Il termine miniatura designa in primo luogo la decorazione dei codici
manoscritti. Ma viene anche impiegato – e questo può creare qualche ambiguità –
in diverso senso: se la m infatti è anzitutto il risultato del lavoro del
miniator (pittore incaricato di decorare in rosso minio le lettere iniziali e i
passi importanti di un testo), essa è passata però anche ad indicare (sotto
l’influsso del latino minus) una pittura di dimensioni estremamente ridotte.
La decorazione dei manoscritti può rientrare in diverse tipologie di solito
associate e mescolate, classificabili in tre principali categorie: le
decorazioni puramente ornamentali, le scene con figure, le iniziali. Le
composizioni ornamentali, che i manoscritti bizantini e orientali hanno saputo
sfruttare in modo eccellente, comprendono le cornici, i cartocci, i frontespizi,
la decorazione dei colofon e le decorazioni dei margini: ne fanno anche parte le
decorazioni marginali dette «à drôleries» dei manoscritti gotici, nonché le «pagine-tappeto»,
quelle pagine intere invase da intrichi di intrecci e figure geometriche cari
all’arte insulare dell’Alto Medioevo. Le scene con figure, che normalmente
illustrano il testo che accompagnano, possono avere dimensioni assai varie:
alcune possono ridursi a una semplice vignetta a fianco delle lettere maiuscole
ornate o meno) con la quale ha inizio il paragrafo commentato; altre, associate
in scenette giustapposte o sovrapposte, formano una colonnina che occupa il
margine; altre ancora coprono tutta la superficie del «foglio»; non sempre le
delimita una cornice.
Le iniziali del testo sono rubricate (vale a dire marcate di rosso), ornate a
colori vivi, dipinte o solamente arricchite da un motivo molto semplice. Nelle
lettere ornate, più elaborate, la struttura della maiuscola incornicia o
sostiene elementi ornamentali (motivi geometrici, intrecci, fogliami, animali o
personaggi). In certi casi il tracciato della lettera scompare completamente e
il suo profilo viene indicato soltanto dalle ondulazioni della decorazione, le
contorsioni degli animali e dei personaggi o le loro lotte furibonde (iniziali
sintetiche). Iniziali e lettere ornate più o meno complesse costituiscono la
decorazione per eccellenza, originale e funzionale, dei manoscritti, e formano
la parte essenziale delle illustrazioni insulari, merovinge e romaniche.
Malgrado alcune eccezioni come il Sacramentario di Drogo (Parigi, bn) del IX
sec., il loro ruolo è assai più discreto delle m carolinge e gotiche. Ma è
talvolta difficile distinguere tra la decorazione dei manoscritti e la
calligrafia: i calligrammi carolingi, ove il contorno irregolare del testo
delinea quello dell’illustrazione, i testi dei manoscritti di lusso vergati su
zone d’oro e d’argento, o tracciati in lettere d’oro e d’argento su fogli di
pergamena al naturale o porporina, interessano in pari misura la paleografia e
la storia dell’arte.
Tecniche
II supporto della m è quello del testo: papiro, carta, pergamena più o meno
fine. Il pittore collocava la decorazione negli spazi ad essa riservati dal
copista, talvolta seguendo le istruzioni del capo del laboratorio o del maestro
d’opera. La collocazione poteva risultare facilitata per l’adozione di semplici
schemi geometrici; era possibile un primo abbozzo a puntasecca. Alcuni miniatori
di mano incerta ricorrevano a un procedimento analogo allo spolvero per
riprodurre i propri modelli. La Schedula diversarum artium del monaco Theophilus
ci ha serbato memoria delle ricette impiegate dai miniatori medievali per la
preparazione di inchiostri e colori e per la loro posa; le lumeggiature in oro e
argento esigevano grande accuratezza: l’oro (o lo stagno colorato con lo
zafferano) oppure l’argento, in polvere, mescolati a colla, venivano stesi sulla
pergamena ricoperta da una preparazione ottenuta con un miscuglio di vermiglio,
cinabro e chiara d’uovo. Utilizzati nelle opere di lusso carolinge e ottomane,
queste lumeggiature dispendiose non comparvero prima dell’XI sec., negli
scriptoria romanici francesi; ma i fondi d’oro, ornati di motivi dipinti a penna,
sono frequenti nei manoscritti gotici. Le pitture opache, sorta di guazzi spessi,
sono state per solito applicate su pergamena. Tuttavia il fatto di utilizzare un
appretto (acqua e gomma vermiglio o chiara d’uovo e biacca di piombo) consentiva
di ottenere colori più ricchi, delicati e profondi; ma, poiché l’appretto
tendeva a squamarsi, queste m sono fragili e di difficile conservazione. La
ricchezza dei materiali non va sempre di pari passo con la bellezza di un
manoscritto: un certo numero di codices, e non dei minori, come il celebre
salterio di Utrecht (Leida, bibl. dell’Università), sono ornati soltanto da
disegni a inchiostro scuro, tracciati a penna sulla pergamena al naturale.
