di complessità quanto ai limiti cronologici, alle fonti e alla diffusione, ai significati.

Origine e periodizzazione

Per origine e natura, il r è un fenomeno puramente francese, che solitamente viene suddiviso in tre fasi, o stili, le cui delimitazioni cronologiche non sono da intendere in maniera stretta: 1) lo stile Reggenza (Régence), che corrisponde al periodo in cui morto Luigi direzione e succedutogli in età minorile il pronipote Luigi XV, la reggenza fu tenuta dal duca Filippo d’Orléans (1715-23), che trasferì la corte da Versailles a Parigi; 2) lo stile r o rocaille in senso proprio, identificato con il regno di Luigi XV (1725-50), col nome del quale viene anche designato; 3) il primo stile Luigi XVI, o stile Pompadour, che accompagna il passaggio alla seconda metà del secolo, durante la quale il gusto r si consuma incalzato da un nuovo ritorno al classico. Poiché i mutamenti stilistici e di gusto che permettono di distinguere il nuovo linguaggio dal barocco che lo precede si rivelano in opere realizzate prima dell’inizio della Reggenza, negli ultimi anni del regno di Luigi direzione, l’origine temporale del r va collocata indietro, intorno all’anno 1700. Inoltre, intorno agli anni Trenta del Settecento si afferma un linguaggio r internazionale, diffuso attraverso le raccolte di elementi ornamentali riprodotti in incisione, la chiamata di artisti e artigiani all’estero, la circolazione di oggetti decorativi; in alcune città italiane, da Torino a Napoli, da Venezia a Palermo prendono forma linguaggi locali affini al r e infine si sviluppa nella Germania meridionale un r «religioso», che H. Sedlmayr definisce (in analogia con il fenomeno del Sondergotik) Sonderrokoko, cioè r particolare tipico dell’area tedesca. Esistono dunque numerose e a volte sostanzialmente diverse declinazioni di questo gusto, di cui è comunque possibile rintracciare la fisionomia essenziale, a partire dall’epicentro francese.

I caratteri stilistici, i protagonisti, le opere

Negli ultimi anni del regno di Luigi direzione, tra il 1680 e il 1715, all’interno dell’Accademia e della stessa corte, l’atteggiamento verso l’arte e il sistema di immagini muta. Intanto, la preferenza fino ad allora accordata a Poussin, maestro della misura e del disegno, passa a Rubens, maestro del colore e della licenza. Comincia poi ad avvertirsi la necessità di modificare la decorazione degli interni delle residenze e dei castelli, anche solo di alcune stanze negli appartamenti privati. Il repertorio ornamentale, la scansione delle masse, l’arredo di tradizione barocca non soddisfano piú neppure l’anziano Re Sole che, nel 1699, respinge il piano decorativo per gli appartamenti della duchessa di Borgogna nello château de la Ménagerie. Le previste figure di Diana, Minerva, Giunone, gli sembrano «troppo serie», mentre egli vorrebbe «de la jeunesse mêlée dans ce que l’on fera», «de l’enfance répandue partout». Nello stesso tempo, nell’opera di Jean Berain, Dessinateur de la Chambre et du Cabinet du Roi, virtuoso dell’arabesco, inizia quel mutamento degli stilemi ornamentali che dalla grottesca tradizionale porta all’elaborazione della forma rocaille in senso proprio, forma che, da allora e per un cinquantennio, troverà applicazione nell’organizzazione delle pareti, nelle cornici e nelle membrature, nel profilo dei mobili e delle suppellettili, per scandire anche la composizione dei dipinti e l’impostazione della plastica. Nei fogli d’ornamenti da Berain in poi, le linee non tendono a organizzare uno spazio tridimensionale, ma si dispiegano sulla superficie secondo la logica della forma libera, che è oggetto a se stessa. Diverse scale dimensionali convivono (ciò che soprattutto sarà oggetto delle critiche neoclassiche), provocando una compenetrazione antigerarchica tra elementi rappresentativi e decorativi e una commissione di natura e misure diverse, che si ritrova anche nel gusto letterario, da Gulliver’s Travels di Swift (1726), a Micromegas di Voltaire (1752).

