5/13/2020

Sandro Botticelli (Alessandro Filipepi, detto) (Firenze 1445-1510).

Scolaro dal 1464 ca. di Filippo Lippi, svolse la sua attività quasi sempre a Firenze, salvo una breve parentesi romana tra il 1481 e il 1482 per dipingere nella Cappella Sistina le Storie di Mosè insieme ai maestri piú famosi del tempo. Fu in stretto rapporto con l’ambiente mediceo: nel 1475 dipinse uno stendardo per la giostra di Giuliano dei Medici (da lui raffigurato in diversi ritratti) cantata dal Poliziano e dopo la congiura dei Pazzi (1478) dipinse le effigi dei congiurati impiccati.


Nell’Adorazione dei Magi (1475: Firenze, Uffizi) tutti i Medici e la loro cerchia prestarono i loro lineamenti al corteo sacro; per Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici eseguí i suoi quadri profani piú famosi, la Primavera e la Nascita di Venere (entrambi a Firenze, Uffizi) ed i disegni per la Divina Commedia. Gli avvenimenti che sconvolsero Firenze alla fine del xv sec. dovettero turbarlo profondamente: con la morte di Lorenzo il Magnifico (1492) e la cacciata di suo figlio Piero (1494) crollava quel mondo che l’aveva accolto e onorato come suo maestro prediletto, mentre si apriva in lui quella profonda crisi spirituale in seguito alla predicazione e alla morte del Savonarola (1498). Sandro viveva allora in casa del fratello Simone, uno dei piú fervidi seguaci del frate domenicano, e la predicazione del Savonarola contro la licenza e la corruzione del tempo, i «bruciamenti delle vanità» sulle piazze fiorentine dovettero insinuare nell’animo ipersensibile del maestro dubbi e scrupoli sulla sua attività passata: dalla fine del Quattrocento fino alla sua morte B accoglie ancora nei suoi dipinti la storia e il mito classico, ma solo quando questi si facciano portatori di messaggi morali, come nel caso della Calunnia (oggi a Firenze, Uffizi) e delle storie «virtuose» di Lucrezia e di Virginia (ora rispettivamente a Boston, Gardner Museum, e a Bergamo, Carrara).

Nei quadri sacri dei suoi ultimi anni si esasperano e si accavallano le illusioni moraleggianti, come nella drammatica Natività mistica (1500: Londra, ng) con la scritta oscura e sibillina sui «torbidi» d’Italia e sulla punizione imminente, oppure nella Crocifissione di Cambridge Mass. di un’intreccio allegorico quasi dantesco (l’angelo che percuote una volpe, il lupo che sfugge dalle vesti della Maddalena), sullo sfondo di Firenze immersa in una cupa atmosfera di temporale.

L’esordio del B avviene dunque sotto l’influsso del Lippi e al tempo in cui avevano iniziato la loro attività anche il Verrocchio (presso cui si trasferí dopo la partenza del Lippi per Orvieto nel 1467) e il Pollaiolo. Di tutte queste esperienze il B si ricorda nelle sue prime opere: le numerose Madonne col Bambino (Firenze, Uffizi; Parigi, Louvre; Londra, ng), sono impostate sulla falsariga del Lippi di cui hanno portato talvolta il nome, il San Sebastiano di Berlino (1474 ca.) parte dal dipinto omonimo del Castagno ed è affine a quello del Pollaiolo. Tuttavia la linea del B è profondamente diversa da quella del maestro e dei suoi contemporanei: il segno marcato del Lippi si fa nitido e sottile, la tensione dei corpi del Verrocchio e del Pollaiolo si addolcisce di colpo; si veda ad esempio la Fortezza (ora a Firenze, Uffizi), dipinta nel 1470 per completare una serie di Virtú di Piero del Pollaiolo, o il San Sebastiano di Berlino dove si ammorbidisce in un’intonazione quasi elegiaca la linea tesa e a volte esasperata dei contemporanei. Anche nelle Storie di Giuditta (ora a Firenze, Uffizi) la crudele e virile eroina biblica si è trasformata in una figura malinconica avvolta in vesti fluttuanti che assecondano il ritmo falcato della figura e il momento culminante del dramma è stato eluso dal B che preferisce rappresentare la scoperta del cadavere decapitato di Oloferne.