I miniatori inglesi del X e dell’XI sec. praticarono con virtuosismo l’arte del
disegno a penna, con inchiostri dai vivi colori. Altrove il disegno a penna era
solo ornato con tocchi di colori traslucidi, quasi sempre di origine vegetale,
in una gamma molto ristretta. Di fatto, la finezza della pergamena, la
composizione e la calligrafia del testo, la distribuzione degli elementi
decorativi e la loro integrazione nella pagina svolgono parimenti un ruolo
importante nell’aspetto di un manoscritto e costituiscono altrettanti criteri di
qualità e di raffinatezza. Nel XVI sec., i pittori di m operavano a guazzo su
pergamena, tesa su un cartone. Nel XVII sec. si sviluppa la tecnica dello smalto
su metallo, illustrata particolarmente dal Petitot nel medesimo secolo, e da
altri artisti svizzeri fino all’inizio del XIX sec. Nel XVIII sec. si assiste al
trionfo delle m a guazzo su avorio; quest’ultimo può essere impiegato in lamelle
assai sottili che consentono al pittore di giocare sulla sua caratteristica
traslucida, di dipingere a tergo per intensificare alcuni toni, o di applicarvi
una foglia d’argento, detta «paillon», che accentua la luminosità della
superficie. Alla fine del secolo e durante l’Ottocento si generalizza l’impiego
del velino, più morbido della pergamena, teso su un cartone o su una lastra di
lamiera; nello stesso tempo si espande la tecnica dell’acquerello, apprezzata
per gli effetti di trasparenza e le tonalità chiare che consente.
Primi esempi di illustrazioni di testi che potremmo chiamare m compaiono nel l
millennio a. C. in testi religiosi egizi, in specie Libri di Morti, scritti su
rotuli di papiro; questa pratica si diffonde poi in Medio Oriente dove m vengono
eseguite anche su rotuli di cotone. Solo con la civiltà greca, a partire dal IV
sec. a. C., entra nell’uso la pergamena: vengono illustrati testi letterari e
scientifici – botanici e astronomici –, dei quali ci sono giunti soltanto
rarissimi frammenti, e tuttavia ricostruibili in buona percentuale attraverso
copie tarde (Iliade, fine V sec.: Milano, Bibl. Ambrosiana; Virgilio Vaticano,
Virgilio Romano, V sec.: entrambi nella bv) o le testimonianze che permangono in
altre tecniche artistiche meno deperibili. Nel II sec. la trasformazione del
rotulo in codex (ovvero in libro formato da fogli separati legati insieme) e
l’impiego della pergamena o cartapecora alternativo al papiro, porta ad una vera
rivoluzione della m, che al continuum del rotulo oppone la rigida e ritmata
configurazione della sequenza delle pagine che si regge adesso su un equilibrio
molto più stretto o complesso tra testo e immagine.
La progressiva cristianizzazione dell’Occidente, a partire del IV sec., portò
anche ad una fondamentale virata iconografica: le storie bibliche diventano
protagoniste indiscusse di un’alta percentuale di codici che diffondono dovunque
le Sacre Scritture che dovevano aver ricevuto una illustrazione già presso gli
ebrei della diaspora che è probabile avessero già posseduto manoscritti
illustrati del Vecchio Testamento. L’esecuzione delle scene miniate segue da
vicino, in questa fase, lo stile della pittura: tra i testi liturgici e sacri
appartenenti al VI sec. vanno menzionati almeno l’Evangelario Greco, in
pergamena purpurea, della cattedrale di Rossano Calabro, uno dei più insigni
monumenti della m cristiana orientale insieme alla Genesi di Vienna (bn),
all’Evangelario di Sinope (Parigi, bn), alla frammentaria Genesi Cotton (Londra,
bm), all’Evangelario detto di Rabula in lingua siriaca (586) prodotto nel
monastero di San Giovanni in Zagba (Mesopotamia, oggi Bibl. Laurenziana di
Firenze), con minii a tutta pagina. Tra i testi profani – trattati di medicina,
come la raccolta di scritti chirurgici appartenuta al medico Niceta e
proveniente da Candia (X sec.: Firenze, Bibl. Laurenziana), agraria, astronomia,
alchimia – un posto particolare rivestono gli Erbarii: celebre tra tutti il
Dioscoride (510 ca.: Napoli, bn) proveniente da Costantinopoli e contenente ben
170 pagine miniate.
Le vicende iconoclaste dell’VIII e IX sec. hanno reso assai rare le
testimonianze di m, mentre dalla metà del IX sec. i codici pervenutici rendono
possibile seguire senza più interruzioni l’evoluzione della m bizantina, ben
rappresentati per numero e qualità d’opere. Le derivazioni da manoscritti
d’epoca classica (Teriaca di Nicandro, un libro sui rimedi contro il morso dei
serpenti, sec. X: Parigi, bn) persistono accanto all’impiego di singoli elementi
classici in contesti ormai compiutamente bizantini (Salterio di Parigi, X sec.:
Parigi, bn) e a splendidi esempi di decorazioni di capilettera debitori invece
di iconografie e stilemi medio-orientali. Gli aspetti innovativi della
produzione miniata bizantina combinano felicemente le caratteristiche di
impronta classicista con la qualità altissima delle cromie impiegate (Menologio
di Basilio II, 976-1025: bv), ma conosceranno una fatale battuta d’arresto con
la presa di Costantinopoli nel 1204. In molte aree che politicamente e
culturalmente appartenevano all’ambito di Bisanzio, dalla Siria all’Egitto,
all’Armenia, alla Georgia si ebbe d’altra parte un’importante produzione di
manoscritti miniati.