Nelle cornici le linee diritte e gli angoli retti sono sostituiti dalla curva a C e a S e dalle volute intrecciate, tra le quali comincia a inserirsi l’immagine della conchiglia, già in precedenza usata nei cartocci di Stefano della Bella. Regina dell’iconografia r, la conchiglia è presentata talvolta come oggetto, protagonista di un’allegoria acquatica, talaltra come elemento astratto, pura linea che si incurva generando altre linee. Come il giardino, la conchiglia è emblematica in quest’epoca per essere un fenomeno di confine e di interazione tra la natura e l’arte, fino a divenire oggetto di un collezionismo e di un culto che sfiora l’ossessione, come nel caso del signor Mussard, il compatriota di J.-J. Rousseau convinto che «l’universo non d’altro fosse fatto se non di conchiglie» (Confessioni, VIII).

Il maggior esponente di questa fase è Pierre Lepautre (1648 ca. - 1716), «the father of the rococo» (Kimball), disegnatore delle Fabbriche del re dal 1699, incisore di disegni di Berain, inventore di impianti e dettagli ornamentali per interno che rivelano, rispetto a quanto fino allora realizzato, un grado piú elevato di libertà inventiva.

I primi interni realizzati nel nuovo gusto, con inserimento in ambienti già esistenti di pannelli dipinti, specchi, cornici dal profilo arcuato, si trovano nel castello di Meudon, nell’appartamento reale a Marly (disegni di Lepautre) nell’appartamento del re a Versailles (1701) e al Trianon (1702-703). Da questi primi esempi, che riscuotono notevole successo, lo stile si diffonde negli hotel parigini di nobili, finanzieri, ministri, che cominciano a risiedere nel Faubourg Saint-Germain e nel Faubourg Saint-Honoré, e trova applicazione finanche all’interno di Notre-Dame, nella Cattedrale di Orléans (coro), nella chapelle di Versailles. Oltre a Lepautre, lavorano in quest’epoca François-Antoine Vassé (1681-1736), che al pari di Berain e Lepautre non è mai stato in Italia, e Claude III Audran (1658-1734), attivo a Meudon e negli appartamenti della duchessa di Borgogna nello château de la Ménagerie, stimato al suo tempo come uno dei migliori disegnatori di grottesche e arabeschi, richiesto fino in Svezia e al cui fianco opera, intorno al 1700 il giovane Antoine Watteau.

Altre personalità da rammentare sono Robert de Cotte (1656-1735) (Hotel de Toulouse), attivo in area tedesca, Jean-Baptiste Alexandre Le Blond (1679-1719), in Russia dal 1716 e attivo nella decorazione dell’Hotel de Vendome; Jean-Sylvian Cartaud, autore della casa parigina di Pierre Crozat (1704) e del castello di Montmorency; Pierre Alexis Delamair (1676-1745) attivo nei lavori all’Hotel de Soubise, proseguiti da Gabriel-Germain Boffrand (1667-1751), presente a Wurzburg nel 1724. Negli interventi di questi autori «l’arte barocca con la sua energia plastica e spaziale è sostituita da qualcosa di completamente diverso, il r, fluida organizzazione di linee e superfici» (Kimball).

