5/12/2020

Drago

La credenza nel d è universale nel pensiero filosofico come nella superstizione popolare cinese. è un mostro mitologico estremamente diffuso sin dalla piú remota antichità, dato che già compare nei motivi dei bronzi arcaici; di solito viene rappresentato con muso bovino, corna di gazzella, corpo di serpente e artigli di fenice. Divenne simbolo di fertilità, perché si riteneva che portasse la pioggia. A questo titolo senza dubbio lo rappresentarono i primi pittori cinesi, come Cao Pu Xing nel sec. III.


Il celebre aneddoto della vita di Zhang Sengyou, che avendo disegnato le pupille degli occhi dei d che aveva dipinto sulle pareti di un tempio li vide involarsi in un fragore di tuoni e fulmini, dimostra l’evoluzione del tema, che raggiunse l’apogeo con i pittori chan del sec. XIII.

Rapido come il lampo e in atto di giocare in mezzo agli elementi scatenati, il d non poteva esser visto che da uomini il cui spirito era aperto alle manifestazioni spirituali della natura, ed appariva allora come l’incarnazione del movimento cosmico universale. La fugacità della sua apparizione simboleggiava la vivacità dell’illuminazione: come la verità, il d non si mostrava mai intero, e appena intravisto scompariva.

Cosí lo rappresentarono Teng You nel XIII sec.; la pittura piú straordinaria del genere fu senza dubbio quella dei Nove Draghi, rotolo in lunghezza a inchiostro e colori leggeri su carta, datato 1244, di Chen Rong (Boston, mfa). Gli storici contemporanei dell’arte ci dicono di questo artista che dipingeva «gettando grida», e che strofinava sulla carta il suo berretto impregnato d’inchiostro per poi, con l’aiuto del pennello, far emergere i d dal caos, dalle nuvole o dalle onde; tecnica che, in questo operare scatenato, ben corrisponde alla spontaneità ricercata dai maestri chan.