Un altro elemento essenziale per comprendere le modalità di organizzazione e
diffusione delle m medievali in occidente è, dal VI sec., l’accentramento della
produzione negli scriptoria allestiti nei centri monastici, che andavano
diffondendosi in ogni parte d’Europa. La cristianizzazione dell’Irlanda prima, e
dell’Inghilterra poi, portò all’affermarsi di una vigorosa scuola di miniatura
anglo-irlandese (Bibbia latina scritta jarrow, Northumbria, del VII-VIII sec.,
oggi alla Laurenziana di Firenze, con m di artista certamente insulare, anche se
probabilmente educatesi in Italia; Evangelario di Lindisfarne: Londra, bm; ove
si snodano in intrecci inestricabili motivi decorativi tratti dalla tradizione
celtica e poi mediterranea e siriaca, con risultati di raffinata astrazione).
Unici centri alternativi agli scriptoria monastici furono le officine di corte
carolinge, sorte per volontà di Carlo Magno (IXsec.), attorno alle più
importanti residenze imperiali o nei monasteri protetti dall’imperatore ed
impegnati in un programma di rivitalizzazione della tradizione classica. Il
sovrano, suo figlio Ludovico il Pio e il nipote Carlo il Calvo incoraggiarono la
copia di codici tardo-antichi e furono committenti di opere straordinarie in cui
le contrastanti esperienze bizantine, anglo-irlandesi (come le pagine
interamente occupate da una sola iniziale) e classiche trovano una peculiare
sigla stilistica contrassegnata da un estremo eclettismo.
Tra i più celebri esempi ricordiamo l’Evangelario di Godescalcus (ca. 781-83:
Parigi, bn) che segna l’inizio della rinascita carolingia in questo campo, la
cosiddetta Bibbia di Ada (Treviri e Londra, bm), l’Evangelario di Soissons (Parigi,
bn), i cosiddetti Vangeli dell’Incoronazione (Vienna, Weltliche Schatzkammer)
che la tradizione vuole siano stati trovati da Ottone III nella tomba di Carlo
Magno e su cui giurarono per secoli gli imperatori al momento dell’Incoronazione,
testi tutti suntuosamente miniati usciti in diversi momenti e per mano di
differenti artisti dai laboratori della corte imperiale, il Vangelo di Ebbo (Epernay)
e il Salterio di Utrecht (ivi), ambedue usciti dallo scriptorium di Reims al
tempo dell’arcivescovo Ebbo tra 816 e 835, la Bibbia di Alcuino (Bamberg) dello
scriptorium di Tours, le copie dirette dall’antico come l’Aratea oggi a Leida
(Lorena, secondo quarto del IX sec.) o il Physiologus di Berna (Reims) e gli
splendidi manoscritti miniati ai tempi di Carlo il Calvo: la Bibbia di Vivianus
(845-46: Parigi, bn) il Sacramentario di Drogo (ca. 850-55: Parigi, bn), il
Codice aureo di St. Emmeram di Ratisbona (870: Monaco), la Bibbia di San Paolo
fuori le mura a Roma.
La permanenza, e talvolta la ripresa letterale, di fonti e schemi bizantini e
paleocristiani, caratterizza la m ottomana, ove predomina la produzione di
Vangeli e lezionari: aumenta il numero delle illustrazioni in rapporto al testo
e prevale l’impiego della figura, con effetti di pacata monumentalità, rispetto
a motivi più astratti che, quando presenti, si distinguono per ricchezza
d’invenzione; v’è una forte prevalenza dell’oro rispetto al colore. I centri
maggiori sono localizzati alla Reichenau, sul lago di Costanza (Evangelario del
Vescovo Egberto, 980 ca.: Treviri, Bibl.), a Fulda, Treviri (Registrum Gregorii,
985 ca.: Chantilly e Treviri, Bibl.; Codex Aureus, 1045-46: Escorial, I) e, più
tardi, anche Echternach e Ratisbona.
Di estrema importanza in questo periodo è la produzione di codici miniati nella
Spagna mozarabica, in particolare negli scriptoria dei monasteri prossimi a Leon
dove vennero illustrati alcuni straordinari codici del commento sull’Apocalisse
di Beatus di Liebana, opera di miniaturisti di cui spesso si conosce il nome
quali Magius, Emeterius, Florentius, e tra cui si conta anche una donna, Ende.
Contemporaneamente (metà X sec.) in Inghilterra si assiste alla ripresa
dell’attività degli scriptoria di Canterbury e Winchester, nel sud dell’isola,
collegata alla forte impronta impressa alla vita conventuale dagli esponenti
delle correnti riformate. Lo stile delle m di questa scuola è caratterizzato da
panneggi fortemente mossi e da decorazioni ricorrenti con un serto a fogli
volteggiami (Benedizionale di St. Aethelwold: Londra, bm), o da figurazioni
create mediante la semplice linea di contorno, variamente colorate (Caedmon, XII
sec.: Oxford, Bodleian Library).
Nell’Italia altomedievale i centri nei quali vengono prodotti i più importanti
libri illustrati sono, accanto a Roma che mantiene attraverso i secoli una
situazione privilegiata (Liber Canonum, sec. IX: Roma, Bibl. Vallicelliana) ed è
luogo di una vasta circolazione di opere, gli scriptoria dei grandi monasteri
benedettini e quelli delle grandi sedi vescovili come Milano, Vercelli, Ivrea,
Verona, Padova ecc. A Verona il codice di Egino (796-99): Berlino, sb) eseguito
sullo scorcio dell’VIII sec. è opera di grandissima importanza e complessità, ad
Ivrea un gruppo di codici eseguiti per il vescovo Warmondo (969-1002: ivi,
Biblioteca Capitolare) sono tra le più alte manifestazioni dell’arte ottoniana
in Italia. Il prestigio della m lombarda in quest’epoca è testimoniato
dall’attività del miniatore Nivardus chiamato a lavorare dall’abate Gauzlinus
all’abbazia di Fleury sulla Loira (Evangelario Gagnière: Parigi, bn). Al Nord
tra i monasteri più antichi furono quelli di Bobbio, fondato nel 612 da san
Colombano, e centro di diffusione delle influenze insulari che ebbe
un’importante ruolo fino a tutto il X sec., e quello di Nonantola, fondato nel
756 da Anselmo duca del Friuli fattosi monaco e molto attivo nel campo della
produzione libraria. Importanti codici illustrati nonantolani pervennero a
Vercelli e qui vennero imitati dallo scriptorium vescovile nel IX sec.