Dai disegni e dalle incisioni, dai quadri, dagli edifici che non siano stati distrutti o rimaneggiati, emergono i maggiori tratti stilistici. Ordini e colonne scompaiono dall’apparato ornamentale all’esterno e all’interno: le pareti si coprono di pannelli di specchi, di boiseries e di lambris, rivestimenti di legno scanditi da riquadri in cui sono unitariamente inseriti infissi, cornici, camini; i soffitti sono prevalentemente piatti con decorazioni lievi, in cui si fa uso di tonalità pallide e neutre. Dovunque, alla plasticità barocca sono preferiti valori di superficie: una linea sinuosa avvolge ogni elemento confondendo architettura e arredo, struttura e sovrastrutture, meritando al r l’accusa di stile antitettonico e antivitruviano. Anche nelle composizioni pittoriche e nella scultura predomina la sinuosità, «un’eleganza dalla forma per cosí dire vaga, ondeggiante e simile alla fiamma» (Antoine Coypel, 1700), concetto che si ritrova nell’Analisi della bellezza (1753) di Hogarth, contributo inglese dai principi stilistici (anche se non etici) del r. È con la reggenza che lo «stile nuovo», sentito come piú moderno e piacevole, si consolida, grazie anche al trasferimento della corte da Versailles a Parigi che comporta la necessità per principi e cortigiani di risiedere nella metropoli, adeguare le case a nuove forme di frequentazione sociale, che vedono il loro centro nel salotto e i loro valori nei principî del decoro, della convenienza, dell’intimità. Intorno a Filippo d’Orléans, conoscitore e collezionista, ruotano artisti come Jean Baptiste Pater (1695-1736) e Jean Marc Nattier (1685-1766), ritrattisti. Claude Gillot (1673-1722), disegnatore d’arabeschi e pittore di soggetti ispirati al teatro italiano.

La maggiore personalità pittorica è quella di Antoine Watteau (1684-1721). Celebrato da Proust (Portraits de peintres et de musiciens), fu autore di decorazioni per boiseries e si distinse soprattutto nel genere delle fêtes galantes, composizioni ambientate nello scenario di parchi, dove comparse aristo-cratiche rendono omaggio a Venere (L’imbarco [o la partenza da] Citerà, 1717-18), e all’Arcadia, si intrattengono in giochi e spettacoll teatrali (Feste veneziane), o si incontrano nelle botteghe di mercanti d’arte (L’insegna di Gersaint, 1720).

Gilles-Marie Oppenord (Oppendordt) (1672-1742) è in questo periodo «premier architecte du duc d’Orléans». A lui si deve parte della trasformazione interna del Palais Royal, residenza del reggente, arricchito del grande Salon d’Angle (1719-20), di camerini per quadri e di spartiti decorativi nel nuovo gusto che Oppenord deriva anche dagli studi, compiuti in Italia, del manierismo e di Borromini. Da rammentare anche il salone dell’Hotel d’Assy (1719).

Ancora lavorano De Cotte (Hotel de Bourval-lais, la sua abitazione al Quai d’Orsay, il Buen Retiro a Bonn) e il decoratore Vassé (galleria dell’Hotel de Toulouse, celebre per i lambris «d’un nouveau dessin», e altare della Vergine nel transetto meridionale di Notre-Dame), e Bernard Toro (1672-1731). Tra le commissioni di questo periodo: le scuderie di Chantilly, il Palais Bourbon, l’Hôtel de Noirmoutier di Jean Courtonne (1671-1739). Mentre nell’estetica, con Shaftesbury e con l’abate Dubos (Reflections critique sur la poésie et la peinture, 1719) si sottrae l’operare artistico al dominio delle regole esterne per assegnarlo alla sfera del sensibile, del gusto «privato», lo stile r si diffonde negli oggetti d’arredo, negli argenti, nelle porcellane, nelle stoffe, nei mobili. È in questo periodo che la tipologia del mobilio si diversifica e arricchisce: canapè, sopha, bergère e duchesse (tipi di poltrona), commode (cassettone), vengono realizzati con legni pregiati, a volte esotici e decorati da ebanisti di fama europea come Charles Cressent (1685-1768).

Negli anni Trenta lo stile reggenza cede il passo allo stile rocaille e si afferma nella decorazione il genre pittoresque, caratterizzato da una spiccata asimmetria (in rapporto anche con la grande diffusione della porcellana orientale), e da una tensione fra i gradi di realtà rappresentati («una gamba di sedano a grandezza naturale» accanto a «una lepre grande come un dito», secondo la lamentela di Charles-Nicolas Cochin). L’ornamentazione rocaille assume la riconoscibile struttura micromegallica (Bauer). Gli oggetti tendono a sembrare
microarchitetture, cosí come le architetture appaiono come macrosculture.