Fra il 1477 e il 1480-82 va collocata la Primavera, dipinta per la villa medicea di Castello. Lo spunto fu dato al B da alcune terzine per le Stanze per la Giostra del Poliziano e l’interpretazione del pittore rappresenta una delle piú straordinarie evocazioni del mito antico. La posizione del B di fronte al mondo classico è profondamente diversa da quella dei «padri» del Rinascimento mezzo secolo prima, che affermavano la presenza di un’umanità nuova in un mondo prospettico e armonioso di cui investigavano appassionatamente le leggi studiando e misurando gli edifici antichi. Il mondo classico nel B è soprattutto rievocazione nostalgica, evasione: nell’Adorazione dei Magi (Firenze, Uffizi) i monumenti classici nello sfondo sono raffigurati non intatti ma nella fragile, romantica condizione di rovine.

Negli affreschi della Sistina (1481-82) il B pare trovarsi a disagio ché il suo temperamento piú portato a evocare o presentare una scena (come nella enumerazione dei personaggi nella Primavera legati tra loro non da un nesso dialogico ma da impercettibili ritmi lineari) sembra ostacolato dallo svolgimento di un discorso articolato e serrato. E negli affreschi sistini (Prove di Mosè, Prove di Cristo, Punizione dei ribelli) le cose migliori sono i particolari delle fanciulle con le fascine, gli intensi ritratti dei personaggi.

Tornato a Firenze dipinge le madonne piú famose, i tondi del Magnificat e la Madonna della melagrana (1487), oggi ambedue a Firenze, Uffizi. Il senso lineare del B si accentua nel ritmo circolare della composizione, nell’armonioso disporsi delle figure che assecondano in pieno l’andamento del formato. Di questo momento sono la pala di San Barnaba, l’Incoronazione di San Marco, l’Annunciazione per i monaci di Castello (allogata nel 1489), oggi tutte nelle gallerie fiorentine, dove si avverte già una linea piú acuta, una maggiore concitazione dei gesti, un accavallarsi quasi convulso del ritmo lineare come ad esempio nei panneggi dei due protagonisti dell’Annunciazione. Già la Nascita di Venere, all’incirca del 1484 come Pallade e il Centauro (Uffizi) aveva segnato il limite estremo delle possibilità espressive della linea botticelliana – si veda soprattutto l’intreccio quasi snervante della massa bionda dei capelli – oltre il quale il maestro rischiava un’involuzione, sia pure di altissimo livello, o si apriva una crisi risolutiva come in effetti vi fu con la frattura violenta della linea fluida e ritmata delle opere precedenti, col colore piú intenso e violento (Pietà di Monaco e di Milano, Natività (1501) di Londra, Storie di San Zanobi).

L’influenza del B nell’ambiente del suo tempo non fu in diretta proporzione alla qualità altissima della sua pittura. Pittore aristocratico e difficile, l’unico ad intendere in pieno il suo stile fu il giovane Filippino Lippi che del B fu allievo; per il resto la sua arte venne fraintesa da piccoli maestri fiorentini che tradussero in goffi e meccanici schemi le cadenze fluide della sua linea, l’intreccio dei suoi corpi. Sulle generazioni nate allo scorcio del Quattrocento, attratte ormai dalla «maniera nuova» che proprio a Firenze Leonardo, Michelangelo e Raffaello avevano proposto, B non ebbe alcun peso e quando morí nel 1510 era ormai un sorpassato. Era stato infatti, nel campo delle arti figurative, l’interprete singolare di quell’umanesimo aristocratico che faceva capo alla cerchia medicea, di quell’evasivo idealismo opposto all’arte borghese del Ghirlandaio e al realismo magico di Piero di Cosimo. B fu riscoperto nel tardo Ottocento dal decadentismo inglese ed ebbe tra i preraffaelliti e con l’Art Nouveau quel successo che gli era stato negato negli ultimi anni della sua vita o tra la posterità immediata.