Tra XI e XIII sec. si moltiplicano gli sforzi per una diffusione sempre più
capillare dei codici e per un rinfoltimento delle biblioteche conventuali.
Specie nella Francia settentrionale e nelle regioni fiamminghe si opera una
peculiare fusione di tutti gli elementi stilistici fino ad allora vincenti:
stilemi carolingio-ottomani e bizantini vengono mescolati con originalità, dando
vita ad un nuovo linguaggio pittorico. Alle iniziali decorate con motivi
fogliati o con girali dal gioco astratto si contrappongono sempre più
frequentemente scene figurate, che riecheggiano le contemporanee impaginazioni
scultoree dei capitelli che decorano articolati spazi architettonici: si assiste,
cioè, alla compressione, in uno spazio ristretto, di episodi fortemente
significativi, posti in posizioni «strategiche».
Per i motivi ornamentali si avrà invece la lenta introduzione di figurette
fantastiche, di mostri antropomorfi etc. che si snodano lungo i margini delle
pagine in un tumultuoso avvoltolarsi ed affrontarsi infinito, preludio primo
alle vere e proprie drôleries nate all’interno degli ateliers parigini del
periodo gotico. Si producono adesso prevalentemente salterii (Salterio di St.
Albans, ca. 112o: Hildesheim) e colossali Bibbie illustrate in più tomi (Bibbie
di Lambeth e Winchester, metà XII sec.).
L’esistenza di monasteri greci, la presenza di modelli illustri bizantini, la
continuità degli scambi con questa area, il controllo politico che Bisanzio
continuò ad esercitare per secoli nel Mezzogiorno del paese e in seguito il
crescente dominio di città come Pisa, Genova e Venezia sull’Oriente bizantino a
partire dalla fine del XII sec., ebbero un forte richiamo sui miniatori operanti
in Italia come mostrano opere quali la pisana Bibbia di Calci (1169) o i
genovesi Annali del Caffaro (1195: Parigi, bn). Un tipo di manoscritto miniato
molto caratteristico dell’Italia meridionale tra X e XIII sec. è quello
dell’Exultet che utilizza l’antica forma del rotulo generalmente abbandonata
nella produzione libraria a vantaggio di quella del codice e ripresa talora a
Bisanzio (rotulo di Giosuè, X sec.: Parigi, bn). Rimangono oggi circa una
quarantina di esemplari di questi testi liturgici illustrati con m disposte
inversamente al senso delle scritte in modo da poter essere mostrate al pubblico
dei fedeli, quando i celebranti leggevano i testi e svolgevano i rotuli
dall’alto dell’ambone nelle cerimonie del Sabato Santo.
Tra i grandi centri della produzione libraria in età romanica Polirone (fondata
nel 1007), l’antica abbazia di Nonantola, ambedue i centri ebbero un ruolo
importante nella produzione di manoscritti liturgici miniati per la contessa
Matilde di Toscana (Evangelario della contessa Matilde, XI sec.: New York, pml e
per l’ambiente ecclesiastico che promuoveva e appoggiava la Riforma. San
Salvatore all’Amiata, i monasteri di Roma e dintorni, l’abbazia imperiale di
Farfa nella Sabina, Subiaco e soprattutto Montecassino in cui la produzione
artistica e lo scriptorium furono rinnovati dall’abate Desiderio (1058-87).
Sotto di lui e sotto il suo successore Oderisio furono prodotti alcuni codici e
rotuli miniati di straordinaria bellezza e importanza (Omelie: Montecassino,
Bibl.; Vita di san Benedetto: Roma, bv).
A Roma si producono sulla fine del XI sec. le prime grandi Bibbie, chiamate
atlantiche per il loro formato, esse verranno prodotte in seguito in scriptoria
di Firenze, di Lucca, dell’Umbria.
La forte stilizzazione dei tratti e delle composizioni della prima metà del XII
sec. cede progressivamente il passo ad influenze bizantine intrise di forme
classiche, preludio allo stile del primo gotico (Salterio di Ingeborge, fine XII
sec.: Chantilly). La «regionalizzazione» dello stile della m si fa adesso
carattere distintivo ed imprescindibile delle successive scelte di campo formali,
talché ogni singolo centro di produzione svilupperà, all’interno di coordinate
che restano comunque comuni, un proprio peculiare linguaggio espressivo. Verso
la metà del XIII sec. Parigi è un centro attivissimo della pittura gotica, i
maggiori artisti lavorano per la corte di san Luigi. È questo il momento di
grandi capolavori della miniatura come l’Evangeliario della Sainte-Chapelle
(1230 ca.: Parigi, bn) e il Salterio di san Luigi (ivi). Del gotico luigiano
risentono fortemente i capolavori della prima pittura gotica in Spagna: i
manoscritti illustrati delle cantigas di Alfonso X il Saggio, il dotto monarca
che ebbe un ruolo di committente e di promotore dell’attività artistica analogo
a quello di san Luigi (tra i più splendidi due codici alla biblioteca
dell’Escorial, uno alla bn di Firenze).