Pressoché ferme le commissioni reali, l’attività degli artisti è presa dai privati e dalle loro residenze, a cui viene dedicata sempre maggiore attenzione. È questo il periodo in cui si moltiplicano i casini di campagna e, negli interni, i boudoir, stanze per lo piú adiacenti alla camera da letto, sapientemente arredate di specchi, lambris, finte grotte, puttini e statue di Eros. Furono veri e propri protagonisti di tanta letteratura settecentesca, da Diderot e Jean François de Bastide a Vivant Denon, in cui si legge il nesso tra le strategie della seduzione e il fascino della dimora («Quel che desideravo non era piú M. de T. [...], era il boudoir» Denon, Senza domani). Secondo J. Fleming e H. Honour, lo stile Luigi XV «riflette in qualche misura il peso crescente esercitato nella vita sociale dalle donne, il gusto per stanze piú piccole e piú intime, per l’informalità e la spontaneità nei rapporti interpersonali».

Uno dei maggiori interpreti del genre pittoresque Juste-Aurèle Meissonier (1695-1750), originario di Torino e successore di Berain nel ruolo di disegnatore reale. La sua opera, documentata da incisioni e disegni (Livre des Ornemenens, Livre des Légumes) rivela il progressivo prevalere del principio d’asimmetria e comprende progetti d’architettura (facciata della chiesa di Saint-Sulpice, 1726), arredi d’interni (Cabinet de Mr. Bielenski, 1734), fontane e innumerevoli oggetti d’arredo e d’oreficeria. Accanto a Meissonnier opera Nicolas Pineau (1684-1745), architetto e scultore, in Russia fino al 1727 e poi attivo a Parigi (Hotel de Roquelaure, Salon Rouge, 1733, Hotel de Mazarin, di cui Blondel dirà che «la simmetria vi è bandita»).

Diffusori del gusto rocaille, attraverso i Livres de cartouche, i disegni per sovraporte e prospettive illusionistiche, le cineserie, sono: Jacques de la Joue (1686-1761), Jean Mondón fils, François de Cuvilliés (1695-1768), autore del padiglione di Amalienburg nel parco del castello di Nymphenburg presso Monaco, mentre Gabriel-Germain Boffrand (1667-1754) realizza i saloni ovali dell’Hotel de Soubise (1735-1736), alla cui decorazione pittorica partecipano Charles-Joseph Natoire (Storie di Psiche) e François Boucher (1703-70). Boucher è l’interprete maggiore, nella pittura, di questa fase del gusto r: con lui si compie il completo mutamento nell’olimpo della decorazione. Venere e i suoi attributi, Pan e il mondo d’Arcadia sostituiscono le divinità maggiori del barocco. Ritrattista della Pompadour, Boucher fu anche direttore della manifattura di Gobelins e forni modelli per la manifattura di Sèvres, diffondendo cosí negli arazzi e nelle porcellane quei soggetti erotici, schermati dalla mitologia o colti nell’intimità del boudoir, che costituiscono una parte notevole dell’iconografia del r.

In questa fase ha grande fortuna la tecnica del pastello (Francia e Venezia); tra i materiali decorativi si affermano lo stucco, la lacca e la porcellana. Scoperta in Cina attorno al sec. IX, la sua composizione (caolino, feldspato e quarzo) venne riscoperta in Germania al principio del Settecento, dando il via alla produzione autonoma di oggetti fino ad allora importati dall’Oriente. Nelle manifatture di Meissen, Nymphenburg, Vienna, Sèvres, Capodimonte, Chelsea si misero a punto tecniche di cottura e colorazione via via piú raffinate, applicate a servizi da tavola e trofei di fiori, putti e statuine, come quelle realizzate a Nymphenburg da Franz Anton Bustelli (1723-63), ispirate ai personaggi della commedia dell’arte e destinate ad arricchire i Cabinets de Porcelaine. Alla metà del secolo la moda rocaille è talmente diffusa che Boffrand afferma non poter durare ancora a lungo (Livre d’architecture, 1745).