In Inghilterra si può definire gotico il linguaggio delle miniature del salterio
di Robert de Lindesey, abate di Peterborough tra il 1214 e il 1222 (Londra,
Society of Antiquaries), dove la
tenerezza, la sinuosità, l’eleganza delle figure indicano il nuovo stile; e
tipicamente gotiche sono le precoci drôleries, con umorose rappresentazioni di
animali intenti alle più diverse attività, che s’incontrano nelle illustrazioni
di salteri dipinti nei primi del Duecento (Londra, bm, Karl ms 5102), così come
improntata al nuovo stile è l’opera del miniatore William de Brailes la cui
firma compare tre volte in manoscritti illustrati nel terzo e nel quarto
decennio del secolo. Un’altra personalità della pittura gotica inglese di cui
conosciamo il nome è Mathew Paris, monaco, storiografo, scriba e miniatore che
diresse intorno alla metà del secolo lo scriptorium dell’abbazia di Saint Albans
e che ha illustrato con rapidi disegni al tratto numerosi codici.
Particularmente significativo il manifestarsi nell’ultimo quarto del Duecento di
una vera e propria scuola di corte che lavora per committenti reali e che è
fortemente influenzata dalla m francese dei tempi di san Luigi.
Su questa svolta agisce il crescente peso acquisito dalla committenza laica (soprattutto
rappresentata dai circoli universitari e dall’aristocrazia), che stimola, con la
propria domanda, assai più diversificata di quella religiosa, la creazione di
ateliers non più entro mura conventuali ma nei centri urbani più importanti
impegnati a sviluppare e creare iconografie del tutto nuove, attorno ai temi
della letteratura profana cortese. Lo stile gotico da così corpo, colori e
sfumature a queste nuove esigenze, privilegiando una linea flessuosa e agile, un
preziosismo unito all’estrema eleganza compositiva e gestuale e alla resa sempre
più espressiva e variegata degli «affetti» che muovono le figure: ma se Francia,
Fiandre ed Inghilterra adottarono velocemente il nuovo stile, Germania, Italia e
Spagna cedettero soltanto lentamente alla sua pressione; tradizione acquisita
attraverso la rinascita carolingia e influssi bizantini furono i fattori
principali di resistenza.
Tuttavia anche in Italia si scorgono focolai pronti ad adeguare la propria
sintassi alle nuove spinte culturali: primo centro ne è Bologna, con il suo
celebre Studium, ove affluisce gran numero di testi giuridici, miniati con uno
stile vivace, di gusto perfino popolaresco, in scene dal fresco piglio narrativo.
Miniatore tra i più celebrati fu Oderisi da Gubbio, che opera appunto a Bologna,
tra 1269 e 1271, seguito agli inizi del Trecento da Franco Bolognese, che ne
raccoglie la palma (gli si accosta lo splendido graduale della Bibl. Estense di
Modena). È significativo che uno degli esempi più illustri del nuovo stile in
pittura si colleghi con l’ambito federiciano: sono le miniature che illustrano
un esemplare (Roma, bv), eseguito attorno al 1260-65 per re Manfredi, del
trattatello De arte Venandi cum avibus composto da Federico II, dove si rivela
un’eccezionale attenzione naturalistica che comporta nuove e più precise formule
di rappresentazione degli uccelli e degli animali. Permeato da influssi
bizantini e che testimoniano i rinnovati contatti di Venezia e del suo
entroterra con Costantinopoli, conquistata nel 1204 è l’Epistolario del 1259
(Parma, Duomo, Bibl. Capitolare), composto a Padova dall’arciprete Giovanni di
Gaibana (presso Ferrara), che vi è ritratto seduto al proprio scrittoio, in una
delle sedici miniature a piena pagina su fondo oro e dai toni cromatici
vivacissimi.
Uno dei problemi più affascinanti della storia della miniatura alla fine del
Duecento in Italia è proposto dallo straordinario corpus di codici raggruppabili
intorno all’ancora sfuggente personalità del Maestro della Bibbia di Corradino
(ultimo quarto del Duecento), così denominato dalla Bibbia oggi conservata a
Baltimore (wag), di alcuni dei quali si è potuta accertare la provenienza pisana
(Antifonario di Agostino da San Gimignano, in due tomi, del 1299: Volterra,
Museo diocesano; Corale per la chiesa di San Nicola di Pisa: Pisa, mn di San
Matteo) getta luci significative su aree linguistiche che, ponendosi
ricettivamente all’incrocio di complessi intrecci culturali tra Italia
meridionale e centrale, Umbria e Toscana in primis (ovvero il seguito umbro
delle ricerche di Giunta Pisano), trovarono proprio nella produzione miniata il
terreno di sperimentazione e d’espressione privilegiato.
Ma, ancora per testimonianza di Dante (Purgatorio, XI), è Parigi il vero centro
della m. Qui la crescita intellettuale della Sorbona, la fioritura delle
letterature «romanze» a tema cavalleresco-cortese ed il costituirsi di vere e
proprie botteghe di editori hanno conseguenze significative su tutta la storia
dell’illustrazione successiva: si passa ad esempio a formati di codici molto più
maneggevoli, adatti ad una lettura «domestica», privata, con caratteri spiccati
di preziosità che assecondano le esigenze dei nuovi committenti, resisi autonomi
nelle scelte e nel gusto. Si abbandonano le Bibbie monumentali a favore di libri
d’ore e salterii: questi ultimi adottano inoltre un tipo di impaginazione
desunta da modelli inglesi (altra spia delle strette relazioni intercorrenti tra
le due nazioni), che raggnippano in testa al volume sequenze di illustrazioni a
piena pagina, a formare un libretto quasi autonomo, fatto di sole immagini,
allontanate cosi dalla necessità, intrinseca ad ogni m, di un rapporto «fisico»
con il testo, che portò al contrario ad incentivare e stimolare un più libero e
paritario scambio tra m e coeve esperienze pittoriche.
Sul finire del secolo la fisionomia della pittura gotica nell’area
franco-inglese andava cambiando: caratterizzano questo mutamento una maggiore
attenzione naturalistica, la ricerca espressiva e i tentativi di chiaroscuro, il
moltiplicarsi delle drôleries, scenette vivacemente animate che decorano i
margini dei manoscritti, dove elementi grotteschi e fantastici si fondono con
acutissime osservazioni, specie nel campo della raffigurazione di animali.
Esempi sorprendenti ne offrono alcuni salteri inglesi che alternano il sapido e
umoresco realismo dei margini ai ritmi eleganti e sinuosi delle grandi storie:
tra questi il Salterio dei mulini a vento (Windmill Psalter. New York, pml), il
Salterio di Peterborough (Bruxelles, Bibl. reale), il Salterio della regina
Maria (Queen Mary Psalter: Londra, bm), il Tiekhill Psalter (New York, Public
Library), ecc. Attivo alla fine del Duecento è Maître Honoré, figura centrale
della storia della m francese (Breviario di Filippo il Bello): espressività e
ricerca di una resa più efficace della volumetria delle figure attraverso lo
studiato impiego delle ombre sono le componenti più innovative da lui introdotte
e raccolte da Jean Pucelle (attivo tra il 1320 e il 1333-1934), che vi affianca
la conoscenza della nuova spazialità elaborata dai pittori toscani che applica
alla resa degli elementi architettonici delle scene. Pucelle generalizza inoltre
l’uso delle drôleries (Breviario di Belleville, ca. 1323-26: Parigi, bn; Bibbia
di Robert de Billyng, 1327: ivi) nei margini, ormai ampli, della pagina – che
diventa così spazio aperto anche alla fantasia creatrice e ai più bizzarri e
ironici incroci figurali – e l’uso della grisaille, impiegata per attenuare il
passaggio tra bidimensionalità della pagina manoscritta e tridimensionalità
dello spazio figurato.
Siamo ormai in pieno Trecento e gli attivissimi atelier parigini creano una
ricca serie di codici miniati ove preziosità materica e decorativa, perfezione
d’esecuzione, vivezza cromatica (che sostituisce man mano lo sfavillio dei
desueti fondi oro), si fondono con i caratteri naturalistici e acute
osservazioni spaziali, e con un uso della luce in fuzione quasi atmosferica. Il
Maestro di Jean de Sy (probabilmente Girard d’Orléans), autore della Bibbia di
Jean de Sy, Jean Bondol (Presentazione di un manoscritto a Carlo V, sul
frontespizio di una Bibbia del 1372: L’Aja, Bibl. reale) e infine Jacquemart de
Hesdin, al servizio del duca di Berry dal 1404 al 1409 (Grandes Heures del Duca
di Berry: Parigi, bn) sono gli esponenti di spicco di questa fervida stagione.
Nell’Italia del Trecento l’illustrazione del libro fu praticata in numerosi
centri, da Bologna a Padova, a Rimini, a Venezia, al Friuli, a Milano, da Siena
a Firenze, a Pisa, a Perugia, all’Abruzzo, a Roma, da Napoli alla Sicilia. La
grande varietà delle tradizioni e delle esperienze fa sì che il paesaggio sia
estremamente variato, come variata fu la committenza e diverse furono le
occasioni che portarono alla produzione di libri illustrati, dalla presenza di
importanti università, come quella di Bologna, alle richieste dei grandi comuni,
di importanti corti, di vescovi e capitoli. Bologna, la fama dei cui miniatori
traspare in Dante attraverso l’elogio di Franco Bolognese è un importantissimo
centro di produzione libraria e quindi di illustrazione. Numerosi scriptoria
laici sono impegnati soprattutto nella produzione e nell’illustrazione di testi
giuridici in un’attività intensa che domanda un’elevata specializzazione e ciò
fa si che diversamente da quanto avviene a Firenze o a Siena non si troveranno
tra i miniatori i nomi dei più significativi pittori del secolo. Aperta prima a
influenze bizantineggianti, presto pervasa da suggestioni gotiche la miniatura
bolognese risente poi profondamente dei modelli giotteschi. Tra i più geniali
artisti che lavorano in questo settore sono Lando di Antonio – vicinissimo al
grande anonimo chiamato Pseudo-Jacopino e il Maestro del 1328 che prende il suo
nome dalla data della bella m che orna la Matricola dell’Arte dei Merciai.
Successivamente un altro anonimo miniatore, chiamato dal Longhi per antonomasia
«L’Illustratore» si pone tra i più geniali artisti dell’intero Trecento italiano.