Proprio negli anni dell’ascesa della Pompadour (dal 1745 al 1764), si colgono i primi segnali di saturazione, almeno rispetto ad alcuni eccessi decorativi del gusto rocaille. Tra le committenze della Pompadour vanno ricordati il castello di Crécy (di Jean Cailleton detto Lassurance II), il castello di Champs en Brie (con decorazioni di gusto cinese di Christoph Huet), gli ermitages di Versailles, Compiègne, Fontainbleau, in cui il linguaggio r diventa piú sobrio.

Premier architecte du roi è in questa fase Jacques-Ange Gabriel (1698-1782), che accoglie, nel Petit Trianon (1762-68), le forme del palladianesimo inglese. Mentre il gusto e il pensiero estetico si muovono verso una riforma formale che porterà al neoclassicismo (Caylus, Leblanc, Manette, Cochin), pur con le contaminazioni e le contiguità illustrate da R. Rosenblum (Trasformazioni nell’arte, 1967-84) si afferma la pittura di Jean-Honoré Fragonard (1732-1806). La matrice r di quest’artista si svela nell’iconografia (La chemise enlevée, La mosca cieca, L’amante incoronato) che riprende le scene nei parchi, le conversazioni amorose, l’idillio rustico, e nel segno che si avvolge e arriccia in volute dai toni delicati. Nei viaggi in Olanda e in Italia (dove accompagnò l’abate di Saint-Non fornendo, insieme ad Hubert Robert, le vedute poi incise nel Voyage pittoresque, 1787) Fragonard si dedicò al paesaggio, con schizzi rapidi, talvolta incompiuti, che sono anch’essi uno specchio del r, cogliendo «l’attimo, l’occasione, il caso» dell’esperienza e del visibile.

Diffusione del rococò

Alcuni aspetti del linguaggio r si diffondono nelle corti europee sotto forma di casini di delizie (detti bagatelles, sans-soucis, ermitages, monrepos), di gallerie di specchi e altri interventi decorativi all’interno di residenze reali che, per il resto, seguono un modello tardobarocco, e ancora di porcellane e arazzi, stucchi, argenti e mobili i cui autori sono talvolta di provenienza francese. Tra le gallerie o sale o gabinetti degli specchi vanno ricordati quelli a Pommersfelden, nel salone dell’Amalienburg a Nymphenburg (Cuvilliés e J. B. Zimmermann), nella residenza di Wurzburg e nel Palazzo Reale di Portici (ora a Capodimonte). In generale si applica il termine r fuori di Francia nei casi in cui l’architettura venga considerata un oggetto ornamentale, o vengano usati con evidenza dei motivi rocaille anche in contesti precedenti o ancora l’iconografia insista sui temi della festa, della seduzione, dello spettacolo, o infine nello stile si riveli una tendenza al sinuoso e all’acuto, all’asimmetrico.

Da questo punto di vista, ogni nazione in qualche misura ha aderito al gusto r, modificando l’arredo degli interni con inserzioni «alla China» o «alla francese» o sviluppando un proprio allontanamento delle forme barocche. L’Inghilterra, estranea al gusto francese e forte della tradizione palladiana, ha sviluppato però nel Settecento una concezione scenografica dell’architettura inserita come oggetto o fondale nel disegno del giardino (Blenheim Palace presso Oxford), nonché un apparato ornamentale neogotico che tende all’intreccio, alla metamorfosi, al bizzarro. L’estetica inglese ha inoltre rafforzato i principî di individualità, di sensibilità e sentimento che hanno allontanato il Settecento dalla tradizione barocca.