Più tardi dominerà il campo l’attivissimo Niccolò di Giacomo. Nella vicina
Rimini aveva lavorato dall’inizio del Trecento e fino al 1322 Neri da Rimini che
ha lasciato la sua firma in molti codici. A Siena alcuni grandi pittori furono
anche miniatori, illustrando vuoi le tavolette in legno che ricoprivano i «libri
di Biccherna», vuoi le pagine di messali, antifonari o di testi letterari, tra
questi Duccio, Memmo di Filippuccio, Ambrogio e Pietro Lorenzetti, Niccolò di
Ser Sozzo Tegliacci, Lippo Vanni, Andrea di Bartolo. Lo stesso Simone Martini
miniò per il Petrarca lo splendido frontespizio di un Virgilio. Un autentico
genio della m, che fu anche pittore di tavole, fu l’anonimo Maestro del Codice
di San Giorgio di probabile origine fiorentina, ma bene a conoscenza dei modi
senesi, che lavorò particolarmente per il cardinal Stefaneschi e dovette molto
presto, già verso il 1320, stabilirsi ad Avignone.
L’influsso di motivi provenienti direttamente dall’Italia, oppure desunti dagli
ambienti gravitanti attorno alla corte papale avignonese, si mescola sempre più
alla forte e folta presenza di artisti fiamminghi e crea le basi per l’ultima
fioritura della m francese del primo terzo del Quattrocento, favorita con
entusiasmo e profusione di mezzi da grandi mecenati della fine del xiv sec.:
primo fra tutti il duca di Berry (André Beauneveu minia per lui il Salterio del
duca di Berry nel 1380-85; i fratelli Limbourg illustrano le Très Riches Heures:
oggi a Chantilly, Museo Condé, capolavoro assoluto della m gotica). Altri
artisti, rimasti anonimi, come il Maestro del Duca di Bedford, il Maestro del
Maresciallo di Boucicaut e il Maestro delle Ore di Rohan, aggiungono
personalissime varianti e nuovi capisaldi alla produzione della m francese, che
trova in Jean Fouquet (Heures de Etienne Chevalier, eseguite tra 1415 e 1461:
Chantilly, Museo Condé; Grandi Cronache di Francia, verso il 1458: Parigi, bn)
la personalità in grado di operare un nuovo accordo con le scuole italiane del
rinascimento. Intimità aristocratica e lieve ironia intellettuale, ricchezza del
dettaglio prezioso, sia questo una staffa o pietra preziosa, acconciatura o
vasellame, paesaggio o architettura, si ritrovano nella coeva produzione boema,
incentivata dal mecenatismo imperiale di Carlo IV e del figlio Venceslao (Liber
Viaticus di Giovanni da Newmarkt: Praga, nm) così come a Milano, sotto l’impulso
della dinastia dei Visconti, ove la scelta onirica e insieme naturalistica di
Giovannino Grassi (morto nel 1398) segna un altro culmine, incantato e
virtuoslstico, dell’arte della m, accanto alle opere, altrettanto splendide, di
Belbello da Pavia (Breviario Viscontes: Modena, Bibl. Estense; Bibbia di Niccolò
III d’Este, ante 1434: Roma, bv).
Fu invece soprattutto grazie alla committenza dei duchi di Borgogna che nei
Paesi Bassi meridionali si attivano, alla metà del Quattrocento, botteghe dedite
alla produzione di codici miniati, alla quale partecipano artisti in grado di
operare anche su tavola, come Simon Marmion, J. Tavernier ed il grandissimo
Maestro di Maria di Borgogna (attivo tra 1470 e 1490, forse a Gand). Sensibilità
finissima e quasi tenera al menomo brillio e alla consistenza reale delle cose
del mondo, impiego della prospettiva aerea, che fa vibrare il colore, in
alternanze sapienti, su paesaggi e figure, sono il lascito estremo delle regioni
del Nord ad un’arte che opera ormai in simbiosi con le realizzazioni di van Eyck
e Roger van der Weyden.
In Italia questo è invece il momento di fondazione del nuovo verbo
rinascimentale: l’introduzione della nuova calligrafia umanistica, o di speciali
motivi decorativi (come i «bianchi girari»), raggiunge presto le più diverse
aree, le quali tuttavia sviluppano un loro percorso individuale, dando vita a
scuole regionali. A Firenze Zanobi Strozzi, il collaboratore e seguace di Beato
Angelico, opera nella cosiddetta scuola di Santa Maria degli Angeli (Diurno
domenicale o Graduale camaldolese: Firenze, Bibl. Laurenziana; venti Graduali:
Firenze, Museo di San Marco su commissione di Cosimo de’ Medici), affiancato per
qualche tempo da Francesco d’Antonio del Chierico (Graduali del Duomo di Firenze,
oggi alla Bibl. Laurenziana), incantevole illustratore di manoscritti liturgici
e profani di carattere prevalentemente umanistico.
Altro centro importante è Ferrara, regno degli Estensi: specie sotto Borso
d’Este (1450-71) al quale si deve la Bibbia detta appunto di Borso (Modena,
Bibl. Estense), tra i capolavori della scuola ferrarese ed opera di
collaborazione di vari miniaturisti, alla cui organizzazione presiedette Taddeo
Crivelli. L’influsso di Mantegna e della corrente «antiquaria» assai forte in
padania e nel Veneto, si percepisce soprattutto nei centri di Padova e Venezia,
che sviluppano uno stile di largo successo, rintracciabile in seguito a Roma e
nella Napoli aragonese.
Il periodo rinascimentale, pur splendido d’opere e risultati, segna però anche
l’inizio del declino della m vera e propria: l’illustrazione dei libri tende
infatti a farsi commento a latere del testo e non più ad intrecciarsi con le sue
lettere ed i suoi significati. La frattura della, pur imprescindibile,
dialettica tra testo e immagine avvicina sempre più la pagina miniata ad una
tavola dipinta e conduce ad una inevitabile ambivalenza del suo coesistere in
quanto ornamento visivo del testo scritto, facendole invece assumere il ruolo di
presenza preziosa ed autonoma, oggetto d’arte che decora una camera adòrnata da
altri, consimili oggetti.
La rivoluzionaria invenzione della stampa, introdotta dalla Germania a Venezia,
prima, e subito dopo in tutta la penisola, radicalizza oltremodo tali problemi.
Se, ancora per pochi decenni, si avranno libri a stampa decorati con miniature
di alta qualità, se la storia della m conoscerà ancora nel XVI secolo un
episodio capitale come quello di Giulio Clovio, tuttavia le m saranno
inevitabilmente e progressivamente sostituite dalle più agili e funzionali
incisioni in legno, che segnano così la fine dell’arte della m nell’Occidente.
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Per estensione (e poiché l’italiano non conosce la distinzione terminologica
propria al francese e ad altre lingue, tra «enluminure» – illustrazione di
manoscritti – e «miniature» – tecnica pittorica esercitata su supporti di
piccole dimensioni, generalmente pergamena o avorio) è chiamata m anche una
particolare tecnica pittorica, molto in auge tra XVI e XIX sec., in cui vennero
prodotti, generalmente a guazzo su pergamena o avorio o a smalto su metallo
piccoli medaglioni con ritratti, paesaggi o scene diverse posti a decorazione di
una scatola o di un gioiello o incorniciati come opere indipendenti.
L’origine del ritratto a m sembra risalire all’Inghilterra. Lucas Horenbout,
pittore di corte di Enrico VIII, e sua figlia Susanna hanno eseguito simili
ritratti; Dürer acquistò a Gand nel 1521 una m della predetta pittrice. Hans
Holbein eseguì, durante i suoi due soggiorni inglesi (1526-28,1532-43) piccoli
ritratti che determinarono a corte una vera e propria infatuazione. Nicholas
Hilliard e il suo allievo Isaac Oliver furono, alla fine del secolo e nei primi
anni di quello seguente, i più brillanti e raffinati fra i numerosi ritrattisti
attivi alla corte di Elisabetta I. Nel XVII sec., merita menzione il nome di
John Hoskins, poi quello del suo allievo Samuel Cooper, la cui notevole arte,
piena di vigore e di finezza psicologica, molto deve all’influsso di van Dyck. I
primi ritratti francesi in m sono generalmente attribuiti a Jean Clouet e al
figlio François. La tecnica della m su smalto, perfezionata presso i Toutin
(Jean I e i suoi figli Henri e Jean II) toccò il culmine nel Seicento con le
opere di Jean Petitot, Genève, Louis du Guernier, Louis de Châtillon e con
quelle di Jean-Philippe Ferrand, autore di un trattato tecnico, l’Art du feu ou
de peindre en émail (1721).
In altro campo, Nicolas Robert, e poi Jean Joubert, si fecero un nome
particolarmente nell’esecuzione di tavole di scienze naturali (pergamene del
Museo di storia naturale). Numerosi i pittori su smalto di origine svizzera:
oltre a Jean I Petitot, che è il maggiore e che lavorò per Carlo I in
Inghilterra, poi per la corte francese, tornando in Svizzera dopo la revoca
dell’editto di Nantes, citiamo Jean II Petitot, Paul Prieur, attivo a
Copenhagen, ed i fratelli Huaud, attivi a Berlino. Nei Paesi Bassi, sono
frequenti nel Cinquecento, oltre quelle consacrate al ritratto, le m che
rappresentano scene religiose e mitologiche oppure paesaggi (Hans Bol, il suo
allievo Joris Hoefnagel, col figlio di quest’ultimo Jacob). Tale tradizione
proseguirà durante il XVII sec. (Richard van Orley).
Occorre menzionare il centro di produzione di m costituito a Strasburgo nel XVII
sec. (F. Brentel, poi J. W. Baur, suo allievo), e quello svedese (P. Signac). Il
soggiorno parigino (1720-21) di Rosalba Carriera, celebre tanto per le sue m su
avorio che per i suoi pastelli, sta all’origine della nuova moda del ritratto in
m in Francia (H. Drouais, J. B. Massé). Lo stabilirsi a Parigi nel 1769 dello
svedese Pierre-Adolphe Hall, che inaugura una tecnica più libera, conferma tale
moda. I temi si diversificano: accanto ai ritratti, le scene galanti (Baudoin,
Lavreince), i paesaggi (Louis Moreau, L. N. Blarenberghe), i fiori (Anne
Vallayer-Coster) vanno moltiplicandosi.
Tra i ritrattisti attivi durante il regno di Luigi XVI, fino alla monarchia di
Luglio, vanno citati F. Dumont, J.-B. Isabey, che conobbe una celebrità senza
pari. La m aveva grandissimo successo, nel medesimo periodo, in Inghilterra (R.
Cosway, J. Smart), in Germania (H. F. Füger, stabilitosi a Vienna), in Svizzera
(J. E. Liotard) e in tutta l’Europa orientale e settentrionale. Verso la metà
dell’Ottocento, col diffondersi del ritratto fotografico, l’arte della m conobbe
un rapido declino.