In Spagna è possibile trovare motivi ornamentali rocaille derivati dalle raccolte di incisioni e dai disegni forniti da artisti francesi per commissioni reali (Valencia, Madrid). Si deve poi a corrente locale, il churriguerismo (da José Churriguera (1665-1725) la dissoluzione della forma architettonica in pura decorazione, secondo una tendenza affine, benché autonoma, a quella del periodo rocaille. In Spagna e in Italia, entro la prima metà del secolo, lavorano artisti che aderiscono al linguaggio di un r internazionale. Tra questi, Corrado Giaquinto (1703-65), di origine pugliese e formazione napoletana, fu attivo a Roma, Torino e Madrid. Lo stesso Goya, nella produzione giovanile, partecipa e supera il mondo iconografico del r. Varianti del r vengono elaborate nell’Italia meridionale, a Bagheria presso Palermo (Villa Palagonia, 1715; Villa Valguarnera, 1721, con piante che rasentano il capriccio architettonico). A Genova e a Torino, dove la corte dei Savoia operò da punto di incontro di artisti e artigiani francesi e piemontesi, ornatisti, stuccatori, argentieri, ebanisti (Pietro Piffetti) lavorarono negli interni i due maggiori architetti dell’epoca, Filippo Juvara (Palazzina di Stupinigi, Palazzo Reale) e Benedetto Alfieri (Teatro Regio), partecipi dello spirito r per l’impostazione scenografica di alcune opere, gli accenti francesi e la cura della decorazione unitaria degli interni. Sempre alla corte sabauda lavorò, proveniente da Napoli, Francesco de Mura il quale, formatosi alla scuola di Solimena, trattò temi aulici e arcadici con toni lievi e aggraziati. A Venezia si parla un linguaggio propriamente r nel mobilio (famiglia Remondini di Bassano), nella produzione di specchi e gondole, nelle vedute e nei capricci, nei pastelli, nei soggetti pittorici di Pietro e Alessandro Longhi, Francesco Guardi e Giandomenico Tiepolo. E finanche a Roma nella sistemazione scenografica della piazzetta di Sant’Ignazio di Raguzzini è possibile riscontrare un’adesione alla tendenza.

In area tedesca si assiste a una particolare declinazione di forme e temi r, dall’inserimento di balaustre e motivi rocaille nello scalone della residenza di Wurzburg, al fiorire di padiglioni e sans-soucis, come quello di Potsdam (1745-1747) progettato dallo stesso Federico il Grande, estimatore di Watteau; dalla soluzione di Poppelmann per lo Zwinger di Dresda alla produzione scultorea in legno e stucco. La peculiarità della situazione tedesca risiede però soprattutto nel fatto che la forma rocaille e certi principî compositivi r trovarono applicazione nell’arte religiosa, ben lontana dai boudoir e dai casini di diporto francesi. I maggiori protagonisti furono gli architetti Cosmas Damián e Egid Quirin Asam, che concepirono chiese come teatri sacri; Johann Baptist e Dominikus Zimmermann, attivi in Baviera, autori della chiesa del Pellegrinaggio a Wies (1745-57) (con un pulpito rocaille) in cui è attuata un sintesi totale tra struttura e apparati decorativi: Balthasar Neumann, l’architetto dello scalone di Wurzburg e del Santuario dei Vierzehnheiligen (dei Quattordici Santi) (1743). Nella chiesa si trova l’altare della Grazia di Johann Michael Feichtmayr e Johann Georg Ubelherr su progetto di Jakob Michael Küchel (1764), un paradigma dell’arte rocaille: del tutto privo di ogni tradizionale elemento architettonico, si sviluppa esclusivamente sui motivi di curve, volute, conchiglie su cui si inseriscono statuine, dorature e stucchi. «Barocco fiammeggiante e miniaturizzato», dice Starobinki, il r è esempio di un’arte in cui «la rarefazione semantica dei valori significati si unisce alla dilatazione elegante, ingegnosa, facile e sorridente delle forme nelle quali il barocco del Seicento aveva voluto, con gesto teatrale, inscrivere l’autorità» (La scoperta della libertà, 1964).